Genova, il grande porto includerà Savona, presidente sarà…

di Franco Manzitti
Pubblicato il 24 Settembre 2015 - 13:55 OLTRE 6 MESI FA
Genova, il grande porto includerà Savona, presidente sarà...

La Torre dei Piloti donata da Renzo Piano al Porto di Genova (foto Ansa)

GENOVA – La poltrona tanto ambita sta a due passi dal Bigo di Renzo Piano, quel braccio che solleva nel cuore del porto antico l’ascensore panoramico dell’Expò genovese. Sta nel cuore del Palazzo san Giorgio, dove ha sede l’Autorità Portuale che vorrebbe dire il secondo potere genovese, quello sulle banchine del porto più importante d’Italia, uno dei più strategici del Mediterraneo. Potere in espansione, ora che una delle tante riforme del governo renziano tenta di allargare l’influenza genovese verso Savona, dove i moli sono cresciuti a dismisura e ora quasi soffocano la città con l’andarivieni delle navi della Costa Carnival, i giganti delle crociere, business in espansione fortissima.

Quella poltrona in un ufficio lungo e stretto, con le finestre aperte sulla spianata turistica del porto antico, la raggiungi attraversando nobili scaloni e nobili saloni della storia genovese, storia di “palanche”, appunto nel Banco di san Giorgio e storia di un antico dominio che qui hanno dimenticato.

La cella dove Marco Polo, il veneziano catturato e tenuto in ferri dalla Repubblica genovese, scrisse il Milione, stava in questo luogo, che oggi sembra sospeso nel destino della Superba, tra il palazzo del potere portuale e l’Acquario dei milioni di visitatori, del turismo a tanto al chilo che Genova coltiva oggi come l’ultimo suo approdo, dopo la de industrializzazione, incerta nelle sue scelte, città bifronte, più bella e accogliente, ma sfarinata, depauperata di lavoro, di business, di giovani, invecchiata ma con la voglia dello scatto di reni.

Il doge vero di questa città, cioè il presidente dell’Autorità Portuale, Luigi Merlo, uno spezzino che già questo faceva un po’ storcere la bocca ai zeneisi doc, dopo un minuetto un po’ imbarazzante di dimissioni date e poi ritirate e poi ridate, sta lasciando il palazzo. Stava lì da sette anni e gli ultimi mesi sono stati un po’ un calvario, perchè Merlo è il marito della ex candidata sconfitta alle elezioni regionali del maggio scorso, Raffaella Paita, del Pd, quarantenne d’assalto, naufragata con il regime burlandiano che l’ aveva lanciata verso la presidenza della Liguria, come si lanciano i dadi, sicuri di fare dodici.

Anche Merlo è un democrat, già assessore alle Infrastrutture della Regione, incarico nel quale la gentile consorte gli succedette, sempre sotto la regia burlandiana. Allo scoccare della candidatura galoppante della bella Raffaella, il marito Merlo aveva annunciato, in uno scatto di pudore politico e personale, che si sarebbe dimesso, quando la moglie avrebbe conquistato il trono regionale.

Il conflitto di interessi era insopportabile e già lo era prima, con lei a governare, appunto le infrastrutture, e lui a comandare la più importante delle infrastrutture liguri, le banchine.

Ma sotto il regno di Burlando e nella estensione del suo decennale governo della Liguria questo ed altro era possibile, nella logica di un potere pd esteso, senza opposizione in Regione, in Comune, nella città metropolitana e, ovviamente, anche nell’autorità portuale.

