Effetto voto Emilia Calabria sul Job’s act: Renzi come nel burro

di Claudia Fusani
Pubblicato il 25 Novembre 2014 - 09:30 OLTRE 6 MESI FA
Effetto voto Emilia Calabria sul Job's act: Renzi come nel burro

La Camera dei Deputati: paesaggio surreale per la approvazione del Job’s act, scrive Claudia Fusani

ROMA – Effetto del voto in Emilia Romagna e Calabria sulla Camera dove si deve votare il Job’s act: surreale.

Qualche strepito Cinque stelle.

Il sangue freddo e la voce stentorea del vicepresidente della Camera Roberto Giachetti che alla fine ne butta fuori un paio.

L’aplomb d’acciaio di Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro dela Camera, ex sindacalista, che contro questa delega ha combattuto a lungo ma ora, “modificata” nella parte dell’art.18, la vota.

Per il resto, questo lunedì dopo il voto del 23 novembre, è stata una sonnacchiosa giornata parlamentare, molti sbadigli, capannelli silenziosi, poco da dirsi, molte occhiate.

È che dopo una notte così, con quei numeri, con quel volo della Lega, lo stonfo dei Cinque stelle, l’umiliazione del centro destra, il congelamento dei voti Pd e dell’entusiasmo per il giovane leader, uno s’aspettava la resa dei conti. Lo strappo, il grido, il cigno nero della legislatura.

Quale occasione migliore, poi: ieri l’aula di Montecitorio avrebbe iniziato le votazioni sul “famigerato” e “lacerante” job’s act. Sulla tormentata delega al governo per modificare le regole d’ingaggio del mondo del lavoro. Soprattutto per i precari. L’occasione ideale per regolare i conti in sospeso di una legislatura nata barcollando, proseguita a dispetto di tanti e che ora deve fare i conti anche con la Lega che doppia i voti di Forza Italia, la lenta e forse inesorabile consunzione dei Cinque stelle, la ribellione di una regione come l’Emilia Romagna che seppellisce il suo cuore rosso. O lo congela o lo tradisce e manda a votare solo il 37 per cento degli aventi diritto.

E invece lunedì 24 novembre è stata una giornata surreale. Forse lo show down è solo rinviato e magari tra poche ore dovremo raccontare un’altra storia. Certo è che le votazioni fino alla vigilia sulla carta più difficili, quelle sul job’s act, sono state invece le più semplici.

“Potremmo anche chiudere tutto domani sera (martedì 25 novembre, ndr) con un giorno di anticipo e senza ricorrere alla fiducia”

ha auspicato a metà pomeriggio lo stesso Cesare Damiano. In effetti alle 18 la metà degli emendamenti era già stata respinta (34 su 68) e non sembrano esserci le condizioni per fare scattare la fiducia.

“Contrariamente alle previsioni di alcuni profeti di sventura non solo abbiamo cambiato nel profondo la delega sul lavoro con 37 emendamenti – ha rivendicato Damiano – ma abbiamo anche evitato la fiducia alla Camera. Non era affatto scontato”. Soddisfatto persino il ministro Poletti perché “il lavoro va avanti ordinatamente”.

Nessuno avrebbe osato anche solo immaginare tanto ordine.

Delle due l’una: o la guerra delle scorse settimane sul job’s act è stata solo una questione di bandiera e la battaglia è rinviata ormai alla scrittura dei decreti delegati; oppure le opposizioni, dalla sinistra dem a Sel per finire a Lega e Cinque stelle ieri si sono distratte un attimo. O meglio si sono prese il tempo per meditare su successi e sconfitte in Emilia Romagna e in Calabria. Lasciando i sindacati un po’ più soli a combattere la battaglia.

Ma c’è anche una terza ipotesi: in qualche modo per Renzi è una vittoria. Al netto del dato affluenza, aver “asfaltato” Forza Italia e Cinque stelle risponde esattamente ai piani del premier-segretario a cui restano due soli avversari:

  • la destra populista e lepenista di Salvini, “nemico” ideale per il costruendo Partito della Nazione;
  • la sinistra, la minoranza dem e Sel, ai cui elettori però il premier segretario manda continui messaggi.

