Terremoto: dopo 9 mesi 5% “casette” (si fanno in 9 giorni). Tu chiamala, se vuoi, burocrazia

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 29 Maggio 2017 - 12:03 OLTRE 6 MESI FA
Terremoto: dopo 9 mesi 5% "casette" (si fanno in 9 giorni). Tu chiamala, se vuoi, burocrazia

Terremoto: dopo 9 mesi 5% “casette” (si fanno in 9 giorni). Tu chiamala, se vuoi, burocrazia (foto d’archivio Ansa)

ROMA – Terremoto, quello del 24 agosto 2.016. Sono passati nove mesi e Flavia Amabile de La Stampa in un viaggio giornalistico neanche difficile, soltanto serio, conteggia le case prefabbricate, le “casette” effettivamente arrivate nelle zone colpite dal sisma. Nove mesi dopo ad Amatrice circa novanta delle 595 previste. A Norcia 101 casette su 500. A Visso ne sono arrivate nove. Nessuna ad Ussita. Forse 26 a giugno ad Arquata del Tronto…

Per materialmente assemblare una casetta prefabbricata occorrono forse nove…giorni. E i soldi per pagarle a chi le fabbrica il governo li ha stanziati da tempo. I soldi ci sono, le unità abitative prefabbricate si appunto prefabbricano che è questione di settimane al massimo. E allora perché dopo nove mesi nelle zone del terremoto sono arrivate il cinque per cento delle casette previste?

Ti chiamala, se vuoi, burocrazia…E burocrazia la chiama il governo centrale e burocrazia la chiamano i sindaci dei paesi terremotati e burocrazia la chiamano i telegiornali. Ma cosa è mai davvero questa che tutti chiamano burocrazia e nel dir così intendono che è patologia (mal-essere) della Pubblica Amministrazione e non fisiologia, cioè stato normale e standard della cosa pubblica italiana?

Burocrazia è…la tessera sanitaria che avete in tasca. Serve come documento d’identità, serve per il codice fiscale. Ma il chip è vuoto. Vuoto, vuotissimo. Avrebbe dovuto contenere la storia e la cartella clinica dell’individuo. Ma mille Asl e ospedali e dipartimenti e sistemi sanitari ciascuno diverso per Regione e piattaforme e depositi di dati sparsi per la penisola non comunicano tra loro. Non vogliono tra loro comunicare, ciascuno geloso delle proprie competenze e sovranità, ciascuno pigro nelle sue abitudini che chiama diritti. E quindi il chip è vuoto, la tessera sanitaria è monca, amputata della sua vera ragion d’essere. E questo accade per volontà popolare e indifferenza di popolo.

Burocrazia è…la carta di identità elettronica. Ce ne sono in giro non da ieri ma dal 2.000. Già ma non servono a nulla perché ad esempio è freschissima notizia che le Anagrafi locali e quella centrale hanno rinunciato a dialogare per manifesta impraticabilità di linguaggi. Quindi nel paese degli ottomila Comuni non è per nulla detto che quel che c’è nell’Anagrafe di un Comune sia quello che c’è nell’Anagrafe nazionale. Anzi, è probabile che ci sino cose che non combaciano. Vedere per credere la Babele dell’Aire, l’elenco degli italiani residenti all’estero (votano pure). Chi ci mette le mani confessa che è un delirio di inesattezze e improbabilità. A che serve quindi davvero una carta d’identità elettronica? La sua utilità è che essendo di plastica non si piega come quella di carta.

La burocrazia è…l’orrore di ogni Comune e ora di nuovo Provincia e Municipio a cedere anche un’oncia di sovranità e competenza. La burocrazia è un’età media dei dipendenti nella Pubblica Amministrazione pari a 56 anni. La burocrazia è voler fare la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione con una generazione che pensa “digitalizzare” sia fare le stesse cose e procedure di prima solo alla tastiera invece che sulla carta. E’ l’impossibilità di immettere nella Pubblica Amministrazione centomila nuovi assunti giovani e competenti.

I giovani non mancano, le competenze al quanto latitano. Comunque non sono richieste: se un governo volesse e sapesse assumere centomila giovani nella Pubblica Amministrazione, sindacati e pubblica opinione imporrebbero di assumere in prima battuta i precari e l’unica competenza richiesta sarebbe di fatto (come nella scuola) l’anzianità di precariato. D’altra parte un concorso o una verifica delle competenze tra gli aspiranti alla cattedra almeno nella scuola ha portato al disvelamento di un tasso di impresentabile ignoranza almeno nel 30/40 per cento dei candidati.

E comunque nella Pubblica Amministrazione i giovani e competenti dovrebbero essere non solo assunti che magari prima o poi male e tardi accadrà. Dovrebbero essere immessi nella dirigenza, diventare i dirigenti. Ma contro l’idea vissuta come blasfema che giovani competenti scalzino e sostituiscano l’attuale dirigenza della Pubblica Amministrazione ci sono i sindacati, i diritti, la fiera resistenza di tutti gli interessi costituiti e protetti, anche fuori della Pubblica Amministrazione.

Burocrazia è un paese immobile che vuole restare tale, un paese dove ogni posizione occupata, anche minima, è rendita e reddito. Burocrazia non è la politica che pure è complice e ricettatrice. Burocrazia sono, siamo milioni di “gente” legati da fasci d’interesse, interesse a far pagare pedaggio a chiunque e qualunque cosa passi davanti alla nostra postazione. Fosse anche una casetta per i terremotati.