“Deflazione + recessione”: l’articolo di Giuseppe Turani

di Giuseppe Turani
Pubblicato il 31 Agosto 2014 - 06:30 OLTRE 6 MESI FA
"Deflazione + recessione": l'articolo di Giuseppe Turani

“Deflazione + recessione”: l’articolo di Giuseppe Turani

ROMA – “Deflazione + recessione” è il titolo con cui Giuseppe Turani ha presentato per la sua rivista Uomini e Business questo articolo già pubblicato sul Quotidiano nazionale il 30 agosto:

“Mai la lettura dell’attualità economica è stata chiara come oggi. E sconfortante. Nel secondo trimestre dell’anno (quello chiuso a giugno) la crescita è stata, rispetto al precedente, negativa: siamo andati cioè indietro dello 0,2 per cento. A questo dato si può aggiungere che “meno 0,2 per cento” sarà anche il risultato finale del 2014. E quindi già oggi si può affermare che l’Italia è in recessione da tre anni. Non si è mai risollevata, nonostante tutte le promesse, i proclami e le chiacchiere.

Se poi si tiene conto che gli anni precedenti non sono stati una meraviglia, siamo in crisi netta da almeno sette anni. In recessione conclamata da tre, mille giorni in cui siamo andati indietro invece che avanti.

In queste condizioni la disoccupazione è risalita al 12,6 per cento (e non scenderà tanto facilmente): purtroppo non poteva essere altrimenti. Se un’economia si riduce, è inevitabile che servano meno lavoratori per farla funzionare.

Infine, il dato più sorprendente di tutti: la deflazione, a giugno i prezzi delle merci e dei servizi hanno registrato una diminuzione invece di un aumento, come eravamo abituati da moltissimo tempo (in Italia da cinquant’anni esatti).

La lettura sintetica di questi tre dati è elementare: il paese è arretrato, la gente si è impoverita, e quindi ha ridotto gli acquisti, al punto che i prezzi (visto che c’è meno richiesta) sono andati indietro. E i disoccupati aumentati di numero.

Fin qui i fatti. Se ci si ragiona sopra, si vede che siamo dentro una spirale, quella della deflazione, da cui non sarà tanto facile uscire. La deflazione ha un aspetto “buono”: basta che io tenga i soldi in tasca, senza fare assolutamente nulla, e divento più ricco. Non mi serve speculare in Borsa o inventare chissà che: basta che stia assolutamente fermo. Infatti, poiché i prezzi scendono, ogni giorno i miei soldi ogni giorno valgono un po’ di più perché posso comprare più cose. Divento ricco.

Questo aspetto “buono” della deflazione si porta dietro, purtroppo, la sua stessa maledizione: se tutti teniamo i soldi in tasca perché così facendo diventiamo più benestanti, l’economia rallenta (o si ferma del tutto) e allora siamo tutti nei guai perché ci sarà meno lavoro e meno soldi in giro. Insomma, è un po’ come diventare ricchi in un deserto: in mezzo alle sabbie del Sahara con i pezzi da 100 euro non ci faccio niente.

E’ per questo che le autorità (bancarie e politiche) vedono la deflazione come il peggiore dei mali. In teoria la soluzione sembrerebbe semplice: basta aumentare i prezzi. Ma la realtà è fatta da una moltitudine di soggetti: se io sono un commerciante e ho il magazzino pieno di merce invenduta, a un certo punto butto giù i prezzi, vendo quello che posso, e poi tiro giù la saracinesca. Altri seguiranno il mio esempio, magari bassando ancora di più i prezzi.

La deflazione, cioè, è come un virus. E liberarsene non è tanto facile. La prima misura da prendere sarebbe quella di favorire la crescita dell’economia, con la quale le cose tornano al loro posto: ci sono più stipendi, la gente spende un po’di più e i prezzi tornano a salire.

Ma nel caso italiano la crescita sembra essere come la tartaruga di Achille: la si insegue sempre, ma non la si raggiunge mai. Perché?

Lo si sa almeno da un paio di decenni. Bisogna tagliare le tasse (tagliando le spese) e attraverso questa via gettare 30-40 miliardi nel sistema economico affinché riparta. Ma questi soldi non ci sono, li abbiamo già spesi anni fa.

Allora? Da più parti si sostiene che a questo punto serve una scelta di coraggio: si tagliano le tasse per un importo importante, non si rispettano i vincoli europei, ma nel contempo si vara un piano terribile di tagli della spesa pubblica. E così fra tre anni si rientra nei parametri europei. E con un paese risanato. La strada è questa. Lo si sa da anni. Ma non si trova un inquilino di palazzo Chigi che abbia il coraggio di farlo”.