L’Italia in Piccolo, rubi allo Stato…e poi coi soldi ti ci compri i voti

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 16 Luglio 2012 - 13:42 OLTRE 6 MESI FA

Samuele Piccolo

ROMA – L’Italia in Piccolo: rubi i soldi allo Stato e ti ci compri i voti. La storia su cui la magistratura capitolina sta indagando e che ha portato alle dimissioni dell’ex vicepresidente del Consiglio Comunale di Roma Samuele Piccolo racconta di una serie di artifici fiscali per evadere appunto il fisco e riutilizzare quei “guadagni” per pagarsi la bella vita sì, ma anche per finanziare campagne elettorali e comprare consenso. Nel caso di Piccolo, se le ipotesi accusatorie si riveleranno fondate, si tratterà di reati, ma la pratica di comprare consenso con i soldi pubblici non l’ha inventata Piccolo e non è sempre perseguibile.

L’Italia in Piccolo dunque, ma anche piccoli italiani che crescono, in un Paese dove fregare il fisco prima che reato è spesso sinonimo di furbizia, e in un Paese dove lungo è l’elenco di quanti si sono finanziati campagne elettorali e di quanti hanno comprato consenso con i soldi pubblici, la storia del Piccolo romano non stupisce poi più di tanto. In fondo comprare consenso con i soldi pubblici lo si può fare anche in modo molto legale, ad esempio elargendo fondi a categorie che poi, al momento del voto, si mostreranno riconoscenti, oppure bloccando liberalizzazioni in modo da farsi amici potenziali elettori. Tutti modi assolutamente legali di comprare consenso spendendo i soldi degli italiani. La famiglia Piccolo, secondo i giudici, ha in fondo solo scelto una strada più rapida e sbrigativa per ottenere quei pubblici fondi che servono per trovare voti, ma non si è certo incamminata in un territorio inesplorato.

Le dimissioni di Samuele Piccolo dalla carica di vicepresidente del Consiglio Comunale sono state preannunciate domenica (15 luglio) dal legale di Piccolo, e sono la prima conseguenza delle misure cautelari chieste dai giudici romani che hanno portato il fratello di Piccolo, Massimiliano, in carcere e che hanno disposto gli arresti domiciliari per l’ormai ex enfant prodige della politica romana con le accuse di associazione a delinquere, finanziamento illecito ai partiti e appropriazione indebita. Ai domiciliari anche il padre, Raffaele, insieme ad altre quattro persone. In base all’impianto accusatorio, attraverso una serie di società sarebbero stati creati finti crediti Iva e dirottati i fondi drenati al fisco all’attività politica del vicepresidente del consiglio comunale. “In particolare a Samuele Piccolo si contestano tre diversi episodi di finanziamento illecito con riferimento all’ultima campagna elettorale amministrativa – scrive Repubblica – Si tratta di cene elettorali e anche dell’organizzazione dei call center per il cui allestimento sarebbero stati sottratti al fisco 122mila euro. A capo dell’organizzazione, secondo le conclusioni dei magistrati, Massimiliano Piccolo che ha avuto un ruolo di vertice insieme al padre Raffaele”.

Samuele Piccolo alle ultime elezioni comunali, quelle da cui Gianni Alemanno uscì sindaco di Roma, nonostante la giovane età (Piccolo è del 1981) ottenne ben 12mila preferenze, risultando il più votato, del Pdl e della consultazione tutta. Grazie ovviamente ad una forte e capillare attività “promozionale”: cartelloni maxi in ogni angolo della città, call center e cene. Una campagna elettorale efficace ed imponente, ma costosa. “Ad inizio attività – scrivono i magistrati – sono state somministrate al call center una lista di circa 500mila anagrafiche di abitanti di Roma, da chiamare secondo esigenze, che fossero inviti a cena, ricerca rappresentati di lista, appuntamenti, avendo ben specificato di non utilizzare le stesse anagrafiche per più di un evento per non incorrere nell’incontrare sempre le stesse persone”. Fu poi “fatto un piano di cene da rispettare, con indicato il numero di persone da invitare in base alla capienza del ristorante e di quante avevano necessità di incontrare per strategie politiche. Alcune cene si sono aggiunte in seguito in base a necessità e poteva capitare di informarli anche la mattina prima della cena, tenendo in considerazione che le postazioni da richieste erano ben 268, un numero altissimo di operatori che, chiamando contemporaneamente ad una media di 12 chiamate con risposta l’ora per otto ore al giorno avrebbero dovuto sviluppare un numero elevatissimo di inviti”.

In sostanza, attraverso una galassia di società alla famiglia Piccolo riconducibili (circa 60), sarebbero stati creati falsi crediti Iva, cioè tasse evase, che tradotto significa che venivano rubati soldi allo Stato. Ma, quando si dice oltre al danno la beffa, parte di quel “bottino” sarebbe stato reinvestito per la carriera di Samuele in politica. Cioè speso per far diventare Samuele Piccolo amministratore di quello Stato che veniva derubato. Si pagavano maxi poster, cene e call center. Tra il materiale sequestrato dalla Guardia di Finanza anche un file con 8000 nominativi, rappresentanti di plesso e rappresentanti di lista, trovato in uno dei pc delle società. Un elemento che ha fatto subito pensare che si trattasse di qualcosa che aveva a che fare con la carriera politica di Samuele e che, accanto ai nominativi, oltre ai dati anagrafici e il numero di telefono, riporta l’annotazione “ricevuta”, “pagato” e “prelevato”. Nei confronti dell’ex vicepresidente, di suo fratello, di suo padre e di altre persone sono stati emessi dei provvedimenti restrittivi e, se le ipotesi degli inquirenti si riveleranno fondate, per tutti o per molti dei protagonisti di questa storia si apriranno le porte del carcere.

Ma non per tutti quelli che “usano” i soldi pubblici va così. Non è infatti sempre reato spendere denaro pubblico per comprare consenso. I tanto odiati “rimborsi elettorali” ad esempio servono in teoria proprio a questo: rimborsare le spese sostenute dai partiti per le loro campagne elettorali, anche se poi qualcuno ci compra case o diamanti e anche se il rimborso, caso più unico che raro, supera di gran lunga quanto si è effettivamente speso.