Di Maio: invito preterintenzionale (?) al linciaggio. Movimento 5 S, s come…

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 18 Marzo 2017 - 06:56 OLTRE 6 MESI FA
Di Maio: invito preterintenzionale (?) al linciaggio. Movimento 5 S, s come...

Di Maio: invito preterintenzionale (?) al linciaggio. Movimento 5 S, s come… (foto d’archivio Ansa)

ROMA – Di Maio, testuale e orgogliosamente scandito davanti a tutte le telecamere possibili: “Poi non lamentatevi se qua fuori i cittadini reagiscono in maniera violenta”. Il “qua fuori” è fuori del Parlamento, il “non lamentatevi” è rivolto ai parlamentari non M5S (il fatto che siano eletti dai cittadini proprio come gli eletti M5S non li salva), ai cittadini in procinto di “reagire in maniera violenta” un attestato di preventiva comprensione, una solidarietà garantita se “reagiscono”, un incoraggiamento a farlo.

Per dirla in breve da Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera e candidato in pectore M5S alla presidenza del Consiglio ove e quando M5S vincesse elezioni e fosse capace di fare un governo, viene un invito preterintenzionale al linciaggio. Linciaggio di altri parlamentari, dei parlamentari nemici del popolo. Preterintenzionale, cioè invito di fatto ma non nelle intenzioni di chi lo ha formulato. Preterintenzionale supponiamo, vogliamo supporre per rispetto di Di Maio, per carità di patria, per ragion di Stato e per presunzione di innocenza fino a prova contraria. Anche se ragion di Stato e presunzione di innocenza ad esempio a M5S fanno schifo e ribrezzo entrambi.

Il vero “caso” non è che Di Maio dica orgoglioso di dirle cose così, il caso è che non ci si fa più caso. Il caso è che la politica, l’informazione, la pubblica opinione considerino ormai normali cose così e anzi più d’uno ne apprezzi la potenza e l’efficacia comunicativa di cose così. Non ci si fa più caso, come non si fa più caso ad un puntino rosso in più su una pelle invasa dal morbillo. Sia chiaro, il morbillo della metafora non è Di Maio, tanto meno M5S. Il morbillo, anzi la malattia che ci ha invaso ed è molto peggio del morbillo, è che ci appaia normale, ovvio, perfino encomiabile prendere a calci e male parole la convivenza civile.

Già, la convivenza civile. Si basa, si fonda, poggia sul reciproco patto secondo il quale possiamo essere diversi e discordi, avversari e concorrenti ma siamo entrambi legittimi e ciascuno riconosce senza se e senza ma la legittimità altrui. Senza il reciproco riconoscimento di legittimità non c’è convivenza civile. C’è guerra civile. Magari guerra solo mimata, magari guerra freddissima, magari guerra da operetta, magari guerra da opera dei pupi. Ma guerra civile. Ed è questa che sempre più forze politiche praticano e sempre più in politica si sente predicare.

E’ più di un quarto di secolo che va così, non ha cominciato M5S a negare la legittimità, l’altrui diritto politico ad esistere. E’ cominciata in certi segmenti dell’anti berlusconismo (luoghi, tra gli altri, dove veniva allevato in vitro il citoplasma del grillismo). E’ cominciata lì la predicazione della tua non legittimità politica. Che poi ha fatto in fretta ad estendersi a non legittimità sociale, economica, culturale, umana..? Non ci voleva molto a dichiararsi a vicenda non legittimi in un paese che la democrazia quale reciproco riconoscimento, il Parlamento come luogo della trattativa e mediazione, il governo come ricerca dell’interesse pubblico e non come esecutore e rappresentante degli interessi vincenti, beh cose così in questo nostro paese non sono mai state davvero digerite, metabolizzate, comprese.

Non ci voleva dunque molto ed hanno collaborato in molti a trasformare scontro politico in guerra civile recitata. Solo recitata davanti alla tv come fa Di Maio. Solo recita, ma il testo è quello, quello dell’impossibile convivenza con i “nemici del popolo”. Il caso è che nessuno ci faccia più caso quando si scava, magari con un cucchiaino, sotto il pilastro della convivenza civile. Nessuno lo trova strano, succede ogni giorno, un cucchiaino alla volta.

