Renzi e Codice Chitarella, art. 28: sparigliare. Berlusconi e Grillo tela mulino

di Claudia Fusani
Pubblicato il 7 Novembre 2014 - 20:00 OLTRE 6 MESI FA

 

Renzi e Codice Chitarella, art. 28: sparigliare. Berlusconi e Grillo tela mulino

Maria Elena Boschi: “Con o senza Forza Italia noi andiamo avanti…”

ROMA – Osserva la scena incuriosito. Commentatori e notisti politici si sono affrettati a riesumare un lessico antico – “i due forni” e “le maggioranze variabili” – per spiegare la tattica del premier che da una parte avverte Berlusconi – “il Nazareno scricchiola, eccome se scricchiola” – e lo incalza con la vocina del ministro Maria Elena Boschi: “

Se Forza Italia va lenta, noi procediamo da soli”.

E dall’altra porta a casa Corte costituzionale (quasi) e Csm e un paio di cosette parlamentari (responsabilità civile e mozione sul Sud) grazie ad un insperato asse con i Cinque stelle.

Ma anche lessico e tattiche vanno aggiornati ai tempi del renzismo. E la suggestione migliore arriva da quel maestro dello scopone scientifico che si chiamava Chitarella e che nel ‘700 consegnò agli appassionati il regolamento dello Scopone, del Tressette e di un altro gioco che si chiamava Il Mediatore.

E se finora abbiamo immaginato Renzi come un giocatore d’azzardo, uno che tira la corda fino a un secondo prima che si spezzi, “uno che bluffa sempre” come ha detto anche l’astro nascente dei Cinque stelle Luigi Di Maio, è il caso forse di ricredersi velocemente alla luce della regola n.28 del Codice Chitarrella.

La regola fondamentale: quella dello spariglio. Chiediamo subito scusa ai professionisti dello scopone per averli tirati per la giacchetta. Ma la suggestione è ghiotta.

Non c’è dubbio che Renzi sia il cartaro, quello che dà le carte: è il più forte, gode ancora di un buon gradimento, in otto mesi ha messo al fuoco tanta roba, si sta facendo rispettare in Europa e al tavolo con lui ci sono giocatori un po’ scarsi.

Le carte non sono buone: indici economici negativi, stagnazione, deflazione, disoccupazione, crisi di modelli industriali, un paese quasi privo di regole fondamentali, a cominciare dalla legge elettorale. E però, queste sono. Per giocare la partita, almeno finora, il premier ha scelto di fare coppia con Berlusconi: nonostante lo scisma aveva numeri alti in Parlamento e i Cinque stelle non volevano trattare con “l’ebetino” (cit. Grillo).

Nasce così il 18 gennaio e il patto del Nazareno: per fare asse e massa numerica per le riforme costituzionali e la legge elettorale. L’Italicum fu approvato alla Camera a marzo e da allora è fermo al Senato. L’8 agosto è stata approvata la riforma costituzionale al Senato che adesso è in commissione alla Camera. Fin qua, più o meno, il patto ha retto.

Solo che adesso Renzi ha fretta e non può più indugiare tra le minacciate scissioni a sinistra e quel caos di correnti che è Forza Italia, gregge di anime perse per via di un leader politicamente dimezzato e distratto. Non può più aspettare perché ha promesso al presidente Napolitano di fare la riforma elettorale (la Corte che ha sede nel palazzo della Consulta ha dichiarato incostituzionale il sistema di voto che nel 2013 ha eletto questo Parlamento) e perché la dialettica parlamentare prolungata e sterile lo fa precipitare nei consensi.

E allora spariglia. Continuamente. All’improvviso. Punta a far restare gli avversari con una carta sola. O a cambiare compagno di tavolo.

Forza Italia indugia sulla legge elettorale e alza la testa sulla legge di Stabilità?

Renzi rilancia.

Corregge l’Italicum con il premio alla lista anziché alla coalizione, cosa che al momento confina Forza Italia al terzo posto dopo Pd e M5S. E lo vuole portare in aula entro novembre.

L’ex Cavaliere gli dice che non sa, che così “non tiene i suoi” e che poi insomma, “se facciamo ‘sta legge è chiaro che andiamo a votare”.

Il premier nega, dice che la legislatura andrà avanti il tempo delle riforme. Poi però gli capita a fagiolo, e gli va in porto, l’alleanza con i grillini su Consulta e Csm. Della serie: ho i numeri per andare avanti.

I parlamentari azzurri trasecolano. “Nazirenzi ha rotto il patto” attacca il capogruppo Brunetta.

In realtà gli altri, le truppe, sono sull’orlo di una crisi di nervi e nei capannelli di Montecitorio il terrore di un voto anticipato, e di non tornare in Parlamento, è assai più indigesto che il premio di maggioranza alla lista e la previsione di diventare residuali incalzati da Salvini e Grillo.

I Cinque stelle intanto avevano bisogno di far pesare la loro forza parlamentare. Lo dovevano dimostrare ai loro elettori. E hanno sbloccato l’indecente stallo della Corte costituzionale.

È finito l’immobilismo? E perché adesso e non un anno e mezzo fa?

Renzi il cartaro ha creato lo spariglio totale. Una scossa per ripartire e uscire dalle polemiche parlamentari. Consapevole di avere un’arma eccezionale: nessuno di quelli che stanno in Parlamento, né a destra né a sinistra, vogliono andare a votare. Perché hanno quasi tutti da perdere.

Tranne l’altro Matteo, Salvini e la Lega. Quarantotto ore sono sufficienti per rimettere i giocatori al tavolo.

Paolo Romani, capogruppo di Fi al Senato, la mette così: “Il Patto tiene, è chiaro che servono assestamenti ed approfondimenti. E Verdini è insostituibile”.

Il grillino Di Maio si sottrae subito a facili conclusioni: “Renzi bluffa, bluffa sempre”. E Crimi, uno dei primi capigruppo, precisa: “Né accordi, né asse Pd-M5S, nessuno scambio di voti”.

La perfida Nunzia De Girolamo – che con Ncd al governo ha i suoi problemi di identità e di sopravvivenza – s’impegna a paragonare “Grillo a Verdini, entrambi fanno patti con Renzi”.

Il web grillino si ribella.

Berlusconi parla da Milanello: “La situazione politica è terribile”. Che suona come un mettere le mani avanti, della serie: cari ragazzi, siamo nell’angolo ma l’alternativa è il precipizio.

Il Patto del Nazareno è destinato a reggere. Ma anche a cambiare, profondamente: non più un accordo tra pari ma un patto di necessità. Dove Renzi comanda. E Berlusconi è più debole ma dovrà al tempo stesso risultare indispensabile e quindi più forte con i suoi che in aula dovranno votare.

Il tasso di fiducia nei Cinque stelle è troppo basso. Meglio tenersi il Caimano. Anche perché la partita sulla costituzionalità della Severino, aperta dall’ex pm De Magistris, potrebbe diventare una straordinaria contropartita.