Festa dell’Unità, Pd partito sbandato, Genova modello Italia

di Franco Manzitti
Pubblicato il 29 Agosto 2015 - 08:00 OLTRE 6 MESI FA
Festa del'Unità, Pd partito sbandato, Genova modello Italia

Claudio Burlando

GENOVA – E la chiamano Festa dell’Unità, di un giornale che è tornato nelle edicole, ma anche del partito che dovrebbe tenere assieme idee diverse, programmi, sensibilità anche uomini spesso dissimili. E la chiamano Festa dell’Unità anche questa di Genova, dove il Pd più disastrato d’Italia, dopo la sconfitta del maggio-giugno scorso alle elezioni regionali, celebra se stesso, i suoi militanti, i suoi iscritti, ridotti a 3 mila nella provincia genovese e dove cerca di fare quello che c’è scritto nel titolo della Festa, appunto l’Unità.

Ma quale Unità a Genova, dove il Partito democratico, i dem, gli uomini e le donne di un partito che pianta radici antiche nel grande popolo delle fabbriche, del porto leader del Mediterraneo, delle cento mila tute blu, dei camalli, dove negli anni Sessanta-Settanta gli iscritti , ”ao partìo” erano quasi 45 mila, si è strappato, diviso, slabbrato con la fuga storica di Sergio Cofferati, “il cinese”, che lasciò le sacre stanze dopo la sconfitta alle Primarie-farsa per scegliere il candidato alle regionali tra lui e la delfina del presidente Burlando, Raffaela Paita?

Dove a quelle elezioni, contro la Paita stessa, si schierò, senza però uscire dal Pd, il fedifrago Luca Pastorino, civatiano, sindaco di Bogliasco, parlamentare in odore di scomunica dopo il suo strappo. Dove ben duecento maggiorenti del partito stesso, tra i quali il vice dello strasconfitto Claudio Burlando, Claudio Montaldo, vice presidente della giunta e potente assessore alla Sanità di un intero decennio, capeggia una diaspora tanto forte che ha chiesto una agibilità politica di intervento nei 45 dibattiti in cui è organizzata la Festa. Come dire: ci lasciate parlare, ci lasciate spiegare perché abbiamo chiesto di votare diverso alle regionali e perché siamo così schierati contro le scelte del partito, anche se ci stiamo dentro.

Altro che separati in casa: i dissidenti stanno in casa e mettono le mani avanti, vogliono dire la loro all’ora di pranzo o di cena, quando la tavola è imbandita e davanti a tutta la famiglia, magari quando a capotavola c’è qualcuno dei bigs nazionali invitati alla festa stessa. Temono di essere censurati a casa loro. Altro che il compianto centralismo democratico, dove tutti parlavano, ma poi il partito decideva!

Se volete vedere come si sta spappolando il Pd in Italia, venite a Genova alla festa dell’Unità, che si tiene in piazza Caricamento, ridisegnata da Renzo Piano nel 1992, in faccia al porto antico dove ci stanno il Bigo e i Teatri Tenda e le Sfere dell’architetto superstar, andate negli stand dove tutti mangiano le frittelle e le focaccine, che quelle non sono divise a metà, ma se le pappano tutti con lo stesso appetito e fanno la fila, magari guardando un po’ in cagnesco i traditori, i transfughi o semplicemente i separati in casa, che si indicano con il dito. Festeggiano?

Ci provano e il test può essere veramente importante per capire che fine farà il Renzi giù a Roma, come si dice qua, che lui alla Festa non viene. E chi glielo fa fare di tornare nel vulcano genovese, che per spegnerlo ci hanno mandato pure un commissario, guarda caso un toscano, amico del “capo”, a sbrogliare la matassa ligure.

E’ vero, Matteo Renzi è il presidente del Consiglio e quindi partecipa solo alla Festa nazionale di Milano, ma a Genova non sarebbe venuto comunque, perché non c’è un posto più scomodo prima e dopo la sconfitta delle Regionali.

Sì, una volta è venuto di corsa e si è fatto portare sul cantiere del Bisagno, il fiume che ogni autunno diventa cattivo e semina l’alluvione. E’ venuto a dire che c’erano i soldi per aggiustarlo il fiume e per tentare di imbrigliarlo. E se ne è volato via dal cantiere stesso con il codazzo intorno.