Ricordava lunedì in Transatlantico un deputato centrista presente al vertice di maggioranza di due settimane fa: “Renzi ce lo fece capire chiaramente che il suo obiettivo era annullare Forza Italia e grillini, nel senso di privarli di ogni arma utile. L’ipotesi di doversela poi vedere con uno come Salvini, sarebbe come invitare la lepre a correre”.

A ben vedere è esattamente questo lo schema uscito dalle urne del voto di domenica.

La cronaca surreale della giornata parlamentare senza una vera opposizione in aula ne è il riflesso più immediato. Lunedì sono stati votati tutti gli emendamenti tranne uno rinviato a stamani. Il Pd ha votato sostanzialmente in modo compatto e ha respinto tutti gli emendamenti.

Nello specifico dell’articolo 18 – così ha detto Sel – 17 deputati della minoranza dem hanno votato a favore di un emendamento dell’opposizione per difendere il diritto al reintegro nel posto di lavoro dopo un anno di prova.

C’è stata un po’ di baruffa solo nel tardo pomeriggio quando il presidente di turno, Roberto nato Giachetti, ha cacciato dall’aula due grillini (Dell’Orco e Della Valle) perchè fotografavano e interrompevano gli interventi di Damiano. L’obiettivo di approvare il testo in seconda lettura al Senato sembra a portata di mano. I primi decreti delegati (revisione degli ammortizzatori sociali e contratto a tutele crescenti) potrebbero già arrivare entro la fine dell’anno.

E tutte le voci, le minacce e gli ultimatum delle ultime settimane?

Presto fatto. Mezzi vuoti, comunque distratti, i banchi della Lega impegnati a festeggiare il 23 per cento raggiunto in Emilia Romagna e a lanciare la sfida al premier.

“Quando Renzi vorrà, noi siamo pronti” ha detto Salvini.

I due Matteo alla guerra. Letteralmente frastornata Forza Italia ridotta all’8 per cento in Emilia Romagna.

Martedì Berlusconi scenderà a Roma e incontrerà i vertici del partito. Ma Raffaele Fitto è già partito all’attacco: “Azzerare tutte le cariche”. Per fare cosa poi non si sa.

Renato Brunetta chiede “un immediato e necessario rilancio”. Con Berlusconi “ancora leader” ovviamente. Sisto lancia la mozione dell’orgoglio: “Dobbiamo ricostruire l’invincibile armada per bloccare l’opa che Renzi e Salvini hanno lanciato sull’elettorato di centrodestra moderato”.

Il partito di Alfano si è salvato per miracolo in Calabria e se Forza Italia piange loro hanno gli occhi lucidi. Cicchitto si può però divertire guardando in casa degli altri: “Hai visto Salvini come ha fregato Forza Italia?”. A destra non c’è altra soluzione che una reunìon.

Dal lato Cinque stelle il leader rauco e senza palco scrive un blog in cui rivendica una qualche tenuta del loro elettorato.
La sinistra dem si agita in silenzio. Martedì Fassina, Cuperlo e Civati incontrano alla Camera una delegazione della Fiom-Cgil insieme con Sel. Dipende tutto dalla fiducia: se il governo la evita, toglie un’arma alla minoranza.

Potrebbero essere una trentina i voti contrari tra le fila del Pd. Che invece cavalca l’astensionismo.

Alfredo D’Attorre parla di “700 mila voti persi rispetto all’exploit di maggio”.

Bersani sottolinea come “l’astensionismo racconti dello spaesamento e del rifiuto di politiche e parole divisive”.

Se qualcuno non si fidasse dei calcoli della minoranza dem, provvede l’Istituto Cattaneo a dare analisi scientifiche: in Calabria, nonostante la vittoria netta di Oliverio, il Pd ha perso 82.711 voti rispetto a maggio; in Emilia Romagna la perdita è stata di 667.283 voti pari al 55,9% in meno.

Forza Italia è costretta più di tutti a leccarsi le ferite. Vedremo cosa s’inventa Berlusconi. Che però, tutto considerato, ha una sola opzione: restare attaccato al patto del Nazareno per giocare un ruolo nella delicatissima partita del Quirinale.