Legge non uguale per tutti: statali figli, privati figliastri

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 10 Giugno 2016 - 09:19 OLTRE 6 MESI FA
Legge non uguale per tutti: statali figli, privati figliastri

Legge non uguale per tutti: statali figli, privati figliastri

ROMA – Statali, lavoratori statali: per la legge sul lavoro e per la giurisprudenza sui rapporti di lavoro sono dunque figli privilegiati della Repubblica. I lavoratori privati invece sono ufficialmente figliastri. E la legge non può per loro che essere matrigna. La giustizia ha parlato, a fil di codice e la sentenza sarà di certo formalmente inappuntabile. Ma decreta una somma ingiustizia sociale.

Gli statali, i dipendenti pubblici (circa tre milioni) secondo legge in questa Repubblica se licenziati ingiustamente (o meglio senza giusta causa il che non è proprio la stessa cosa) hanno diritto al reintegro, cioè a ritornare al posto di lavoro. Vanno dal magistrato e,se questi acconsente, si vedono annullato il licenziamento e restituito il posto.

I lavoratori dipendenti privati invece, circa 20 milioni, se licenziati senza giusta causa hanno diritto a un indennizzo in denaro e non al reintegro.

Si tratta di una disparità macroscopica e ingiusta. Che nei fatti si traduce poi in un privilegio noto e ora timbrato come irremovibile: il dipendente pubblico è di fatto illicenziabile (rarissimamente la Pubblica Amministrazione si imbarca nella perigliosa dimostrazione di una giusta causa ai danni di qualcuno dei suoi). Mentre il lavoratore dipendente è licenziabile.

La disparità è evidente, ingiusta e nociva. Nociva perché congela, eternizza uno dei pilastri dell’inefficienza e anche dell’arroganza burocratico-amministrativa. Una disparità che fa danno economico alla collettività e che barrica una categoria nel suo supremo vizio di irresponsabilità.

Di certo i giudici che l’hanno sentenziata questa disparità hanno trovato nei codici ottimi motivi, immaginiamo tra i quali l’impiego pubblico come frutto della vittoria in un pubblico concorso. Ma la pedagogia sociale che promana da una simile disparità è che esiste e persiste una via non soggetta alle leggi del merito e della produttività per sfangarla a vita: l’impiego pubblico. Con il corollario della via clientelare al pubblico impiego.

La sentenza e i Tribunali (e anche le forze politiche e i sindacati) che hanno voluto o subito o accettato questa disparità, questa ingiustizia per malinteso quieto vivere non hanno reso un buon servizio al paese.