Poi è tornato un’altra volta, anche dopo la sconfitta e quella è l’ultima volta che si è visto in pubblico l’ex padre-padrone del Pd genovese e ligure, l’ex presidente Claudio Burlando, già sindaco, ministro, deputato e assessore e tutto quello che in sessanta anni può essere un enfant prodige del fu Pci, figlio di un camallo del porto, ingegnere, svelto e molto carismatico fino a che sono durate le sue fortune politiche.

La storia di quel Burlando che ci mette la faccia dopo la sconfitta, ma che poi sparisce nel suo orto di Cincinnato è quasi emblematica del Pd genovese e ligure che viveva della sua luce riflessae ora lo detesta.

Lui sceglie due anni prima della scadenza elettorale, in barba al partito, la sua succesora, la bella Raffella Paita, allora trentottenne ragazza di La Spezia, del genere assatanata Pd, tacco dodici, cavalcata potente, una sicumera da spezzina doc, assessora a colpi di preferenze (12 mila voti nel turno elettorale del 2010) e moglie del presidente dell’Autorità portuale di Genova, Luigi Merlo, anche lui spessin e predecessore della stessa nell’assessorato regionale.

Burlando le mette la corona di candidata e la scorta nella campagna elettorale più maratona della storia, due anni di spolvero regionale, praticamente ogni comune visitato, ogni sindaco, anche di Roccacannccia, blandito e foraggiato di finanzimenti e appoggi politici, l’hanno perfino portata in braccio a attraversare i torrenti impervi del profondo entroterra…….alla Raffaella, per farle conoscere il territorio del quale era la regina assicurata.

E dove mai in Liguria, terra di sinistra con rarissime eccezioni, il partito, “o partio”, poteva perdere le elezioni, dopo i dieci anni di Burlando?

Hanno perso e ora lui l’ex si è ritirato come Cincinnato in campagna: dal giorno dopo la sconfitta più bruciante che si ricordi, Burlando è andato al suo paese, Marzano, sconosciuto borgo nei pressi di Torriglia, quell’entroterra genovese che sente il mare nel naso, ma vedi solo il verde impervio della collina e qualche montagna.

Tre mesi secchi lontano da tutto a giocare a scopone con gli amici e a prepararsi ai funghi, che sarà una stagione straordinaria con il caldo che ha fatto. Burlando-Cincinnato ha scelto così, mentre il centro destra più stupefatto che inizialmente cosciente si appropriava del potere inopinatamente abbandonato dal Pd dominante.

“Era dal 1981 che sognavo un’estate così, tre mesi in campagna, in faniglia” – ha confessato Burlando in una unica intervista da Cincinnato concessa a “Repubblica” con poche confidenze, se non quella della sua intenzione di non ambire a nessuna delle diverse poltrone che i gossip di fine impero gli hanno attribuito: la presidenza del porto con l’amarcord del padre camallo, la carica di sindaco in una rivincita su se stesso, che abbandonò quel ruolo violentemente nel 1992, strappato da una inchiesta giudiziaria che poi svanì nel nulla, mentre l’arresto di quel sindaco, giovane speranza Ds di allora, aveva suscitato un grande scalpore.

Non ha spiegato dal suo orto dell’entroterra zeneise nulla della sua lunga gestione, di dieci anni nei quali la Liguria è molto sprofondata ed ora tutti i nodi vengono al pettine e ci vuole il savoir faire del suo successore, Giovanni Toti, il “paroliere” di Berlusconi, a attutire la polemica ereditaria del potere regionale.

Non spiega, Burlando, come mai nessuno ha deciso dove scaricare i rifiuti liguri, ora che le discariche sono piene e i camion devono andarsene fuori regione, non ha spiegato il crak della sanità che per tappare i buchi di Bilancio ha messo in vendita un immenso patrimonio immobiliare e non ha venduto un fico secco e ora la Corte dei Conti sta presentando, appunto, “i conti”, non ha spiegato, il nostro Cincinnato, il disastro della centrale Tirreno Power di Savona, cui fu concesso di lavorare in modo che ora l’autorità giudiziaria conta centinaia di morti, di casi di malati di inquinamento e mette sotto processo l’intera vecchia giunta, non ha spiegato le insufficienti opere anti alluvione, il dissesto idrogeologico non frenato e le infrastrutture che sono come quaranta anni fa. Nulla di costruito solo quintali di progetti e qualche porticciolo a deturpare la costa.

