“Beppe Grillo nemico di pensionati e ceto medio”, Franco Abruzzo ricorda

di Franco Abruzzo
Pubblicato il 24 Maggio 2014 - 07:50 OLTRE 6 MESI FA
"Beppe Grillo nemico di pensionati e ceto medio", Franco Abruzzo ricorda

Beppe Grillo (Foto Ansa)

ROMA – Beppe Grillo nemico dei pensionati e del ceto medio. Pensionati, non dimentichiamo la mozione 25 settembre 2013, firmata da 14 deputati “grillini” e poi accantonata dal Parlamento. Quella mozione va letta dagli elettori come vanno lette le altre 6 mozioni. E’ evidente che i “pentastellati” continueranno a battersi con il fine di impoverire i cittadini del ceto medio.

Ho detto e ridetto che Governo e Parlamento devono dare la caccia non ai pensionati, ma agli evasori, ai big del sommerso e ai patrimoni delle 4 mafie: un mondo che vale 1000 (mille) miliardi di euro.

Chiediamo, con il rispetto dei giudicati costituzionali, la perequazione piena per tutte le pensioni, la cancellazione degli assegni elargiti senza base contributiva ai boiardi di Stato (da 21 a 91 mila euro al mese), la tutela gratuita della salute degli anziani e un piano serio per il lavoro giovanile. I pensionati oggi formano un grande ammortizzatore sociale (del valore di 6 miliardi all’anno) per figli e nipoti disoccupati”.

Ecco la mozione contro le cosiddette “pensioni d’oro” presentata alla Camera dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo:

“La Camera, premesso che:

– la questione delle «pensioni d’oro» è oggetto di accese discussioni sia fra i cittadini sia fra le forze politiche, senza che ad oggi si sia pervenuti ad una proposta risolutiva;

– che il dl 98/2011 aveva introdotto un «contributo di perequazione» nella misura del 5 per cento sulla quota di assegno eccedente i 90.000 euro, del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro e del 15 per cento per la parte eccedente 200.000 euro; che il dl 98, recante «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», è stato bocciato dalla Consulta che, con la sentenza 116 del 2013 depositata il 5 giugno 2013, ha dichiarato incostituzionale il comma 22-bis dell’articolo 18 del decreto-legge 6 luglio 2011, che con la sentenza n. 223 del 2012 aveva già «bollato» e reso incostituzionale il prelievo sugli stipendi pubblici elevati, in quanto giudicato: «un intervento impositivo irragionevole discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini», poiché i provvedimenti colpivano i soli dipendenti pubblici, e non anche i lavoratori autonomi o privati, o i pensionati pubblici, lasciando indenni le altre categorie previdenziali;

– come si legge in ambedue le sentenze della Corte costituzionale: «Il risultato di bilancio avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica», viceversa in conseguenza della sentenza della Consulta, lo Stato dovrà restituire circa 84 milioni di euro, con conseguenze negative sull’opinione pubblica;

– permangono i presupposti di eccezionalità della situazione economica, che avevano indotto il Governo, allora in carica, ad adottare il citato prelievo solidale, anzi oggi rispetto al 2011 la recessione si è acuita e la situazione dei conti pubblici italiani è peggiorata a causa del trend negativo di crescita del prodotto interno lordo;

– a maggior ragione necessitano maggiori risorse da destinare al sostegno delle fasce più deboli e resta inaccettabile che circa il 44 per cento dei pensionati italiani, quindi oltre 7 milioni di cittadini, riceve oggi dall’Inps un assegno inferiore a mille euro mensili e, nel 13 per cento dei casi, tale assegno non supera l’importo di 500 euro, mentre sussistono pensioni d’oro di importi mensili superiori a 20.000 euro fino al caso eclatante di euro 90.000 mensili;

– il Ministro Enrico Giovannini ha espresso aperture in merito ad un ventilato prelievo sulle pensioni che superino una determinata soglia di importo, sostenendo che tale intervento «non porterebbe molti soldi, ma sarebbe una misura di giustizia sociale» (Intervista sul Corriere della Sera);

