Tassa sulla colf, peggio dell’Imu. Se la cambi paghi all’Inps fino a 1451 euro

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 28 Gennaio 2013 - 13:54 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Dal 1 gennaio di quest’anno chi vorrà concludere il rapporto di lavoro che lo lega alla tata dei propri figli, alla badante dei propri genitori o anche alla donna delle pulizie che dà una mano in casa un paio di volte a settimana, dovrà pagare una nuova tassa. Salata? No, salatissima. Poco meno di 500 euro per ogni anno di rapporto di lavoro per un massimo di tre anni. E’ una della norme meno note ma più ingiuste contenute nella riforma del mercato del lavoro firmata dal ministro Elsa Fornero. Come direbbe Corrado Guzzanti: sapevatelo!

La riforma Fornero, così com’è oggi, estende infatti il “contributo di licenziamento” a tutte le categorie di lavoratori e datori di lavoro, senza alcuna distinzione. Una somma, il contributo, che il datore di lavoro deve versare obbligatoriamente all’Inps e che si aggiunge al trattamento di fine rapporto e alla quota della tredicesima già maturata, e una somma che servirà a finanziare l’Aspi e la mini Aspi, le due assicurazioni sociali per l’impiego che a partire dal primo gennaio del 2013 sostituiscono l’indennità di disoccupazione.

“Il contributo – spiega il segretario nazionale di Assindatacolf, il sindacato che ha sollevato il caso, Teresa Benvenuto – è previsto in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato successivi al primo gennaio del 2013”. E riguarda anche i licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo, che possono scattare, per esempio, quando la tata o la badante non si presenta più al lavoro oppure ha rubato in casa.

Unica via di scampo le dimissioni del lavoratore o la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. In sostanza il contributo non va pagato solo quando la colf si dimette volontariamente oppure il contratto viene risolto consensualmente.

Per calcolare l’importo della nuova gabella si devono considerare 483,80 euro per ogni anno di anzianità lavorativa maturata. Se l’anzianità è inferiore all’anno vanno conteggiati soltanto i mesi effettivamente lavorati e, in ogni caso, non si possono conteggiare più di tre anni totali, motivo per cui il contributo non può superare i 1.451,40 euro.

Un vero autentico salasso ancor più iniquo perché la norma, oltre a non fare distinzione tra i dipendenti di una grande industria e il famoso signor Rossi, non distingue nemmeno tra una colf che lavora 24 ore, magari vivendo insieme alla famiglia del datore di lavoro, e una donna delle pulizie che lavora un paio d’ore 2 volte la settimana. Per entrambe andranno versati i 480 e rotti euro per ogni anno d’anzianità.

Per colf e badanti, che a differenza dei dipendenti di una grande azienda possono essere assunte anche solo per poche ore a settimana, andrà quindi versato all’Aspi un contributo indipendente dal tempo di lavoro assicurato e dalla retribuzione percepita. La quota annua viene infatti calcolata per tutti i datori di lavoro sul 41 per cento del massimo mensile previsto per Aspi, (1.180): quindi 483,80 euro. Il versamento sarà poi obbligatorio anche se il lavoratore in questione non chiederà il sussidio all’Aspi.

La tanto discussa riforma varata dal governo Monti, quella che la sinistra avrebbe per anni osteggiato e che l’esecutivo ha festeggiato come punto di svolta per il Paese, è una riforma che ha certamente introdotto degli elementi migliorativi rispetto alla situazione precedente, ma che tra le sue pieghe ha anche portato in dote agli italiani qualche discreto aggravio fiscale.

La norma che riguarda i licenziamenti delle colf e delle badanti, che da oggi in poi peserà non poco nell’economia delle famiglie italiane, potrebbe verosimilmente essere considerata un refuso, è infatti una norma generale che stabilisce il dovere di tutti i datori di lavoro di finanziare in caso di licenziamento, anche quando fosse per giusta causa, il nuovo fondo per i sussidi di disoccupazione: il neonato Aspi. Ma è una norma che non distingue tra Fiat e il classico signor Rossi.

Mettere sullo stesso piano un’azienda con migliaia di dipendenti sparsi per il mondo e la pensionata che paga una ragazza per stirare e lavare le finestre è ovviamente folle e fuori dal mondo, e a meno che gli estensori della riforma non vivano su un pianeta diverso dal nostro è quindi lecito pensare, e sperare, che l’errore venga corretto ma, ad oggi, chi vorrà licenziare la colf beccata a rubare, dovrà versare 500 euro per ogni anno che l’ha avuta sotto contratto.

Una stortura normativa che, oltre a mettere in seria difficoltà molti cittadini italiani, rischia di spingere questo mercato verso l’universo del lavoro nero Universo che nel mondo di colf e badanti è già spesso realtà. Le stime parlano infatti di circa 800 mila collaboratrici domestiche contrattualizzate, e almeno altrettante che lavorano in nero.