Maria Elena Boschi, vittoria di Renzi al Senato è tutta sua

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 14 Ottobre 2015 - 13:30 OLTRE 6 MESI FA
Più referendum, meno Senato e Regioni e Verdini non serviva

Maria Elena Boschi nel giorno della votazione della riforma del Senato (foto Ansa)

ROMA – Viaggia sul web la sequenza di Renato Brunetta che per settimane e mesi assicurava, giurava, si giocava le…”Renzi non ha i numeri in Senato per far passare la riforma”. Il Corriere della Sera si diverte a stilare la pagella in stile calcistico di quelli che hanno giocato la partita: 4 al leghista Roberto Calderoli “emendatore seriale degli algoritmi spuntati”, 3 a Miguel Gotor Pd modello Bersani “il grido d’allarme che si spegne con un comma”, 5,5 a Pietro Grasso “arbitro disarmato”, 5 (generoso) a Silvio Berlusconi “giravolte ed esitazioni”, 7 a Matteo Renzi “scacco matto del premier ma ora il gioco si fa duro”, 8 a Maria Elena Boschi “battaglia in trincea, vittoria dell’ostinazione”, 6 a Denis Verdini “Ruolo e tempi giusti, il gol dello spauracchio”…

Viaggia sulle agenzie di stampa e sulle pagine dei quotidiani la piccola vendetta mediatica dei renziani grandi e piccoli: tutti, proprio tutti, avevano calcolato, suggerito, ammonito, previsto che per Renzi questa volta al Senato sarebbe stata dura, troppo dura se non assistiti da Verdini e dai suoi. Al contrario il voto finale sulla legge ha visto 179 sì alla riforma (dovevano essere 180 ma la senatrice Josefa Idem ha detto di essersi sbagliata a votare). Verdini al Senato è accreditato di 13 voti, 179 meno 13 fa 166. La maggioranza al Senato è 161. Verdini dunque è servito ma non serviva.

Viaggia tra la gente un certo disinteresse per la riforma (come per tutto quello che non riguarda immediatamente il portafoglio o il portone di casa ed è appena un po’ complicato). Eppure nella riforma costituzionale che dovrà essere approvata o respinta il prossimo anno per via di referendum popolare (insomma dovremo votare sì o no) ci sono un sacco di cose destinate a cambiare non poco la vita collettiva e associata. Ecco le principali.

1) Camera dei deputati resta il solo ramo del Parlamento che dà o nega la fiducia al governo, 630 deputati come oggi eletti a suffragio universale e diretto come oggi.

2) Senato resta ma profondamente modificato. Non 315 ma 100 senatori (21 sindaci, 74 consiglieri regionali, 5 nominati dal capo dello Stato). Eletti nei consigli regionali su base indicazione degli elettori (per via di listini, preferenze o altro si vedrà in apposita legge nazionale poi da tradurre in altrettante leggi elettorali regionali). Senatori senza stipendio che non daranno più fiducia o sfiducia al governo, avranno piena competenza su leggi costituzionali ma sul resto della legislazione (che viene dalla Camera) potranno solo manifestare obiezione e richiesta di revisione (se un numero congruo di senatori vorrà farlo). La Camera potrà però ignorare se vuole. Quindi la legislazione, le leggi, non avranno più doppio timbro (si dice “lettura”) e non ci sarà doppia contrattazione, mediazione, annacquamento…

3) Aboliti Cnel e Province (ma non erano già aboliti?).

4) I referendum saranno più…veri. Il quorum, se raccolte 800mila firme e non 500mila, si abbassa alla metà dei votanti alle precedenti elezioni politiche. Cioè sarà meno agevole il giochino di vincere i referendum appoggiando il proprio No alla massa del non voto, al numero degli astenuti.

5) Lo Stato centrale si riprende i poteri di decisione in materia di energia, protezione civile e infrastrutture. Insomma non saranno i governi locali a decidere, come di fatto avviene oggi, se una centrale elettrica occorre o no al paese. Oggi tutti i governi locali dicono no e di fatto si sancisce l’abolizione delle centrali. Questa paralisi finisce.

6) Presidente della Repubblica: lo eleggeranno deputati e senatori. Per i primi tre scrutini occorrono i due terzi dei componenti, dal quarto scrutinio si scende a tre quinti, dal settimo scrutinio il quorum è tre quinti dei votanti. In questo modo il capo dello Stato non può essere eletto solo dalla maggioranza che ha vinto le elezioni ma può anche non essere eletto per lunghissimo tempo da un Parlamento come quello in carica che neanche i giudici della Corte Costituzionale riesce ad accordarsi per eleggerli con maggioranza qualificata.

Questo è il pacchetto: chi l’ha votato dice che così l’Italia diventa più moderna e più efficiente e addirittura più competitiva in Europa e nel mondo perché le istituzioni funzionanti e non paralizzate sono economia e democrazia. Chi ha votato contro, anzi che ha abbandonato l’aula non volendo concedere neanche “l’onore” di un voto contrario, dice che è “olio di ricino in arrivo”, “golpe” e “deriva autoritaria”. I primi troppo ottimisti…E i secondi? Troppo teatranti. E una nota a piè di pagina: mantenerlo come era il Senato era spreco e cecità, danno e incuria. Trasformarlo in un mezzo Senato è azzardo e costituirlo con il peggio del ceto politico (regioni e comuni) è incoscienza. Meglio, molto meglio sarebbe stato abolire del tutto la seconda Camera.