Berlusconi e Fini, leader e delfino: il gatto col topo

Pubblicato il 29 Marzo 2009 - 10:54| Aggiornato il 30 Marzo 2009 OLTRE 6 MESI FA

Gianfranco Fini è riuscito a occupare la scena, sabato 28 marzo, a Roma al Congresso di fondazione del nuovo partito della destra, il Pdl. Ne aveva diritto.  In fondo, almeno di nome, più o meno metà di quel partito veniva dal suo vecchio partito, An.

Quel partito, a sua volta lui, Fini, lo aveva abilmente traghettato, dalle “fogne”  (di “fascisti carogne”) in cui l’aveva  per anni relegato la necessità di avere un nemico dell’ “arco costituzionale”, a un partito sdoganato, poco meno di vent’anni fa.

In questo tragitto c’è uno dei più radicali cambiamenti della storia d’Italia. Pochi anni prima, i giornalisti della Stampa non fecero uscire il giornale perché riportava, in dieci righe a una colonna in cronaca, la notizia di un comizio di Giorgio Almirante, all’epoca segretario del Msi, da cui An è stata partorita. All’epoca Fini stava appiccicato come un’ombra ad Almirante, fino a succedergli. Oggi Fini è il pane quotidiano di tanti giornalisti, Stampa inclusa, e tutti pubblicano felici le sue foto in cravatta un po’ da matrimonio, celeste sgargiante (Berlusconi, che porta da sempre solo la stessa cravatta blu a pallini bianchi deve rabbrividire). Altro che sciopero: è meglio del Festival di Sanremo.

Per “sdoganare” gli ex fascisti, decisiva, fondamentale, quasi maieutica era stata l’intuizione politica unita al coraggio spregiudicato di Silvio Berlusconi.

Per questo, in fondo, Berlusconi ha sempre considerato An una sua pertinenza (da bravo immobiliarista). E in fondo i nuovi capi di An, quelli venuti al comando più o meno in quegli anni, avevano sempre riconosciuto in Berlusconi un padre putativo. Senza di lui sarebbero stati, nella migliore delle ipotesi, poco di meno che una versione fascista dei centri sociali, sempre gravati dal marchio di picchiatori e mazzieri, poco adatto ai salotti del potere  (e dei consigli di amministrazione delle grandi aziende a capitale pubblico) che brillavano sullo sfondo della conversione.

Per Fini ora non si aprono grandi prospettive. La domenica mattina, il 29 marzo, i commenti sono tutti per lui. «Meno male che c’è Fini», sospira Eugenio Scalfari su Repubblica. E probabilmente la partita è ancora aperta. Forse i “colonnelli” dell’ex An qualche vincolo sentimentale, culturale, politico con Fini lo hanno conservato. Ci sono alcuni isolati individui che sono anche oltre e non accettano proprio il nuovo partito.

Ma non è nemmeno certo che gli sia garantito il ruolo di delfino. Intanto perché lo stesso Berlusconi, che si considera immortale, non vuole nessun delfino. Secondo, perché il gioco della politica ne lancia subito almeno uno, il ministro dell’economia Giulio Tremonti, che un forte peso nel governo, fa da spalla ai vari giochi di Berlusconi, e ha in più l’appoggio della Lega, la potenziale spina nel fianco del Cavaliere. E se mai Berlusconi riuscirà a convicere Pierferdinando Casini  a tornare all’ovile, una qualche promessa di successione dovrà pur fargliela, senza scadenza ovviamente perché quelle sono scritte in un altro mondo.

La grande strategia di Berlusconi è vincente, perché è nella logica della spina impressa alla politica italiana dal movimento referendario di Mario Segni e di una parte della sinistra, è nella logica della sciagurata Bicamerale (e infatti Massimo D’Alema, giustamente, ha subito detto: siamo pronti a dialogare sulle riforme): tutto con lo scopo di rendere più stabile la politica italiana, sottrarre i governi al ricatto dei piccoli partiti e rendere quindi la gestione del Paese possibile attraverso la politica e non l’amministrazione.

Ci sarà spazio in tutto questo per Fini? A guardare le foto che corredano questa nota, vengono molti pensieri. E dovrebbero venire anche alla sinistra. Non devono mai dimenticare che Berlusconi è il più bravo di tutti, ha un bagaglio di esperienza e di vita che tutto il resto del Parlamento riunito non ha, e ha una visione strategica della politica che dissimula abilmente sotto la maschera del venditore brianzolo e adatta alle convenienze tattiche del momento. Finora ha sempre (o quasi) vinto lui e a questo punto, a metà strada tra i settanta e gli ottanta anni, una piccola tentazione cesaristica può anche essere giustificata. Questo è il rischio.