Cosa c’è da festeggiare alla Festa dell’Unità, con questo panorama democratico della sconfitta regionale e quando il Comune è retto dal sindaco Marco Doria, frutto di un altro dei capolavori strategici di Burlando-Cincinnato, il quale alle Primarie del centro sinistra per scegliere il nuovo primo cittadino non ostacolò, anzi favori la corsa dello stesso Doria, indipendente del Sel, allo scopo di svuotare il consenso della sua nemica storica, la sindaco Marta Vincenzi a favore di Roberta Pinotti l’attuale ministro della Difesa.

Finì che Doria vinse le Primarie e poi le elezioni e divenne sindaco, la Vincenzi finì seconda e sparì nel suo processo e la Pinotti terza. Un capolavoro di tattica politica, che avrebbe dovuto spingere il nostro Cincinnato a non fare più calcoli tra Primarie e elezioni. Invece ci ricascò con la Paita incoronata sua delfina e l’unica a ringraziarlo dovrebbe essere la Pinotti, che da quella sconfitta ci guadagnò niente meno che la poltronissima di ministro della Difesa del Governo Renzi.

C’è poco da festeggiare alla Festa dell’Unità, con la sinistra del partito, quella che preparerebbe la scissione o la diaspora a Roma, che ha il suo epicentro storico qua, dove Cofferati e Pastorino hanno cominciato la prima serie degli strappi e dove il commissario, appena nominato gira come un pellegrino con un ago per ricucire ma non sa neppure da dove cominciare.

Il segretario “commissariato”, Giovanni Lunardon siede in consiglio regionale dove è stato appena eletto, il collega provinciale Alessandro Terrile, un giovane avvocato che si specchia molto nella sua immagine, sembra un orologio a cucù.

Dopo la sconfitta si era dimesso per decenza. Aveva perso il perdibile e prima era lui che aveva convinto Cofferati a presentarsi alle Primarie contro la Paita per accreditare quelle elezioni selettive con una figura indiscutibile. Era lui che aveva, quindi assistito alla farsa primarie, alla vittoria della Paita, allo strappo di Cofferati e poi alla sconfitta della Paita stessa. Niente di più dignitoso che dimettersi. Appunto Cucù.

Ma poi, nell’impossibilità di trovare un successore, dopo lo tsunami elettoprale e le risse interne, con il vice segretario nazionale Lorenzo Guerini, spedito da Renzi per due volte a tentare una pacificazione e nello sconquasso generale, mentre la Paita stessa si faceva nominare capogruppo in Regione, come se niente fosse, il segretario è rimasto al suo posto. Per fare che? Ma ovviamente a preparare la Festa, chi meglio di lui per festeggiare le progressive fortune del partito democratico a Genova e in Liguria? Cucù.

In Regione sono all’opposizione di una giunta che ci vorrà ancora qualche tempo perché si capaciti essa stessa di avere vinto le elezioni, in Comune il Pd fa da stampella a un sindaco Doria sempre più debole, e ogni tanto questa stampella vorrebbe sfilarla da sotto, ma ha troppa paura di una elezione che porterebbe nel nobile palazzo Tursi un sindaco magari grillino, in porto regna a tempo il marito della Paita, Merlo, un democrat che si è già dimesso, è rientrato e ora pensa di nuovo di dimettersi, anche lui orologio a Cucù, nelle grandi operazioni della città, a incominciare dal salvataggio della banca Carige, il Pd non esiste, fanno tutto i nuovi leader dell’economia cittadina. E i partiti assistono.

La storia del Pd, nel senso dei suoi leader del passato più o meno recente, è oramai out: Burlando-Cincinnato, la Marta Vincenzi, sindachessa sciagurata a fronteggiare il suo processo per l’alluvione tragica del 2011 con sei morti, i due ministri in carica, Roberta Pinotti alla Difesa e Andrea Orlando alla Giustizia, hanno altri problemi che la politichetta locale, dopo i ko di Burlando.

I vecchi storici dell’apparatjik genovese, quello della geometrica potenza comunista e postcomunista, siedono cupi e delusi ai tavoli di cirulla del loro pensionamento, che neppure si può chiamare rottamazione e contemplano il disastro.

Che cosa c’è da festeggiare alla Festa dell’Unità? Cucù.