Genova. Concordia come Tutankhamen? Bruco basilico, Spezia e Savona minacciano

di Franco Manzitti
Pubblicato il 4 Settembre 2014 - 13:03 OLTRE 6 MESI FA
Genova. Concordia come Tutankhamen? Bruco basilico, Spezia e Savona minacciano

Costa Concordia. Come la maledizione di Tutankhamoen?

GENOVA – Guai solo a pensare che la colpa sia della Costa Concordia, il relitto che giace nel porto di Genova Prà-Voltri dalla fine di luglio, in fase di demolizione.

Guai a immaginare una maledizione legata a questa nave, che hanno, invece, salutato come un toccasana per il business che porta a Genova, due anni di lavoro, un migliaio di addetti, la possibilità di creare una filiare produttiva.

Ma quando cinque trombe marine si sono abbattute sulla costa, sfilando davanti alla Costa Concordia e alla sua bara nel molo di Prà-Voltri e l’hanno sfiorata e poi si sono abbattute sulla città di Arenzano, spazzando la spiaggia, gli stabilimenti balneari, manco fossimo nelle Filippine o nei Caraibi, quando arriva il tifone tropicale o subtropicale, qualcuno l’ha pensato che un influsso negativo partisse dal relitto prima maledetto, ora benedetto per gli euro che porta a casa.

Qualcuno ha ricordato il varo della Costa Concordia nel maggio del 2007, cantiere di Sestri Ponente, sei chilometri prima di Prà con la bottiglia di champagne che non si frantumava sullo scafo, come vuole la tradizione marinara. E gli aruspici del mare avevano tratto negativi vaticinii su quel colosso che scendeva scintillante nel mare baciato nei secoli dal Rex, dalla Andrea Doria, dal Conte Bianco, dal Conte Rosso, dalla Raffaello, dalla Michelangelo e via a contare……..

Ma quando un bruco velenoso ha incominciato a aggredire le piante di basilico, che sono l’oro di Prà, che servono a fare il pesto e che sono sulla collina che si affaccia sul grande porto, con il relitto nel suo sarcofago di demolizione, qualche altro ha ripensato a uno spirito malefico in azione.

Cosa c’è di più radicalmente zeneise del pesto preparato con il basilico di Prà, quello è veramente il made in Genoa, come la pizza a Napoli.

E quando è entrato in azione il parassita che oggi minaccia il basilico e quindi il pesto di Prà, se non dopo che il sarcofago della Concordia è arrivato a Genova-Prà-Voltri nel colmo dell’estate più sfigata che si ricordi.

Guai a evocare la maledizione marittima, guai a attribuire un maleficio a una operazione kolossal come la contesissima demolizione della nave squarciata dagli scogli del Giglio, miracolosamente fatta rigalleggiare e trasportata come un corteo funebre nel porto di Genova, grazie anche alla perizia ingegneristica italiana e all’eccellenza dei riparaatori-demolitori navali genovesi, dalla Mariotti ai Cantieri san Giorgio, a tutto un indotto secolare di esperti, che nessuno come loro sta montare e smontare le navi.

Guai a pensar male, ma qualche volta ci si azzecca.

Oggi sulla coda di questa estate che non è stata tale fino a oggi o quasi, si può concludere che la spirale negativa del clima, delle infestazioni maligne, si è accanita proprio su quella parte della Superba che è più produttiva, più popolata nella lenta disgregazione demografica dell’ex Superba, svuotata nei suoi quartieri storici del centro, delle vallate Polcevera e Bisagno, nei quartieri ombelicali della sua storia di operai e camalli: il Ponente delle ex fabbriche, dell’industrializzazione kaputt, del porto che soffre, dell’acciaio da ciclo integrale oramai in agonia nella Ilva, ex Italsider, di cui non si sa cosa succederà, ma solo che quell’immenso Eldorado di milioni di metri quadrati che ha sfornato l’acciaio per l’Italia dell’industrializzazione, poi del boom economico, poi di tutto quello che è venuto dopo o che, magari, non è venuto, dagli anni Trenta in avanti, ha finito proprio il suo ciclo.

