Poste: sono azioni, no obbligazioni. Si guadagna e si perde

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 13 Ottobre 2015 - 14:10 OLTRE 6 MESI FA
Foto d'archivio

Foto d’archivio

ROMA – Poste Italiane sbarca in Borsa dando vita alla più grande operazione di quotazione in Europa per quest’anno e alla prima importante privatizzazione italiana da 16 anni a questa parte. Un’operazione da cui la società guidata da Francesco Caio conta di portare un aumento dell’utile ma che rischia di nascondere un’insidia, non certo voluta, per i piccoli risparmiatori. Come racconta infatti la radio del Sole24Ore non sono pochi quelli che pensano che sul mercato finiranno delle obbligazioni invece che delle azioni.

Una differenza non da poco e un possibile equivoco frutto della natura stessa di Poste, assimilabile facilmente ad istituzioni come lo Stato o ai grandi gruppi pubblici e non solo. Quello che sta realizzando in questi giorni Poste è infatti una vera e propria privatizzazione (di circa il 40% del suo capitale): un’operazione che in Italia, almeno su questa scala, i risparmiatori italiani non vedono da oltre tre lustri. Risparmiatori che invece sono stati abituati alle emissioni di obbligazioni che periodicamente diversi enti ed istituzioni di questo tipo producono.

L’equivoco, il possibile fraintendimento, non è responsabilità della società guidata da Caio e presieduta da Luisa Todini, ma chiaramente il frutto di una lettura sbagliata dei risparmiatori. Fattispecie che però non elimina il pericolo di errore.

Ma quali sono le differenze tra azioni ed obbligazioni? Innanzitutto sostanziali: l’obbligazione è infatti una sorta di prestito che il risparmiatore fa all’ente emittente dell’obbligazione a rischio praticamente zero. L’acquisto di azioni è invece l’acquisto di una ‘fettina’ dell’ente o dell’azienda quotata sui mercati che, potenzialmente, può anche concludersi con la perdita del capitale investito.

Scendendo più nel dettaglio, quando si compra un’obbligazione, si presta una data quantità di denaro (poniamo 100mila euro) per un dato periodo di tempo (poniamo 3 anni). Variabili di tempo e denaro che sono, appunto, variabili, ma che sottostanno a regole precise. Ad esempio nel periodo in cui il denaro è prestato il risparmiatore riceve, ogni anno od ogni 6 mesi a seconda degli accordi, una cedola che su un capitale di 100mila euro potrebbe essere di 2mila euro l’anno. Allo scadere poi dei termini, quindi allo scadere dei tre anni nel caso ipotizzato, il risparmiatore rientra in possesso dell’intero capitale versato, cioè i 100mila, e il rapporto si chiude.

Completamente diverso è il caso delle azioni. In questo caso infatti lo stesso ipotetico risparmiatore, investendo lo stesso capitale, cioè 100mila euro, non presta quei soldi a qualcuno ma compra un pezzo (presumibilmente molto piccolo) dell’azienda quotata. In questo caso non ci sono cedole annuali o semestrali ma, al massimo, in quanto azionista il risparmiatore partecipa alla divisione degli utili. Inoltre, sempre il famoso risparmiatore, può far fruttare l’investimento rivendendo le azioni acquistate quando queste hanno un valore maggiore sul mercato, ad esempio rivendendo quello comprato a 100 a 110. Ma, con in mano delle azioni, esiste anche il rischio, scolastico nel caso di Poste, di perdere tutto. Se infatti la società di cui si è azionisti fallisce, si perde tutto. Più concreto è invece la possibilità di perdere parte del capitale perché, se è vero che si può guadagnare rivendendo le azioni ad un prezzo maggiore, è anche vero il contrario, e cioè che scendendo il valore delle azioni le si debba rivendere ad un prezzo più basso.