Vasto, Rigopiano: la claque del linciaggio, dai social ai pulpiti

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 3 Febbraio 2017 - 14:23 OLTRE 6 MESI FA
Vasto, Rigopiano: la claque del linciaggio, dai social ai pulpiti

Vasto, Rigopiano: la claque del linciaggio, dai social ai pulpiti

ROMA – Vasto, il magistrato che indaga l’ha chiamata la “claque dei morbosi”. Sono coloro che hanno tifato sui social network, al bar e in corteo per una giustizia “che punisse veramente”. Migliaia di cittadini, mica due. E tutti, proprio tutti, corresponsabili per quota parte di un omicidio istigato, quello con cui Fabio Di Lello ha “giustiziato” Italo D’Elisa.

Italo D’Elisa, l’ammazzato a colpi di pistola, non era stato graziato da nessuna giustizia molle o tardiva come per mesi hanno sostenuto e soffiato le velenose e volenterose “comari” tecnologiche ma anche quelle più classiche della maldicenza a prescindere. Maldicenza acida, violenta che chiede punizioni, sacrifici, pene sempre e comunque. Appunto, la “claque dei morbosi”. E’ sempre esistita nella storia umana ed ha sempre applaudito il sangue, i boia e i giustizieri (l’immagine più classica è quella delle tricoteuses francesi, le donne che sferruzzavano ciarliere e serene ai piedi della ghigliottina mentre rotolavano teste). Ma ora la “claque dei morbosi” è diventata addirittura opinione pubblica.

La claque non ha mai voluto sapere che Italo D’Elisa aveva sì causato la morte di una donna, la moglie di Fabio Di Lello, passando con la sua auto quando un semaforo era rosso, ma andava a 50 all’ora, non era ubriaco, non aveva assunto droghe. Insomma era certo colpevole di imprudenza, disattenzione. E le sue colpe avevano causato una morte. Ma non era stato certo uno di quelli che si mettono al volante sapendo che possono uccidere guidando sotto alcol, droga o ad alta velocità, sapendolo e fregandosene. Correttamente, giustamente, secondo legge e buon senso D’Elisa era stato trattato dalla giustizia come un colpevole ma non un criminale.

Distinzione intollerabile per la claque della “giustizia, quella vera”. La giustizia “vera” sarebbe quella del taglione, del clan contro clan, del sangue che lava sangue, dello Stato infame che con i suoi giudici e Tribunali è dalla parte dei criminali. Di questa immondizia della legge, della morale e della civiltà si è nutrita a Vasto la “claque dei morbosi”. Migliaia in una piccola cittadina, davvero solo un “morbo”, una malattia in un corpo sano? Di certo vasta malattia.

Rigopiano, la telefonata tra la Prefettura di Pescara e Bruno Di Tommaso amministratore dell’albergo della tragedia mostra che un drammatico equivoco di cui sono stati tutti vittime e nessuno è stato colpevole ha confuso e depistato. Correttamente impiegati e funzionari della Prefettura, ricevuto primo allarme sulla situazione dell’albergo, cercano verifiche e conferme. E trovano al telefono Di Tommaso che dice di aver comunicato “fino a mo’” con l’albergo e tutto era in piedi e che il problema grave era la strada chiusa dalla neve. La telefonata avviene alle 17.40, Di Tommaso ha comunicato via web con l’hotel e la disgrazia ha voluto lo facesse solo pochi minuti della valanga. Quando parla con la Prefettura rassicura di fatto, non sa, non può sapere. E il funzionario in Prefettura non può in alcun modo supporre che Di Tommaso non sappia.

Tutto questo non è stato raccontato come il drammatico equivoco. Ma per giorni e giorni come la prova di infingardi e deficienti alla Protezione dei cittadini. Gente che non capisce niente al telefono, che se ne frega, che sghignazza incosciente e colpevole di fronte agli allarmi. E quindi perentoria richiesta del fuori i nomi di chi ha impedito arrivassero i soccorsi in tempo. I gruppi Facebook, le chat Wathsapp  e le televisioni di “approfondimento” sono ancora lì con l’indice alzato a cercare i colpevoli da punire.

Come la chiamiamo questa “claque” del punisci-punisci? Quella formatasi tra la gente di Vasto, quella formatasi tra la gente d’Italia a proposito di Rigopiano, quelle sorelle gemelle che ogni giorno si formano per ogni dove in Italia. Hanno un nome chiaro e netto, possiamo chiamarle tutte con il nome che le riassume e comprende: claque del linciaggio.

Già il linciaggio è sempre piaciuto al popolo. La legge, perfino quella degli sceriffi nel west, è arrivata proprio per impedire al popolo di fare quel che gli dettano le viscere, l’odio, l’ignoranza, il rancore, la tribù. La legge, anche quella degli sceriffi, non è lì per fare quel che vuole la gente. La legge e la polizia esistono per il contrario, per garantire che non si faccia quel che vuole la gente, per garantire che la gente non sia tribunale e gendarme. Per garantire la sicurezza di tutti e di ciascuno non si fa quel che vuole la gente, perché la gente che si fa la sua giustizia sempre e solo sa farsi boia e niente altro. Il linciaggio è la giustizia della gente, il processo è la giustizia della legge e della civilizzazione.

Oggi in Italia è tutto un fiorire di claques del linciaggio. Ne sono contenitori e megafoni e strumenti e habitat e culle i social network. Ma anche le televisioni non scherzano nel carezzare il pelo ai linciatori. E una mano la danno anche quei sacerdoti che vanno dove l’onda va. “Non si può morire per una turbina” è stato detto dal pulpito di un funerale. Processo lento è stato detto da un pulpito a proposito di Vasto. Signore, perdonali questi uomini in veste talare perché non sanno cosa dicono, nessuno è morto per una turbina e il processo al povero D’Elisa era tutt’altro che lento. Quelle tonache, che lo sappiano o no, impartiscono assoluzione alla claque del linciaggio.