La Paita non ha vinto, ma il conflitto di interesse o meglio l’intreccio dei poteri, delle competenze e dei ruoli, sopratutto per la vittoria del concorrente in regione Giovanni Toti, deus ex machina nelle decisioni su san Giorgio, aveva spinto Merlo a annunciare, comunque, le sue dimissioni. Il neo presidente della Liguria, tutto splendente del suo successo, aveva fatto il gran gesto di rifiutarle, invitando il presidente-consorte a restare fino alla fine del mandato, in realtà ancora pochi mesi. Gesto un po’ spiazzante per il presidente uscenteo già mezzo uscito e gesto da perfetta azione in contropiede per i pd, che volevano azzannare il centro destra vittorioso, anche magari con i denti affilati dalla rabbia per la sconfitta della Raffaella, nel frattempo eletta con un po’ di precipitazione capogruppo pd inRegione. Inchino, invece, a Toti e Merlo che resta al suo posto con un sussiego un po’ peloso.

Peccato che la patata della successione a palazzo san Giorgio sia troppo bollente. Il porto di Genova, le sue banchine sono un Eldorado e le concessioni ai terminalisti, gli imprenditori che hanno in uso i moli per far arrivare le navi, sbarcare i container e “trafficarli”, stanno per scadere.

Chi decide le concessioni, in attesa della legge portuale sospirata da decenni, invocata ed anche contesa molto dai bigs italiani della portualità? Con la legge vigente il presidente dell’Autorità Portuale in carica, cioè a Genova il dimissionario Merlo, il quale ovviamente si astiene.

E qual è il punto chiave della riforma, che galleggia tra Roma e i porti italiani? La definizione di una nuova geografia delle banchine, con i confini allargati a una specie di struttura italiana a dipartimenti portuali.

Genova si allarga verso Savona in un distretto tirrenico del Nord. Forse.

I poteri diventano, in questo caso, ancora più ampi, perchè Savona, che era un porto minore, sbocco di un mini corridoio verso il Piemonte, diventa un superporto, grazie alla spinta di un ex presidente di quel porto, Rino Canavese, ex deputato leghista della prima ora, che scippò a Genova le crociere della Costa, diventata Carnival, costruendo un terminal gigantesco nel cuore della città ligure.

Il prode Canavese fece partire anche un’altra operazione kolossal: la costruzione di una grande piattaforma davanti a Vado Ligure che è al confine di savona. Una piattaforma per la Maersk, grande compagnia mondiale di portacontainer, ora in costruzione, che sconvolgerà letteralmente i traffici, consentendo l’approdo alle gigantesche navi del terzo millennio, lunghe anche più di trecento metri e cariche di container. Con l’operatività di questa piattaforma, croce e delizia di un dibattito durato anni (la costa savonese è, salvo la città capoluogo, prevalentemente turistica e piazzarci un “mostro” industrial-portuale non è un’operazione leggera per il territorio), Savona, e il dipartimento di Genova, possono diventare una base per milioni e milioni di container all’anno, strappando traffici ai porti europei, sfruttando le nuove correnti che l’allargamento del canale di Suez “spara” verso il Mediterraneo e poi verso il Nord Europa.

Capito che affare governare il porto di Genova e quale battaglia si è scatenata per la poltrona di presidente, che Merlo sta per sfilarsi via?

I candidati alla succosa successione sono tutti a cavallo della famosa riforma della legge portuale, sulla quale pesa molto la figura di Graziano Delrio. Il ministro delle Infrastrutture potrebbe decidere di commissariare le banchine genovesi in attesa del completare la riforma, ma potrebbe anche nominare un commissario pronto a trasformarsi poi in presidente a tutti gli effetti.

Ma a valle, o forse a monte di questa decisione ministeriale, c’è la procedura in vigore per la nomina, che resterà, anche nel caso della nuova legge saldamente in mano del presidente della Regione. Che oggi non è più di centro sinistra, ma è Giovanni Toti, lo speaker di Berlusconi, colui che ha sconfitto Raffaella Paita, moglie di Merlo.

Toti ha una preferenza spiccata per quel ruolo, che trapela nei giorni della vigilia: Sandro Biasotti, deputato di Forza Italia, fedelissimo, ovviamente, di Berlusconi, ex presidente della Liguria tra il 2000 e il 2005, imprenditore del trasporto, superconcessionario di auto di lusso, 66 anni, un ex naif della politica, che ha contribuito alla elezione di Toti stesso, nel ruolo di coordinatore regionale del partito di Berlusconi.

