Genova. Bagnasco: “Terribili mutui. Serve crescita, lavoro, non ostacoli”

di Franco Manzitti
Pubblicato il 1 Gennaio 2013 - 17:00 OLTRE 6 MESI FA

Nella sera di san Silvestro il cardinale di Genova Angelo Bagnasco, presidente della Cei, entra con il suo mantello porpora e lo zucchetto ben calcato sulla testa nella chiesa dei Gesuiti, al suono del Veni Creator Spiritus, in fondo alla processione di chierici e preti, per lanciare il suo messaggio di fine anno al rito del Te Deum, che diventa il bilancio dell’anno più difficile della nostra storia recente.
Dirà, il cardinale-capo di tutti i vescovi d’Italia, quanto è profonda la crisi e come bussa alle porte delle chiese oramai quasi vuote, desertificate dalla secolarizzazione, che attacca i cristiani, li perseguita a milioni di milioni anche nella civile Europa, perchè questa Chiesa è l’unico baluardo contro la “secolarizzazione” della società che vuole eliminare la famiglia e il matrimonio, i baluardi della cultura cattolica assediata.
Entra tra nuvole di incenso il cardinale Bagnasco, la mano benedicente, il sorriso grave del ruolo che impersona e non terrà la lingua ferma e non lesinerà le parole dall’altar maggiore nel nugolo di preti, davanti alla folla dei fedeli che una volta metteva in prima fila i maggiorenti locali, magari i baciapile democristiani o perfino i ruffiani laici, che cercavano appoggi e prebende e oggi sono come scomparsi dalle panche della grande chiesa nel cuore della città.
Parla da arcivescovo di Genova Bagnasco, ma parla anche da leader della Cei e per quanto circoscriva il suo messaggio ai confini della città, al gregge delle sue pecorelle, a suo modo epicentro della tempesta, la più vecchia, la più piegata dalla mancanza di lavoro, la più isolata dalle fiammate del progresso, la più industrialmente depauperata, la eco rimbalza ben fuori da questi muri, dove stanno illuminati gli affreschi dei grandi artisti del mitico Seicento genovese, perfino il Rubens dell’altare di destra e diventa un grido forte anche verso la politica.
“Non abbiamo ricette per la politica, la Chiesa non le deve preparare”, si schernisce con toni alti Bagnasco dal microfono, che ammutolisce una folla già di suo in un silenzio preparatorio dell’annuncio.
Ma poi i messaggi politici ci sono e da lì incomincia il grido del cardinale che raccomanda competenza a chi ci governerà, che ammonisce di tenere conto di chi ha trasgredito e tradito in quella classe che sta lassù nei palazzi della politica e che si prepara alle elezioni.
Come dire senza dirlo: osservate bene, giudicate bene, pesate bene con la vostra bilancia umana, ma date anche un occhio alla bilancia del Signore, al suo comandamento, al suo insegnamento: non rubate, non commettete falsa testimonianza, non desiderate la roba d’altri, aiutate il vostro prossimo come voi stessi. Saranno messaggi per Lusi che proprio a Genova fu eletto e mandato in Parlamento, per il Batman del Lazio, per i cento scandali della Regione Lombardia e per gli altri che corrompono la politica?
Il cardinale non recita direttamente i sacri comadamenti tra il Veni Creator Spiritus del suo pomposo e benedicente ingresso nella chiesa del Gesù e il Tantum Ergo, gli inni rimasti in lingua latina della liturgia cattolica che chiuderà la celebrazione, prima dei canti più festosi del Natale, ma parla chiaro e forte.
E chi ha orecchi, intenda bene. Il monito del suo discorso è chiaro come se li pronunciasse, quei comandamenti della sua religione ma anche della civile convivenza democratica-laica e perfino atea, magari con il tono di uno dei suoi predecessori, quello al quale sembra assomigliare di più nello stile, nel portamento, perfino nell’eloquio e nelle parole che usa per “la mia amata Genova”. Il modello è il cadinale-principe Giuseppe Siri che lo ordinò sacerdote, che venne in questa chiesa tuonare il Te Deum di fine anno per quaranta volte, record di un arcovescovado nell’intera storia della Chiesa cattolica romana. Siri vescovo dal 1945 al 1987.
