Costa Concordia, Genova la aspetta: disoccupati in fila ai cantieri per lavorare

di Franco Manzitti
Pubblicato il 16 Luglio 2014 - 08:31 OLTRE 6 MESI FA
Costa Concordia verso Genova: e i disoccupati bussano ai cantieri per lavorare

Costa Concordia sollevata al Giglio (foto Ansa)

GENOVA – Ora aspettano tutti davvero la Concordia, il suo immane relitto, trainato da mezza dozzina di superimorchiatori dalla sua tomba-sarcofago del Giglio, puntuto di scogli, alla sala di cremazione del porto genovese di Voltri, dove la grande nave Costa sarà fatta a pezzi. Arriva il 23 o il 25 luglio. Tutto pronto perfino l’Anticiclone che sta rallentando le mareggiate di un mese estivo maledetto, che si è mangiato perfino le spiagge liguri.

Arriva con il grande corteo dei rimorchiatori, delle staffette, delle scorte, a 3 nodi di velocità, proprio un passo funebre anche se nel cuore antico della Superba lo aspettano, lo salutano e lo hanno annunciato come

un riscatto, una grande possibilità di soldi, di lavoro, di business, immaginando una nuova filiera produttiva per un’economia che da i colpi di tosse finali di una agonia postindustriale.

Demolita si dice tecnicamente nel gergo marittimo, indicando quell’operazione a rovescio nella quale i genovesi sono maestri così come nel costruirle e innalzarle come cattedrali perfette e lucide e scintillanti e svettanti, le grandi navi, così come a distruggerle, lamiera per lamiera, ponte per ponte, cabina per cabina, dal fumaiolo gigantesco al ventre profondo della sala macchine.

Con questa primogenitura nel dna portuale marittimo ancestrale Genova aspetta l’arrivo della nave della sciagura e del disonore marittimo italiano, non certo cancellato dai processi, dalle sette vite di Francesco Schettino, il capitano infedele e fuggitivo, per un’operazione, che impiegherà il porto di Genova per quasi due anni, schierando un esercito di demolitori, come formiche a spolpare quel mostro che incombe ancora per poche ore sull’ Isola Giglio.

Da giorni c’è la fila fuori dai cantieri delle Riparazioni Navali, Mariotti e san Giorgio per cercare un posto di lavoro e bussano a tutte le età in un campionario della disoccupazione, che mette uno dopo l’altro i ragazzi disperati senza diplomi, titoli, curriculum, gli esodati, gli espulsi da ogni ciclo di produzione di quelli che la storia economica ha accatastato a Genova nel corso di un ventennio di smobilitazione. Per fortuna la cantieristica ha resistito alla Grande Crisi, grazie a Fincantieri e proprio alle magenavi da crociera. Chiedono in fila di andare a smontare la Concordia, quella montagna di acciaio, plastica, ferro, vetro, senza sapere quale lavoro duro e infernale sia la demolizione. Ma con lo stesso spirito disperato di chi per decenni scendeva (o scendeva) da tutta Italia presso questo stesso porto e cercava di imbarcarsi per andare dall’altra parte del mondo, nelle Americhe e non solo a cercare la stessa cosa di oggi: il lavoro, il pane, il futuro.

A Genova sono già state costituite le società tra Saipem, la grande azienda di Stato, partecipata dall’Eni, esperta nella costruzione di piattaforme gigantesche nei mari del mondo, la San Giorgio e la Mariotti, aziende genovesi di Riparazioni Navali, che sono nel cuore dello scalo genovese, sofisticate come il massimo del made in Italy nella costruzione di grandi yacht di lusso, ma abilissime anche nel lavoro di demolizione. Aziende con grandi firme famigliari che hanno galleggiato sulla grande crisi e che hanno difeso una competenza e uno stile, trovando spazi anche lontano dalla Superba, quando la mancanza di spazio nel porto e l’indecisionismo le ha spinte fuori.

Ma chi ha mai affrontato, in questo settore chiave dell’economia marittimo cantieristica, un’operazione tanto grande come quella di smontare una nave grande quanto la Concordia? Un affare da oltre cinquecento milioni di euro, che si aggiunge al costo favoloso del recupero. Un “caso” che costa un miliardo nel Pil italiano come hanno spiegato i vertici della Costa Carnival, ancora per pochi giorni propietaria della nave che “passerà” per la demolizione a una società nuova, quella di Saipem, san Giorgio e Mariotti, per la quale il prezzo sarà proprio il grande lavoro di demoliozione. Perchè la Concordia _ e questo è il paradosso _ non è un relitto, una res derelicta, ma ancora una nave, con la sua identità di armamento.

Nessuno mai ha “smontato” una nave così e la sfida appare, quindi, come una specie di epopea dalla quale il porto genovese e non solo, ma l’intera città, ripiegata sul suo grande scalo, le banchine dalla storia medioevale e dal futuro incerto, potrebbero riscattarsi, trovare non solo il megabusiness, ma anche un altro mestiere nella tradizione della demolizione.

Per questo la scena dell’arrivo della Concordia viene già pregustata oramai da mesi, non come un segnale nefasto, del mondo marittimo che si rovescia, ma come una animazione di una industria base, quella della cantieristica e della riparazione navale, capaci di innescare una filiera positiva.

La scena di questo corteo che arriva è già stata immaginata e sognata da mesi e mesi, mentre si combatteva la battaglia dell’assegnazione. Eccola sull’orizzonte di Genova questa nave, ridotta a un relitto cadaverico, oramai da quasi venti mesi, rimessa in piedi come da un colpo di bacchetta magica il tredici gennaio del 2014, dopo diciannove ore di grande suspense, con quell’ operazione di riallineamento nella quale non tutti credevano e ora pronta al trasbordo più spettacolare della storia marinara, dopo la fase clamorosa del galleggiamento.

Già è staccata di decine di metri dagli scogli che l’hanno pugnalata nella sua anima, coricandola sul fianco, facendola compenetrare per quasi due anni nel panorama dell’arcipelago toscano. Subito un incubo, una bestemmia paesaggistica, poi quasi un’abitudine da cartolina del patatrac italiano.

Sbucherà dalla punta incantata del promontorio di Portofino la Concordia, nave da 115 mila tonnellate di stazza, 290 metri di lunghezza, 35 di larghezza, 70 di altezza, solo trenta metri sotto il faro mitico della Lanterna genovese, 1500 cabine, tredici ponti, 28 suite di lusso, tre teatri e ogni altra diavoleria del tempo libero a spasso per gli oceani, dopo cinque, forse quattro giorni di traino e “spaventerà” quel pezzo di costa che corre verso Genova e le fauci del suo porto all’imboccatura di Levante, quella dietro il quale sfavillava, fino a quando sfavillava, il magico Salone Nautico oggi agli sgoccioli.

Che spettacolo davanti a Camogli, la città dei mille velieri, dei capitani di bastimenti famosi in tutto il mondo ancora oggi, che se capita una disgrazia di mare in qualsiasi ocenao, un incendio, un naufragio, un salvataggio, un atto di eroismo o di grande perizia, tutti chiedono subito: “Ma il capitano era di Camogli?”, per spiegare una fama che nessuno Schettino sciagurato può ancora mettere a repentaglio!