Ma ci sono ovviamente altri concorrenti in pista, i cui nomi vorticano nella città: il primo è stato proprio l’uomo della rivoluzione savonese, Rino Canavese, che oggi è un superconsulente del gruppo Gavio, gigante infrastrutturale e segue l’avvocato Maurizio Maresca, grande esperto di problemi portuali, genovese, già presidente del porto di Trieste e “consigliori” di bigs locali e nazionali: dall’ex sindaco di Genova Marta Vincenzi, a Palenzona, vice presidente di Unicredit, fino a nientemeno che Renzi, che lo ha scelto proprio per i problemi portuali. Maresca ha smentito di essere in corsa, ma……….

Un altro concorrente, entrato in lizza è il direttore generale del porto ultraconcorrente di La Spezia, Andrea Santini, qualora il criterio di scelta fosse meno politico-strategico e più tecnico.

Un tempo in corsa per quella poltrona di rose e spine del porto di Genova erano in pista personaggi dell’alta borghesia genovese, esperti di traffici, di shipping, di brokeraggio, delle assicurazioni, che quasi sempre venivano sconfitti dalla lottizzazione politica. Clamoroso fu negli anni Ottanta del porto ancora pubblico e, quindi, non privatizzato l’nvestitura, da parte di Craxi, presidente del Consiglio, di Roberto D’Alessandro, un manager molto in tiro con il Psi di allora, l’uomo che diede la prima spallata alle banchine genovese, scontrandosi con il monopolio dei camalli della Culmv e che introdusse criteri economici rivoluzionari per gli assetti genovesi. D’Alessandro spazzò via una rosa di candidati, con i più bei nomi della città marittima, scelti dall’allora presidente degli industriali Riccardo Garrone.

Ci vollero venti anni perchè su quella poltrona, nello studio lungo e stretto, tornasse un “privato”, che non ebbe grande fortuna, Giovanni Novi, il broker. Uno scandalo poi assolutamente inesistente, secondo le sentenze definitive della Cassazione, lo fece cadere proprio nei giorni di scadenza del suo mandato. Fu accusato, arrestato e crivellato dalle imputazioni della Procura.

Quella “sanguinosa” vicenda era legata, tanto per cambiare, alle concessioni portuali, i provvedimenti amministrativi _ lo ricordiamo ancora_ attraverso i quali il presidente affida pezzi di porto ai privati terminalisti. I magistrati ci videro una pioggia di reati e aprirono un capitolo che sembrava poter segnare una svolta “storica”: la scoperta di un grande partito del malaffare, di una oligarchia dominante. La Cassazione scrisse sei anni dopo : “tutti i fatti non sussitono.”

Oggi la questione delle concessioni è ancora il quid della battaglia navale che si sta combattendo per scegliere il nuovo presidente. Merlo se ne va un po’ a capo chino, un po’ con scatti di orgoglio, quando molte concessioni sono in scadenza e i terminalisti, come Aldo Spinelli, big della città , titolare di una di queste concessioni, grande imprenditore del trasporto, presidente del Livorno Calcio, fanno rumore, invocando scelte rapide e con scadenze lunghe per programmare il futuro dei moli.

Il porto rimane il cuore di Genova. Se i suoi battiti sono forti e regolari la città ha ancora speranza in un futuro. Se si ferma e la battaglia diventa troppo pesante e le scelte troppo divisive, i giganti del traffico marittimo marginalizzeranno la ex Superba. E il palazzo del porto, laggiù tra l’Acquario e le magnficenze storiche delle vecchie banchine, recuperate da Renzo Piano, resterà solo nell’obiettivo fotografico dei turisti, che invadono sempre di più la città antica. E sfumerà, quel palazzo, dall’altro obiettivo, quello dei grandi traffici del Terzo Millennio.