Genova blocca Renzo Piano? Farà la fine della Concordia e…

di Franco Manzitti
Pubblicato il 1 Dicembre 2015 - 11:25 OLTRE 6 MESI FA

 

Genova blocca Renzo Piano? Farà la fine della Concordia e...

Renzo Piano presenta il progetto ‘Città, porto e nautica: un’idea per Genova’, noto come Blue print

GENOVA – Manco fossimo a Venezia, dove le strade sono canali, a Genova si è aperta una epica battaglia sulla trasformazione della città nella quale compaiono per la prima volta le vie d’acqua, disegnate dalla storica matita di Renzo Piano, per collegare due punti chiave della “Superba”: il Porto antico, già disegnato e realizzato dal grande architetto genovese e la oramai moribonda Fiera del Mare.

Il disegno di Renzo Piano si chiama Blue Print, dove il Blu è, ovviamente, il segno del mare che scorre parallelamente a questo nuovo canale, una specie di passeggiata d’acqua, scavata lungo la costa della città, in una zona a cavallo tra il suo centro residenziale e quella Fiera, dove resistono i padiglioni obsoleti e molto discussi nei quali veniva allestito il Salone Nautico, vecchia gloria genovese nel mondo, oramai decaduta, ridotta a una piccola esposizione.

L’impatto del progetto, che l’archistar genovese (che non ama farsi chiamare così, anzi preferisce con un po di snobismo che lo chiamino “geometra”) ha preparato, è forte, perchè tocca una zona a ridosso dell’ingresso del porto, dove convivono da tempo gli stabilimenti dell’industria delle Riparazioni navali, i conseguenti bacini di carenaggio e le sedi dei circoli nautici storici, dal mitico Yacht Club dell’ élite velica italiana e internazionale, al Rowing Club dei vogatori dalle leggendarie tradizioni, ai più piccoli club velici e remieri.

È una zona nello stesso tempo nobile, dove incombono grandi palazzi e ville come quella stupenda della famiglia Puri, imparentata Pirelli, e al contempo operaia, dove ci sono gli stabilimenti delle Riparazioni navali, dove pulsavano e pulsano aziende pubbliche, come l’Oarn, la Mariotti, i cantieri san Giorgio, Amico, “firma” del top nautico nel terzo millennio, l’Ente Bacini di carenaggio.

La zona è tanto complessa, seguendo i copioni dell’affastellamento genovese, città avara di spazi e ricca di coabitazioni estreme, che vi spicca anche una specie di semi grattacielo, abbandonato da tempo, nel quale c’erano gli uffici della Nira, l’azienda PPSS che preparava il Nucleare per conto dell’Ansaldo. Operazione abortita, come è noto, con il refendum che affondò il Nucleare in Italia alla fine degli anni Ottanta e spense il sogno genovese di diventare capitale dell’industria nucleare.

La matita di Renzo Piano ha previsto di cancellare questo edificio abbandonato da tempo, pare anche carico di amianto, per il quale era previsto un futuro albergo con vista sull’imboccatura del porto e apertura a 360 gradi su tutto l’arco genovese. Quindi canali d’acqua, nuove passeggiate a mare, riempimenti di specchi acquei limitrofi e colossali demolizioni: ecco il segno blu che Piano traccia nell’ultimo suo disegno genovese.

Tanto per sgombrare il terreno dalle inevitabili polemiche, che si sono accese da quando la sua magica matita ha tracciato il disegno, il suo ufficio ha fatto pubblicare on line sul sito del Comune di Genova le tavole con le mappe di questo progetto. Il progetto di Renzo Piano entra nella carne viva di una delle aree oggi più dolenti di Genova 2015, ai confini tra la città industriale e quella turistica, ai piedi di un quartiere residenziale come quello di Carignano, collina elegante con prospettiva di vista sui cantieri, sulle barche a vela, sui circoli per i quali il progetto ha preparato una vera istanza di sfratto. E non è un caso che proprio là sotto, quasi emblematicamente, giace ancora il cadavere in demolizione della Costa Concordia, simbolo riassuntivo di tutte le capacità e deficenze liguri.

Fino a qualche mese fa il relitto della nave sciagurata spiccava, svettando ancora nel cuore di quel porto industriale e, quindi, della città nel cuore del suo trafficato water front, dopo essere già stato spolpato nella fase iniziale della sua demolizione in un’altro luogo del porto genovese.

Ora che la demolizione prosegue verso la sua conclusione e che i ponti della supernave vengono smantellati una a uno, quell’imponente relitto non si vede più, sparisce tra le altre carcasse o tra le altre navi che l’indusria delle riparazioni navali sta “trattando” proprio nel ventre della città.

È come se la Concordia fosse uscita dalle quinte della città, dal bordo del suo porto industriale, da quella fetta di territorio che inquadri benissimo quando entri a Genova attraverso la Sopraelevata, la tangenziale-terrazzo che scorre dal casello autostradale lungo la cinta portuale di Levante, fino ai quartieri nobili di Corso Italia.

L’immagine un po’ cupa della Concordia in demolizione nel grande bacino di carenaggio sembrava quasi un monito ai genovesi: voi mi avete costruito in questa città laddove le grandi navi si allestiscono e poi si varano, sono tornata galleggiando per miracolo, come in un corteo funebre dopo il mio tracollo al Giglio e ora, ancora qua, mi fate a pezzi definitamente, voi genovesi.

