Governo Pd-Pdl, Pd di minoranza, con Grillo: da quale finestra si butta Bersani?

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 26 Febbraio 2013 - 14:51 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – La prossima mossa spetta a Pierluigi Bersani. Il candidato premier che ieri, di fronte ai risultati elettorali non ha ritenuto di mettere la faccia, è infatti il leader della coalizione che almeno alla Camera dei Deputati ha la maggioranza. È forse questa l’unica certezza di un dopo voto quanto mai incerto. Quale sarà la mossa di Bersani e del Pd è invece ancora imperscrutabile. O meglio non è dato sapere da quale finestra si butterà. Per buttarsi di sotto Bersani ne ha tre di finestre: il governo Pd-Pdl, oppure il governo Pd di minoranza che va ogni volta in Parlamento a chiedere voti a Grillo o a Monti o a tutti e due, oppure ancora il nessun governo.

L’ipotesi che sembra aver preso maggiormente corpo nelle ultime concitate, e quasi disperate ore in casa Pd, è quella di tentare un governo di minoranza. Un esecutivo retto cioè alla Camera dai 340 deputati della coalizione di centrosinistra e al Senato dall’appoggio di senatori che al centrosinistra non appartengono, o dalla loro astensione. Un governo basato cioè su una sorta di non belligeranza delle opposizioni che a palazzo Madama sono maggioranza e, talvolta e su alcuni provvedimenti, anche sull’appoggio esplicito di alcune di queste.

Ipotesi che pare accarezzare il segretario Pd e che le parole del suo vice Enrico Letta non smentiscono. Ipotesi anche plausibile che pone però un interrogativo: quanto durerebbe un simile esecutivo e, soprattutto, quali riforme potrebbe portare avanti su basi così fragili? E che tipo di politica economica potrebbe fare e come sarebbe “pesato” nella sua insostenibile leggerezza dai mercati finanziari e dai partners europei? Tutte domande che hanno risposte riassumibile in una sola coppia concettuale: poco e male.

Variante di questa prima ipotesi è quella di un governo “istituzionale”, composto cioè dal Pd e da tutti quelli disposti a parteciparvi, buono per gestire gli affari correnti e varare una nuova legge elettorale. Esecutivo che in questo caso non potrebbe però essere guidato da Bersani, ma dovrebbe avere un altro primo ministro in grado di allargare la base parlamentare.

Altra via sarebbe poi quella del governissimo, un governo retto cioè da un’alleanza del Pd, indispensabile in quanto maggioranza a Montecitorio, e uno tra Pdl e Movimento 5 Stelle. Nel partito di Berlusconi non si dicono favorevoli ma nemmeno escludono l’ipotesi. L’atteggiamento dei rigenerati berluscones è comprensibilmente attendista. È Bersani a dover bussare con delle proposte, e non viceversa. In questo caso, più che la domanda “quanto durerebbe questo esecutivo”, la questione è quello che il Cavaliere chiederebbe in cambio. Di sicuro un patto che porti al Quirinale un capo dello Stato che garantisca a Berlusconi salvacondotto giudiziario per il passato, presente e futuro.

Un governissimo di questo genere sarebbe in qualche modo a scadenza, messo in piedi cioè per varare una nuova legge elettorale e qualche riforma inderogabile e nulla più. Un governo Pd–Pdl che al contrario puntasse a vivacchiare il più a lungo possibile sarebbe sinonimo di suicidio per i due. E potrebbe, Berlusconi, chiedere al Pd un prezzo troppo salato, cioè la Presidenza della Repubblica. Anche se rumors sostengono che la trattativa potrebbe ruotare intorno ad una semplice “immunità” definitiva per il Cavaliere.

L’altra grande coalizione ipotizzabile è quella con Grillo e i suoi. Ipotesi caldeggiata da Nichi Vendola, altro clamoroso sconfitto di questa tornata elettorale, travolto dal dato nazionale ma ancor più dal risultato della sua Puglia, che ha dichiarato di vedere nell’ormai definitivamente ex comico il vero interlocutore del post voto. Grillo però, almeno stando alle sue dichiarazioni fino ad oggi, ad appoggiare un governissimo simile non ci pensa nemmeno. Del resto difficile sarebbe dargli torto. Sostiene il leader M5S, da tempo, che quello del 25 febbraio altro non è che il primo passo verso la maggioranza assoluta. Un marcia che appare oggi quantomai spedita e che una partecipazione ad un governo con i “morti” non potrebbe che rallentare.

Tre ipotesi quindi, e nessuna in grado almeno apparentemente di garantire stabilità e rassicurare quei mercati che già ieri sera erano in fibrillazione e che questa mattina, a dati definitivi, testimoniano la loro preoccupazione attraverso lo spread che corre verso l’alto e le borse che soffrono.

Resta poi la possibilità da tutti a parole respinta: quella di un nuovo voto. Nuovo voto che costringerebbe il Paese ad almeno 4/5 mesi di assenza di governo, per tornare alle urne si deve necessariamente eleggere il nuovo Capo dello Stato, cosa che può avvenire solo dopo la composizione delle Camere, e che con questa legge non è affatto detto che risolverebbe il problema dell’ingovernabilità.