Quote latte, 4 miliardi: come una Imu. Una tassa targata Lega Nord

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 17 Gennaio 2013 - 16:23 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Quattro miliardi di euro. Tanto sono costate all’Italia le quote latte, o meglio le multe non pagate dagli allevatori e pagate invece da tutti i contribuenti. Esattamente la stessa cifra incassata quest’anno con l’Imu sulla prima casa. Un conto da 4 miliardi appioppato agli italiani dagli allevatori che non hanno rispettato le regole. Una minoranza, neanche duemila poi via via ridotti fino a meno di mille, che “hanno messo le mani nelle tasche” non solo di tutti gli italiani ma anche dei loro colleghi allevatori che non avevano santi in paradiso per non pagare. Santi in paradiso, cioè la Lega e i governi made in Berlusconi che su questo hanno obbedito alla Lega. Lega Nord, il partito che ama urlare “basta tasse” e “via l’Imu”, e che per coprire scarsi duemila amici suoi ci ha fatto pagare un conto pari ad un anno di Imu. L’ha fatto pagare a tutti, compresi i “padani”. E questo, prima ancora di sapere se ci sono stati o no reati penali, è certamente un danno, e che danno, alla collettività.

Le perquisizioni di mercoledì 16 gennaio disposte dagli inquirenti nelle sedi della Lega hanno riacceso i riflettori sulla mai risolta questione delle quote latte, mai risolta da trenta anni. Perquisizione che ad onor di cronaca non riguardano direttamente il partito di Roberto Maroni ma persone e società collegate ala storta storia delle quote latte di cui la Lega è stata sponsor e regista per molti anni. Una questione antica, datata 1984, che è costata alle casse dello Stato italiano quanto la fetta di Imu arrivata dalle prime case degli italiani,  un’enormità. Anche e soprattutto in considerazione del fatto che è un costo addebitato ai contribuenti per colpa e per vantaggio di una microscopica fetta della popolazione: gli allevatori scorretti.

Il Corriere della Sera racconta l’ultima furbizia per truffare le quote lasciando allo Stato lasciandogli il conto degli abusi:

“Si mette su una cooperativa di allevatori che raccoglie il latte e le multe da versare allo Stato quando vengono sforate le quote, la si fa fallire senza versare nulla all’erario, ci si trasferisce in un’altra regione e si ricomincia da capo anche grazie a qualche funzionario pubblico oliato a suon di mazzette. A caccia delle tracce di questa attività frenetica la Procura di Milano ha perquisito l’ufficio della segretaria di Umberto Bossi nella sede della Lega a Milano e quello di un’impiegata della sede di Torino in un’indagine per bancarotta fraudolenta e corruzione che non vede coinvolto né il partito né uomini del Carroccio e neppure le due donne”.

 

Una questione antica, 30 anni in politica e in economia sono un’eternità, e una questione che anche in questo 2013 si ripresenterà visto che, secondo le stime, già a fine marzo il nostro Paese supererà la quota di produzione assegnata. Una questione nata addirittura quando primo ministro era Bettino Craxi e quando, nel 1984, la Comunità europea decise di risolvere il problema della sovrapproduzione di latte applicando lo stesso sistema già sperimentato con l’acciaio: ogni Paese una quota e chi la supera paghi una multa.

L’allora rappresentante italiano, il democristiano Francesco Maria Pandolfi, accettò una quota definita punitiva per il nostro Paese a fronte di vantaggi su altri tavoli agricolo-europei: vino, per esempio, o agrumi, comparti nei quali il nostro Paese accumulava surplus di prodotto. Dal 1984 al 1996 gli allevatori avevano già totalizzato penalità per un valore oggi equivalente a 4 miliardi di euro. Fino al 1995 tutti i governi che si erano succeduti (da Craxi ad Andreotti fino al primo breve Berlusconi) saldarono una parte del conto: 1,7 miliardi di euro, pagando con i soldi dei contribuenti. Ma in quell’anno la Corte di Giustizia europea sancì che l’intervento statale costituiva un aiuto “distorsivo” della concorrenza europea. Dovevano pagare, invece, i produttori che superavano il tetto previsto. Produttori che scesero immediatamente sul piede di guerra, non volevano pagare, con al loro fianco la Lega di Umberto Bossi, partito allora all’opposizione ma che sarebbe stato al governo per gli anni successivi. Da allora l’Italia ha spuntato quote maggiori e altri interventi normativi hanno provato a risolvere la questione, che è stata effettivamente ridimensionata, senza però mai riuscire a risolverla una volta per tutte.

Le quote latte, che sono di fatto una limitazione del libero mercato e della concorrenza, sono state introdotte proprio a tutela degli allevatori. Decise a livello politico perché i produttori in questo settore erano e sono esposti a fluttuazioni di reddito molti forti e il sistema delle quote stabilizza i redditi degli allevatori ed è stato individuato come il male minore rispetto ad alternative come lasciar fallire i produttori quando i prezzi crollano per eccesso di offerta.

Una soluzione però mai accettata da una minoranza degli allevatori che, grazie anche all’appoggio di un partito come quello che era di Bossi, l’ha trasformata in una questione politica e in una fonte di reddito a discapito degli allevatori onesti e dei contribuenti italiani che, ancora una volta, hanno pagato il costo delle malefatte altrui.