Oggi, qui e adesso M5S ha perfezionato la cultura della altrui illegittimità. Il caso Minzolini in sé sarebbe contenuto nei confini del ridicolo e del grottesco. In un, non paese ma universo, che non avesse smarrito il senso del reale, un senatore della Repubblica condannato da un Tribunale per aver strisciato troppo e fuori dal seminato la carta di credito quando era direttore del Tg1, si ritira da solo in buon ordine. Per decenza pubblica e rispetto di se stesso, si allontana all’inglese dalla carica pubblica. Senza scene e strepiti. E il resto dell’istituzione, maggioranza e opposizione insieme, accompagnano in rispettoso riserbo e composta attenzione il farsi da parte.

Invece Minzolini sceneggia la “cicuta da bere”, fa la vittima, alza polvere. Recita una guerra contro di lui scagliata da orridi nemici. L’unico suo vero nemico è stato lui stesso quando strisciava la carta di credito aziendale come e dove non doveva. Invece M5S sceneggia “voti di scambio”, invita la gente furente a porre fine all’ignobile connubio. E qualche altro clown vestito da politico urla nella confusione: “Riabilitate Berlusconi”. Il caso Minzolini in sé è solo il palcoscenico-pretesto per una recita.

Ma sotto la recita c’è la negazione, perfino il disprezzo per la convivenza civile che ormai viene chiamata “inciucio”. A perfezionare questa cultura è stato M5S. Un vero e proprio Movimento a Cinque S. Quali “S”? Sacrosanto, salvifico, stupido, sciocco, sognatore, sublime, sbilenco, svitato..? Ce ne sono decine di S che si attagliano, a seconda dei gusti, a M5S. Ma ne abbiamo scelte cinque, altre cinque S per definirlo. Ci sembrano le più esaustive e costanti.

S come semplice. Sì, M5S è semplice. Rifugge, bandisce, ha orrore di ogni complessità. La complessità in sé gli appare inganno e complotto. Giura il Movimento che ogni problema è semplice e ha una soluzione semplice. Che non si applica perché ci sono i nemici del popolo. La soluzione è semplice: togliere di mezzo i nemici del popolo, metterli in condizione di non nuocere.

S come santo. Sì, M5S è santo, ha una legittimità per nulla laica. La sua cultura prevede e promana una dimensione religiosa: ci sono i fedeli e gli infedeli, quelli raggiunti dalla predicazione e quelli refrattari, i convertiti e i peccatori. In mezzo nulla, solo peccatori travestiti. M5S ammette solo fedeli, devoti o penitenti. O infedeli e nemici della vera novella, della verità.

S come strenuo. Sì, M5S è determinato, instancabile, strenuo nella sua azione. Non conosce cali di intensità né variazioni di tono e velocità. Marcia strenuamente con lo stesso passo qualunque sia la via, sfilerebbe con la stessa imperturbabilità verso l’arco di trionfo o verso il burrone. Marcia, dunque è. Strenuamente è.

S come sbruffone. Sì, M5S è sbruffone. Si gonfia di successi mai visti, annuncia e dispiega meravigliosi domani, si racconta fulgido eroe, dichiara un paio di volte a settimana la rotta finale e definitiva dei nemici. Insomma M5S è certo figlio del mondo ma è soprattutto italiano. E la storia dei movimenti politici italiani dice che quelli che piacciono sono sbruffoni. Siamo fatti così.

S come sadico. Sì, sadico. Spiace ma è una connotazione evidente. Il mondo immaginato e predicato da M5S, da Grillo all’ultimo militante, è un mondo dove tutti si dimettono per una qualche indegnità. Dove c’è e ci deve essere galera per tutti. Dove chi sa è sospetto. Chi decide è da punire. Un mondo di peccatori che devono punirsi o essere puniti.

Un mondo che si basa sull’eterno e fondamentale movimento del guardie e ladri. Dove ladri sono sempre e comunque quelli di ogni potere e istituzione e guardie è la gente che si auto nomina tale. Un mondo dove si dà la caccia al prossimo, un mondo col cilicio e con i vigilantes che girano per controllare il cilicio sia davvero applicato. Un mondo dove si trae piacere dalla punizione subita dall’altro, inflitta all’altro. Un mondo dove questo homo homini castigator, dove questa voglia di castigo di massa non nasce solo, come si dice, dall’impoverimento delle condizioni socio economiche. Ci vuole altra miseria, altro tipo di miseria per trarre piacere da un mondo così, per presentarlo come la palingenesi, la liberazione, l’avvento. Ci vuole miseria, carestia culturale. Quella stessa, guarda caso, che considera la convivenza civile “roba che non si mangia”.