Non sarà stata questa sequenza della grande nave con ancora la C sul fumaiolo, il simbolo finale di una decadenza più generale della Superba?

Le tavole della legge di Renzo Piano, o meglio del suo riordino nel rapporto tra la costa e il porto e il mare, il water front di Levante, sciorinano in dieci mappe come il disegno sviluppa un nuovo pezzo di Genova che comprende, appunto, residenze nuove, industrie di riparazione navale, una nuova spiaggia urbana proprio allo sbocco del canale, i nuovi posti sbarca, traslocati dallo Yacht Club e degli altri circoli nautici, la Torre piloti, ridisegnata dopo la tragedia della sua violenta demolizione nella primavera del 2013, 9 morti e una delle tragedie marittime più grandi del Dopoguerra, la passeggiata a mare e le zone commerciali, la ricostruzione dello storico Palasport, il nuovo porto canale, la nuova zona residenziale-commerciale, con una diminuzione del volume di oltre 200 mila metri cubi.

Insomma, una vera rivoluzione nel cuore della città, lanciata già da un anno e mezzo con grande risalto dalle istituzioni genovesi, ma con successivi grandi strappi tra le istituzioni stesse e con la ribellione giudiziaria attraverso ricorsi al Tar dei circoli nobili, in testa lo Yacht Club. Si scontrano tutti, come è oramai tradizione a Genova, quando ballano grandi progetti.

Quelli dello Yacht-Club non accettano il trasloco delle loro barche in uno dei nuovi canali, anche se i posti promessi sono molti di più e c’è la ganranzia che il palazzotto della sede, con le sue moquette rosse, i parquet di legmo, la sala soci con le poltrone di cuoio e quell’ atmosfera elegante ma sobria di chi va per mare con tutti i crismi, resterà al suo posto. Sostengono, capeggiati dal loro presidente Carlo Croce, figlio di Beppe Croce, mitico leader della vela mondiale amico di John Kennedy e di Gianni Agnelli, che il tombamento dello specchio acqueo, dove sono ormeggiate le loro barche, sarebbe un inutile sacrificio perchè tutto il progetto è irrealizzabile.

Ma litigano anche tra di loro i potenti genovesi delle istituzioni: il sindaco Marco Doria ha affidato al Blue Print ogni sua possibilità di uscire dalle accuse che lo inchiodano a un profilo di indecisionismo, incapacità di decidere, prigionia nella sua torre avulsa dalla città, in un blocco totale di sviluppo. Ma il suo vice sindaco Bernini, ex Pci duro e puro, ha molte critiche da fare sul grande disegno e sulla sua realizzazione e si è scontrato con l’altro alfiere del progetto, l’ex presidente dell’Autorità Portuale, Luigi Merlo, che ha appena lasciato per scadenza il suo incarico a un commissario della Capitaneria di porto.

Il terzo sponsor era l’ex presidente regionale Claudio Burlando, caduto nell’ombra dopo la sconfitta del centro sinistra alle elezioni regionali. Ci sono anche conflitti interni tra le categorie professionali della città. Confindustria Genova ha sparato a zero contro i circoli che fanno muro al progetto Piano, preparando ricorsi contro i loro ricorsi.

E come poteva essere diversamente: gli industriali vedono l’ area delle Riparazioni navali crescere di 48 mila metri quadrati in quel fazzoletto tra terra e mare dove Piano ha tracciato le sue linee, più spazi, più possibilità di occupazione, più grandi navi da “lavorare”, più mega yacht da costruire.

Tutto ciò varrà bene un porticciolo riempito di terra e roccia, alla faccia delle proteste di quei signori in blazer blu, cravatta d’ordinanza, stemma con bandierine, che non vogliono spostare le loro barche un po’ più in là!

La battaglia navale è in corso, mentre gli uffici di Piano sfornano le mappe con le risposte su traslochi e spostamenti. Si tratta della tradizionale battaglia che Genova combatte quando bisogna modificare qualcosa nell’assetto-base del suo territorio. E poi la questione dei confini tra il porto, le sue multiformi attività e la città stessa va avanti oramai da secoli.

Genova è una città attorcigliata intorno alle sue banchine, si è dovuta mangiare il mare per costruirci sopra tra il 1930 e il 1955 l’acciaieria Italsider, la prima a ciclo integrale in tutta Europa, ha spaccato le montagne per riempire il mare e metterci sopra l’aeroporto Cristoforo Colombo e anche le nuove banchine del porto satellite di Voltri.

È tornata a Levante, ancora negli anni Cinquanta, per costruire i padiglioni di quella Fiera del Mare che ora è il capolinea del Blue Print. Anche qui ciao spiaggie dai nomi incantati e nuove rocce e detriti in mare.

Cosa volete che sia ora la riqualificazione di un pezzo di questa costa disegnata, ridisegnata con una rete di canali alternati a piazzali industriali, a passeggiate e nuove rotonde sul mare, a grandi magazzini e nuovi appartamenti, magari stile Manhattan, a spiagge di riporto?

Non sarebbe niente, costa 160 milioni di euro e il Comune ha già annunciato che ne metterà 60, il resto dovrebbe arrivare da finanziamenti europei e da investitori privati. Un sogno? Un dream blue?

Forse, ma a patto che almeno smettano di litigare.