Poi tra Siri, il delfino di Pio XII, che sfiorò il Papato due volte e questo Bagnasco, che qualcuno nei gossip vaticani già incomincia a citare come papabile, sono passati i cardinali Giovanni Canestri, Tarcisio Bertone e Dionigi Tettamanzi, colossi della Chiesa di oggi.
Ma nessuno aveva il piglio genovese di Bagnasco, che parla della crisi epocale, lanciando un allarme altissimo, ma ricordando prima di tutto il decoro e la dignità e il rispetto con cui i genovese l’affrontano.
“Le richieste di aiuto alla Chiesa sono aumentate nell’ultimo anno del 30 per cento”, dice Bagnasco, “e il 70 per cento di queste richieste riguardano la casa, i soldi per l’affitto, per le bollette, per i mutui, quei terribili mutui.”
E’ una società vecchia, dunque, piena di riserbo e di dignità, quella che sta fuori da questa chiesa piena di stupendi dipinti, con un organo che vibra nella potenze dispiegate delle sue canne, nella essenziale ridondanza della liturgia di Capodanno.
“Non rassegnatevi di fronte a questa società liquida”, ammonisce Bagnasco, citando le definizioni del filosofo polacco Zygmunt Baumann che così raffigura il nostro tempo, appunto liquido, dove nulla si ferma e si protegge perché fluisce via, a incominciare dal lavoro che altro che liquido, si liquefa, non c’è più.
Eppure non c’è tra le virtù teologali, che fanno da cardini al pensiero di uomini come, appunto, il cardinale Bagnasco, anche la speranza?
Eccome se c’è e lui il cardinale-presidente della Cei vede la speranza in quei ragazzi che si sposano “senza pretese di futuro”, che vuol dire senza casa, lavoro, pensione, certezze. Tutti camminano sull’orlo della nuova povertà e non è un caso che raddoppino, triplichino le mense del volontariato, i dormitori.
“Non abbiamo ricette politiche”, alza il tono Bagnasco, “ma dobbiamo ricordare alla società distratta che ci sono principi inalienabili: il diritto alla vita, la famiglia naturale, la libertà religiosa e poi la casa, il lavoro, la salute, l’equità”. E a tutto questo chi ci pensa?
Sembra quasi che il cardinale vestito di porpora allarghi le braccia dall’altare quando conclude: “Abbiamo un corpo sociale che non garantisce:”
E allora che fare? Il cardinale sembra diventare un po’ politico quando cita la necessità “dello sviluppo, della crescita, dell’innovazione messe insieme dalle nostre eccellenze, dalla nostra capacità di progettare”. Sembra un inno al Made in italy anche se Bagnasco lo definisce, quasi biblicamente, con la esemplificazione di Davide contro Golia.
“Noi siamo il piccolo Golia, che può combattere contro Davide con la sua perizia, con la sua abilità, con le sue invenzioni”. Come dire: possiamo affrontare i colossi mondiali dell’economia usando i nostri storici attrezzi della genialità, dell’inventiva, dell’estro. Ma non basta e Bagnasco tira le sue stoccate che potrebbero essere spunto per i ragionamenti di un programma politico vero e proprio, anche se ammannito con la voce suadente del pastore di anime e non di aziende o bilanci: “Ci vuole più leggerezza burocratica, bisogna sconfiggere il partito del no e del sospetto, bisogna prendere i treni in corsa e non lasciarseli scappare.”
La parola treni, il cardinale la ripete più volte come a far passare bene il suo messaggio concreto, con l’allusione al treno che Genova aspetta da decenni, il famoso supertreno del Terzo valico, il collegamento veloce con Milano, che porterebbe lavoro, opportunità e che, invece, è frenato dai partiti del “no”, del sospetto “ Chi porta lavoro”, scandisce il cardinale, “non va contestato, Chi porta lavoro va accolto e aiutato.”
Le parole si spengono tra le nuvole di incenso della grande chiesa e il cardinale esce in corteo dietro la croce e la teoria dei preti e dei chierici che lo accompagnano fino al portone che si affaccia su quello che era il palazzo del Doge e su quella della Curia arcivescovile: la casa del cardinale, il palazzo del Principe-Doge che un tempo regnava su questa città . Su quali muri rimbalzerà il grido del cardinale che parla al suo gregge, ma non solo certo a quello? La eco, per ora, sono i botti di Capodanno e le mani tese dei poveri che assediano la chiesa in cerca di elemosina.