Catalogna, ecco perché la secessione è una sceneggiata illegittima

di Antonio Buttazzo
Pubblicato il 15 Novembre 2017 - 06:34| Aggiornato il 2 Ottobre 2018 OLTRE 6 MESI FA
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Catalogna, ecco perché la secessione è una sceneggiata illegittima

BARCELLONA – In ragione delle specificità culturali dei singoli territori, la costituzione post-franchista spagnola del 1978, ha introdotto le Comunità Autonome che in realtà, contrariamente a quanto si pensa, sono 17, coincidenti con tutto il territorio nazionale ad eccezione di Ceuta e Melilla, enclave spagnole nel maghreb marocchino.

È dunque concettualmente sbagliato ritenere che la Catalogna sia più autorizzata di altre comunità a rivendicare la propria specificità – e con essa i vantaggi economici connessi – per mezzo della minaccia della secessione, probabilmente il vero fine della sceneggiata del Referendum con cui la minoranza, ricordiamolo, dei Catalani ha scelto di staccarsi dalla Spagna.

L’illegittimità del Referendum dal punto di vista costituzionale è evidente.

Anzitutto non è prevista dalla Carta Costituzionale che tutela ed anzi impone l’integrità territoriale della Spagna.

Dal punto di vista del diritto internazionale, come suggerisce il prof. Pasquale De Sena, esso poteva sicuramente tenersi nel senso che non è vietato da nessuna norma.

Quello che è dubbio è la riconducibilità della pretesa catalana al “principio dell’autodeterminazione dei popoli” che pare debba escludersi dal momento che il principio copre la decolonizzazione, l’occupazione di territori con la forza armata, la discriminazione razziale.

Neppure si può parlare di autodeterminazione interna, intesa come diritto a un governo democratico e rappresentativo delle unità nazionali presenti in un certo territorio: ciò perché (indipendentemente dal se un simile principio esista o meno sul piano consuetudinario) è evidente che le condizioni in questione sono rispettate in Spagna. 

Anche a volere ammettere, dunque – senza concederlo – l’esistenza di un diritto alla secessione-rimedio, da far operare nei casi suddetti, esso non opererebbe nel caso in questione, come conclude De Sena.

E dunque, a parte far apparire come uno statista uno come Rajoy, un tale del quale diffideresti della risposta anche se ti fossi limitato a chiedergli l’ora, quale è il significato della sortita di Puigdemont?

Vedere come funziona l’art. 155 della Costituzione spagnola, mai applicato neanche nei tempi bui del terrorismo basco? 

Forzare la mano al governo centrale per ottenere maggiori favori per la Comunitat? 

La morte delle “ideologie” ha favorito senza dubbio la rinascita delle autonomie locali, in antitesi agli Stati nazionali spesso identificati come fulcro degli interessi dei poteri centralizzati ed iper politicizzati.

In Italia, gli stessi referendum lombardo-veneti ne sono un segnale.

Tuttavia, proprio la Spagna è la prova che lo Stato Nazionale nato dalle ceneri del franchismo ha saputo tenere nella massima considerazione le esigenze di una comunità nazionale frammentata, concedendo massima autonomia alle proprie regioni.

Jordi Pujol, leader storico dei catalani che ha governato quella comunità per 23 anni, ha saputo negoziare per la Catalogna Repubblicana, che aveva pagato il prezzo più alto alla dittatura franchista, condizioni di autonomia molto ampie con il potere centrale di Madrid.

Era cattolico, repubblicano ed antifascista.

Figlio di tre “ideologie” forti, dunque capace di idee e progetti.

Puigdemont è un giornalista di provincia, poco attrezzato intellettualmente ed “ideologicamente”, a gestire niente meno che una “secessione” nel cuore dell’Europa.

Un avventurismo il suo che, come già si vede, non porterà a nulla di buono.

Né per la Spagna né per la Catalogna.