Pensioni. Tito Boeri vuol far pagare per gli evasori chi è uscito per crisi

di Franco Abruzzo
Pubblicato il 27 Dicembre 2014 - 07:30| Aggiornato il 28 Dicembre 2014 OLTRE 6 MESI FA
Pensioni. Tito Boeri (Inps): per gli evasori paghi chi ha subito crisi aziendale

Tito Boeri (LaPresse)

ROMA – La nomina di Tito Boeri a presidente dell’Inps è un brutto segnale che il Governo Renzi manda ai pensionati di oggi (e anche a quelli di domani).

Tito Boeri è un nemico dichiarato dei pensionati con un assegno mensile dai 2mila euro in su. Basta leggere qui sotto per convincersene l’articolo (“Pensioni: l’equità possibile”) scritto con Fabrizio e Stefano Patriarca e pubblicato il 14.1.2014 in www.lavoce.info (nonché altri articoli su altre testate a questi link).

I tre prof. propongono di chiedere un “contributo di equità” ai pensionati, basato sulla differenza tra pensioni percepite e contributi versati. Ricostruendo le storie dei contribuenti attraverso il cosiddetto “forfettone” (un metodo indicato in un decreto del 1997) calcolano lo scostamento tra pensione effettiva e contributivo.

Per tale scostamento propongono di ricavare il contributo sulla base di un’aliquota progressiva pari al 20, 30 e 50% rispettivamente per pensioni tra 2 e 3 mila euro, 3 e 5 mila euro e superiori a 5 mila euro.  Secondo le loro stime si ricaverebbe un risparmio di spesa pari a circa 4,2 miliardi di euro.

Pubblichiamo qui sotto il commento/stroncatura di Giampaolo Galli, economista, deputato Pd e già direttore generale di Confindustria. 

Il contributo che si vuol chiedere ai pensionati non è socialmente sostenibile. Non vedo come si possa imporre ciò che in effetti è una tassa del 6 per cento e più sulle pensioni a partire da 2 mila euro lordi, che corrispondono a 1.500 euro netti. (1)

Ma vi sono aspetti che mi sembrano ancora più problematici in questa proposta così come in tutte le proposte di ricalcolo che sono state avanzate, quali quella di Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia e quella di Enrico Zanetti di Scelta civica. È bene che, prima di prendere decisioni, tali aspetti vengano messi sul piatto della bilancia a fronte dei vantaggi evidenziati.

1.Gli effetti del ricalcolo sulle singole persone sono a priori ignoti e possono essere stravaganti, in quanto si riconsidera retroattivamente tutta la storia contributiva di ciascuno. Una persona di 90 anni che sia andata in pensione a 55 anni, a causa poniamo di una crisi aziendale, vedrà una forte decurtazione della sua rendita. Mentre è probabile che nulla succederebbe a un analogo pensionato che abbia lavorato fino a 65 anni. Ciò è indubbiamente coerente con il concetto di equità intergenerazionale, ma credo verrebbe percepito come fortemente iniquo e comunque poco ragionevole.

Il punto è che il concetto di equità intergenerazionale richiede necessariamente di effettuare un’operazione di ricalcolo fortemente retroattiva. Sappiamo che in media i pensionati godono di pensioni più alte di quelle per cui hanno pagato i contributi e che pesano sui giovani di oggi.

Sappiamo che ci sono drammatiche esigenze da soddisfare e che il nostro sistema di welfare è sbilanciato sulla spesa pensionistica. Ma i pensionati di oggi non percepiscono un centesimo di più di quanto lo Stato ha promesso loro nel corso dei decenni. E all’operazione retroattiva che si propone l’obiezione è facile: se le persone avessero saputo per tempo dei nuovi criteri di calcolo avrebbero provveduto, lavorando più a lungo o mettendo più soldi nelle previdenza complementare. Insomma alle persone glielo dovevi dire mezzo secolo fa. Non glielo puoi dire ora che sono in pensione e non hanno più alcun modo per provvedere.