E questa Genova come contempla il suo declino? I dati demografici fanno scendere la popolazione alla fine del 2013 ben sotto i seicentomila abitanti, di cui centomila immigrati, di cui almeno venticinque-trentamila sono badanti, un esercito che rappresenta oramai di gran lunga la maggiore forza lavoro della città.

Decenni fa, quando c’erano i primi segni di una retromarcia industriale, ci si chiedeva se nel Terzo Millennio la ex Superba sarebbe stata una città di operai o di camerieri, contrapponendo il probabile declino industriale a uno sviluppo del settore allora chiamato terziario, il turismo, senza ancora immaginare flussi mondiali interessati a visitare non solo le spiagge e le campagne, ma le bellezze artistiche.

Nessuno avrebbe immaginato che, invece, ora i “camerieri” degli anni Sessanta-Settanta, raffigurati come l’immagine di un declino, sono invocati come la riscossa di un settore turistico magari trainante.

Negli ultimi mesi l’ecatombe degli esercizi commerciali ha fatto chiudere oltre quattrocento negozi e in particolare bar e ristoranti.

E, quindi, dove vanno i camerieri? si potrebbe chiedere al suono di quella canzone retrò, che si chiedeva dove vanno i marinai?

I marinai forse tornano, con un flusso di rimbalzo delle crociere che sono uno dei pochi dati positivi dei bilanci al pesto di Genova, in attesa che le grandi Compagnie Costa, Msc, Royal Caribbean e compagnia navigante, sfrattate giustamente da Venezia, vengano dirottate in quello che è considerato il porto più accogliente, quello di Zena.

I marinai magari tornano nel 2015, se la Expò mondiale di Milano si coordina con Genova, che potrebbe essere una delle sue sponde turistiche più abbordabili e anche appetibili, se serve insieme al pesto senza il bruco malefico, la sua Riviera, dalla Portofino un po’ decaduta nel suo aplomb da jet set, alle mitiche Cinque Terre, alla Costa Azzurra a un tiro di sputo.

Ma se arrivano i marinai delle navi da crociera, ci saranno i camerieri ad accoglierli o la città apparirà come esce da questa finta estate del 2014, rattrappita intorno al catafalco della Concordia, dove i lavori di demolizione stanno per incominciare effettivamente solo ora? I fremiti che percorrono il mondo politico e in particolare una classe dominante del Pd, quasi tutto un po’ impunemente “renzizzato”, riguardano prevalentemente una leadership regionale che minaccia il primato genovese rispetto alle altre città della Liguria, nella battaglia delle prossime regionale nel maggio del 2015, un tema che, nel declino strisciante riesce a scaldare i colonnelli ed anche i sergenti locali del leader fiorentino.

Non è un caso che quasi ogni giorno spunti una nuova candidatura per le prossime primarie, che indicheranno il candidato del centro sinistra alla poltrona di governatore, piazzata ancora per poco nella ombelicale Piazza De Ferrari, davanti alla fontana “storica”.

La spending review ha già imposto agli amministratori di ridimensionare quella sede, che si trova nel palazzo una volta sede delle grandi compagnie di navigazione della Finmare, Tirrenia, Italia, Llyod Triestino, Adriatica: per viaggiare il mondo, prima dell’aereo, il biglietto della crociera lo compravi in quel palazzo stile Ottocento, che si poteva paragonare a ciò che nel Dopoguerra Settanta, Ottanta è stato l’aereoporto di New York, l’ombelico del mondo.

Ebbene i candidati a governare la Liguria già scesi in campo vengono per ora sopratutto da La Spezia, da dove si è lanciata Raffaella Paita, la trentanovenne assessora rampante e determinata e da dove stanno preparando altri colpi di scena, un po’ per fermare la bella assessora della giunta in carica e un po’ per far prevalere un’altra tendenza del Pd, meno continuista rispetto al lungo regno di Claudio Burlando, in carica dal 2005.

