Migranti in marcia verso gli Usa sfidando il terrore di Trump, simbolo dell’America povera e disperata

di Antonio Buttazzo
Pubblicato il 21 Novembre 2018 - 06:47 OLTRE 6 MESI FA
Migranti in marcia verso gli Usa sfidando il terrore di Trump, simbolo dell'America povera e disperata

Migranti in marcia verso gli Usa sfidando il terrore di Trump, simbolo dell’America povera e disperata Nella foto una immagine di speranza, il bambino che guarda il futuro seduto sulle spalle del padre

Accade che le genti d’America, più di altri popoli, siano storicamente, quasi sempre per necessità, destinate, qualche volta anche condannate, ai lunghi viaggi a piedi – o al più con mezzi di fortuna -tra i vasti territori di quel continente.
Lo testimonia, da ultimo, il lungo esodo degli honduregni dalla mesoamerica ai confini degi Usa, che segue di poco un’altra marcia ancora più lunga, quella dei venezuelani che, attraversando Colombia ed Equador, cercano, di raggiungere il meno povero Perù.
Dal Venezuela, migliaia di uomini, donne, bambini, si sono incamminati a piedi, senza avere una meta precisa, verso il Paese andino, col solo proposito di abbandonare una nazione che non offre più prospettive di una vita appena dignitosa.
Honduregni e venezuelani, hanno provocato, tra le élite dei loro governi, non pochi grattacapi per le intuibili ragioni politico-diplomatiche causate da fenomeni di questo genere.
Ma, durante le estenuanti marce, non sono mancate tortillas e sorrisi, insieme alla naturale solidarietà delle comunità dei Paesi che stanno attraversando.
Confortanti segnali di fratellanza tra popoli uniti da storia, lingua e ascendenze culturali, contrapposte alla politica opportunista e sovranista di un Donald Trump sempre più feroce con gli immigrati, che governa un Paese creato da immigrati.
C’è poi in Brasile il movimento dei “sem terra” (senza terra), che fin dai primi anni 80 rappresentò una novità assoluta nel panorama delle frequenti proteste che caratterizzavano quell’epoca.
Tra echi di terzomondismo e rivendicazioni sociali, masse di lavoratori rurali sfruttati dai coroneis, proprietari dello sterminato e spesso incolto latifondo brasiliano, si organizzarono per occupare e lavorare le tante terre incolte del Paese.
“Ocupar, resistir, produzir” era il grido dei trabalhadores rurais in marcia, che pagarono spesso con la vita le loro velleità di giustizia sociale in un Paese che di giustizia ne offriva molto poca.
Masse di donne e uomini brasiliani muovevano a piedi dagli aridi sertaos (deserti) nordestini, verso le fertili terre del sud,  con l’obiettivo di occupare, per lavorarle, le terre improduttive e spesso abbandonate cercando così di affrancarsi dalla miseria.
Saranno quei vasti territori ad ispirare quelle partenze di massa o la cronica indigenza che ha sempre attanagliato quelle genti, ma la storia americana è costellata da esodi di questo genere, che non hanno risparmiato neanche il Nord America.
Tra gli anni della grande depressione e la seconda guerra mondiale, centinaia di migliaia di nord americani, a bordo di carrozze e carrette e molto più spesso a piedi, trascinandosi pochi cenci, attraversarono gli USA migrando dalle ventose, fredde e sterili pianure del midwest fino alla assolata east cost,  dove era maggiore la possibilità di trovare un lavoro che li avrebbe sottratti alla vita miserrima che conducevano.
Erano spesso biondi e con gli occhi azzurri, venivano dalla Irlanda e dalla Germania, molto diversi dai paraibas brasiliani, neri o meticci, dagli indios centroamericani o dai sottoproletari di tutti i colori del Venezuela.
Ma avevano la stessa fame raccontata nella saga dei Joads da John Steinbeck in “Furore”, il capolavoro che gli valse il premio Nobel per la letteratura.
La lunga marcia di honduregni, guatemaltechi, nicaraguensi, giunta oramai ai confini del Rio Bravo, altro non è che la rappresentazione di uno scenario apparso tante volte sul continente Americano.
Oggi come prima, è la plastica figurazione delle iniquità e delle ingiustizie perpetrate da pochi ricchi in danno dei tanti poveri, che hanno contribuito, per dirla con le parole di Eduardo Galeano, a squarciare le vene aperte di una America già ferita.