2. Se si parte dall’affermazione che il criterio contributivo è una misura a tal punto robusta di equità da giustificare sacrifici assai draconiani, allora i conti vanno fatti per bene. Il che significa che a)non sembra possibile utilizzare il cosiddetto forfettone; può anche darsi, come suggerito, che per molte persone il ricorso al forfettone sia vantaggioso, ma ogni persona fa storia a sé e pretenderà di essere considerata per i contributi che ha effettivamente versato; a quanto risulta, ciò non è possibile perché l’Inps non è in grado di ricostruire le storie contributive delle persone, come sarebbe necessario, sino a 50, 60 o anche 70 anni indietro; addirittura nel settore pubblico mancano i dati ante-1995.

b) Chi verrà a sapere che con il nuovo metodo di calcolo avrebbe una pensione più alta vorrà evidentemente far valere il proprio diritto. E non si accontenterà di avere indietro solo una parte dei contributi versati; li vorrà avere tutti fino all’ultimo centesimo. Ciò significa che lo Stato potrebbe anche perderci dato che invece, nella proposta, gli squilibri a sfavore del pensionato non verrebbero eliminati, ma soltanto tassati (al 20% nel caso dello scaglione fra 2 mila e 3 mila euro).

3. Lo squilibrio decresce al crescere del reddito. È possibile che per le pensioni più alte lo squilibrio sia nullo o addirittura negativo per i motivi che ha già ben argomentato Michele Carrugi e di cui dà conto l’articolo di Tito Boeri e Tommaso Nannicini “Pensioni d’oro:il diavolo sta nei dettagli”. Ciò comporta che il ricalcolo abbia effetti regressivi sul reddito pensionistico delle persone. Tant’è che viene corretto con un’imposta progressiva sullo squilibrio. Questo è possibile, ma allora l’operazione perde il suo connotato di strumento per l’equità intergenerazionale e assume la natura di un’imposta.

4. L’intervento proposto, al pari forse del contributo di solidarietà, è quasi certamente incostituzionale perché l’equità, secondo la Corte, la si persegue con la fiscalità generale e non colpendo selettivamente solo alcuni. Bene che sia così perché la proposta mina fortemente la fiducia nello Stato. Un’operazione del genere darebbe ai giovani il segnale che è meglio evadere i contributi e fare solo previdenza privata, magari all’estero, perché un domani la legislazione potrebbe cambiare ancora e potrebbe passare, ad esempio, una norma come quella che già oggi propone la Lega che mette un tetto assoluto alla pensione, indipendentemente dai contributi versati. L’Italia e con essa il suo sistema di welfare perderebbero credibilità.

E comunque dove andrebbe a finire la certezza del diritto? Dove andrebbero a finire quei property rights che tanto invochiamo per attirare investimenti? Perché qualcuno, giovane o anziano che sia, dovrebbe ancora fare un investimento in Italia? Molti fatti accaduti in questi anni hanno contribuito a minare il principio di legalità e la fiducia dei cittadini nello Stato. Questo sarebbe un colpo ulteriore.

5. La percezione che l’illegalità conviene deriverebbe anche dalla circostanza che il provvedimento colpirebbe solo quei pochi – per lo più lavoratori dipendenti – che nel corso della loro vita hanno pagato tasse e contributi fino all’ultima lira e che per questo hanno maturato una pensione dignitosa. La distribuzione delle pensioni per classi di importo è scandalosa perché è la sintesi di decenni di evasione fiscale e contributiva. Tutte quelle categorie che, secondo i dati ufficiali, hanno pagato meno Irpef dei lavoratori dipendenti, al termine della loro vita lavorativa percepiscono una pensione bassa o addirittura integrata al minimo.

Gli stessi dati dicono che l’operazione di ricalcolo peserebbe per ben il 90 per cento (3,7 miliardi su 4,2 miliardi) su ex-lavoratori dipendenti. Anche questo non sarebbe accettabile. In sostanza la proposta non sfugge alla critica generalmente mossa in Italia a manovre di redistribuzione basate, ad esempio, sulle aliquote dell’Irpef: si andrebbero a prendere i soldi sempre agli stessi.

(1) L’autore percepisce una pensione di anzianità calcolata con il sistema retributivo. Il lettore è avvisato: faccia gli sconti che ritiene rispetto alle cose che legge. (N.d.A.)