E così esce inopinatamente su “Il Secolo XIX” un sondaggio molto datato, giugno 2014, nel quale accreditato a quella carica regionale, appare Lorenzo Forcieri, un classico esemplare della tradizione Pci, Ds, Pds e infine Pd della storia spezzina, oggi presidente del Porto nella città dei due Golfi e prima per tre legislature potente senatore della Repubblica e financo questore a Palazzo Madama, un sessantenne molto sveglio.

E molto si chiacchera, forse a vanvera, di una candidatura choc, quella dello spezzino Andrea Orlando, ministro di Grazia e Giustizia, ex enfant prodige dei democrat spezzini e liguri e poi del Nazareno, dove siede dalla tenerà età.

Orlando, alle prese con la riforma della Giustizia, non è un renziano, anzi sembra rappresentare un’ala governativa dissidente rispetto al premier e che cosa meglio di una Regione da governare per cinque anni, allo scopo di far maturare la sua leadership dissidente?

Gli attacchi a Genova, che ha quasi sempre espresso il presidente della Regione, salvo qualche rara eccezione savonese, vengono anche dalla stessa Savona da dove, dopo qualche teentennamento si è già candidato alle Primarie, Federico Berruti, sindaco da otto anni del capoluogo savonese, ex socialista negli anni della gioventù e poi sopratutto renziano della prima ora, uno di quelli che sedeva alla destra del capo e delle sue rottamazioni, quando nessuno si filava Renzi.

E allora, se il Matteo nazionale si dovesse spendere per qualcuno in questa battaglia, che sta diventando una guerra e che potrebbe anche diventare una Waterloo per il Pd, già così stracciato, perchè non dovrebbe appoggiare il suo pupillo?

I genovesi assistono a questo attacco un po’ perplessi, una parte, quella burlandiana schierata come un sol uomo dietro la dinamicissima Raffaella, in garanzia della propria continità di governo e ovviamente di potere, ma con strappi anche evidenti, come quello del vice di Burlando stesso, l’assessore alla sanità Claudio Montaldo, altro monumento della vecchia tradizione comunista genovese, sessantenne con baffo di ferro, che aveva timidamentee pensato di candidarsi, ma che gli spettri della rottamazione hanno fatto rientrare.

Gli altri Pd, sopratutto il vecchio establishment, dove regnano, immarcescibili, i capi di sempre, arroccati nella sede di Piazza della Vittoria (anche questa in via di trasloco per spending review) Pietro Gambolato ottantenne, già deputato, vicesindaco e grande stratega, Mario Margini, ex segretario regionale, settantenne, assessore e vicepresidente in Regione negli anni Novanta, poi salvagente in Comune della sindaco Marta Vicenzi, ancora oggi il più sapiente in materia di lavoro, di fabbriche, di stati di crisi aziendale e di strategia cittadina, Graziano Mazzarello, ex leader di partito, ex senatore, ex vice pèresidente regionale, hanno cercato una soluzione che tagliasse la testa al toro.

Un esterno “nobile”, come fu in Comune nel 1997 il sindaco Beppe Pericu, grande avvocato e professore?

Non l’hanno ancora trovato e ora guardano con una certa preoccupazione non tanto l’attacco straniero a Genova di spezzini e savonesi, quanto lo strappo tra la banda Burlando continuista e il resto del mondo Pd, che vuol cambiare in una Liguria troppo sofferente, appiattita sul modello di Burlando, grande macchina del consesnso territoriale spicciolo, inefficace sulle politiche di sviluppo.

I giovani segretari di oggi, Giovanni Lunardon, il regionale, savonese di origine, ma oramai consacrato a Genova e Vincenzo Terrile, il provinciale, avvocato genovese, crescono in questa bagarre e ciò non esclude che arrivi proprio da loro una soluzione nuova e vincente.

Magari scacciasse anche i malefici che si trascinano e ci salvassero anche il pesto che senza quello che Genova è?