– il Ministro ha dichiarato altresì la necessità di reperire risorse da destinare ai trattamenti pensionistici minimi;

– è inaccettabile giustificare giuridicamente i trattamenti pensionistici elevati di oltre 20 volte il trattamento minimo in quanto autorizzati da disposizioni di legge antecedenti, perché i suddetti presupposti giuridici non sono più adeguati al contesto economico attuale di grave depressione economica e le decisioni assunte in passato oggi minano il «patto sociale» fra i cittadini e consentono uno spreco di «risorse pubbliche» con grave danno sia per i pensionati che percepiscono il trattamento minimo, sia per le giovani generazioni colpite da tassi di disoccupazione ai massimi storici;

– è auspicabile, invece, sottoporre a valutazione i trattamenti pensionistici di elevato importo per evidenziare la quota di pensione imputabile agli effettivi contributi versati e la quota imputabile al sistema di calcolo retributivo, al fine di assumere decisioni politiche sulle cause degli eccessivi privilegi concessi prima della riforma del sistema pensionistico;

– un eventuale intervento normativo deve essere finalizzato a creare una maggiore equità nell’erogazione dei trattamenti di quiescenza, senza generare situazioni di disparità di trattamento non conformi ai princìpi della Costituzione;

– per l’anno 2013 l’importo minimo del trattamento corrisponde a euro 495,43 mensili;

– è opportuno consentire una equa e solidale progressività dell’imposizione sui redditi da pensione, applicando aliquote progressive in base alle classi di pensione mensile contenute nelle tabelle ufficiali dell’ISTAT per l’anno 2012;

– da proiezioni effettuate, si potrebbe realizzare un maggior gettito non inferiore a 1 miliardo 142 milioni 61 mila 790 euro, da destinare all’aumento dell’importo dei trattamenti minimi, applicando le seguenti aliquote:

da 1 fino a 6 volte il minimo: aliquota 0,1 per cento;
oltre 6 fino a 11 volte il minimo: aliquota 0,5 per cento;
oltre 11 fino a 15 volte il minimo: aliquota 5 per cento;
oltre 15 fino a 20 volte il minimo: aliquota 10 per cento;
oltre 20 fino a 25 volte il minimo: aliquota 15 per cento;
oltre 25 fino a 31 volte il minimo: aliquota 20 per cento;
oltre 31 fino a 39 volte il minimo: aliquota 25 per cento;
oltre 39 fino a 50 volte il minimo: aliquota 30 per cento;
oltre 50 volte il minimo: aliquota 32 per cento.

impegna il Governo, 116 del 3 giugno 2013: previa valutazione dei contenuti della sentenza della Corte costituzionale n. 116/2013

– a valutare l’opportunità di assumere iniziative per prevedere, per un periodo limitato di tre anni, sui redditi da pensione lordi annui un contributo solidale suppletivo applicando le indicate aliquote progressive differenziate in base alle classi di importo mensile percepito, al fine di riconoscere un aumento di 518 euro all’anno della pensione minima (ora consistente in euro 6.440,59 all’anno) di cui, in relazione agli ultimi dati aggiornati Istat 2011, potrebbero beneficiare circa 2.219.482 pensionati;

– a valutare l’opportunità di revisionare i trattamenti pensionistici erogati per prestazioni lavorative di elevato importo, al fine di adeguare i trattamenti medesimi alla effettiva contribuzione da parte del lavoratore beneficiario in quiescenza, riducendo la quota di trattamento acquisita in base al sistema retributivo, fissando per ciascuna forma di sistema un tetto massimo di pensione erogabile, onde evitare disparità eccessive nell’erogazione delle pensioni tali da rendere il sistema iniquo ed oramai inaccettabile per i molti cittadini che vivono alle soglie della povertà e percepiscono pensioni minime di importo tale da non consentire nemmeno lo svolgimento di una vita dignitosa.

Firmato: Sorial, Fraccaro, Villarosa, D’Incà, Nuti, Cecconi, Castelli, Caso, Brugnerotto, Rostellato, Ruocco, Cancelleri, Pesco, Nesci.”.