Genova, il morso di “viperetta” agli imprenditori. Aspettando la Concordia

di Franco Manzitti
Pubblicato il 3 Luglio 2014 - 13:16 OLTRE 6 MESI FA
Massimo Ferrero

Massimo Ferrero

GENOVA –  L’ultima beffa è stata un po’ come il morso di una vipera, considerato che l’autore, certamente inconsapevole, è notoriamente conosciuto nel mondo del cinema come “er viperetta”, alias Massimo Ferrero, noto produttore cinematografico di pellicole “girate” da bigs come Tinto Brass, propietario di sale a Roma. Si è comprato la Sampdoria “er viperetta”, liberando dal peso della società blucerchiata la arcinota Famiglia Garrone-Mondini e mettendo la bandierina sulla seconda società di calcio della città, dal 1946 della sua fondazione posseduta da importanti dinastie imprenditoriali genovesi: dagli armatori Ravano, al petroliere e broker Paolo Mantovani, fino ai Garrone, titolari della Erg.

Il morso, se così lo vogliamo intendere, è all’establishment imprenditoriale genovese, spossessato della roccaforte sampdoriana, malgrado i Garrone avessero bussato insistentemente anche alle porte di casa per cedere un business che avevano tollerato e che era diventato indigesto sopratutto dopo la morte di Riccardo Garrone, il capostipite della seconda generazione famigliare, un leader che aveva marchiato nei suoi molteplici ruoli la società genovese.

Garrone era stato anche per due volte presidente della Associazione Industriali e suo figlio Edoardo, successore nella Samp, anche presidente nazionale dei giovani Industriali, alla fine degli anni Novanta. Il morso è stato anche una scossa, un motivo di scuotimento per la classe imprenditoriale genovese, da tempo arroccata a difendere un terreno sempre più sguarnito di aziende, sempre più corroso da una potente de-industrializzazione, seguita e accompagnata dalla fine dell’ impero Iri delle Partecipazioni Statali.

Ma come, anche i Garrone si ritirano da un impegno pubblico così visibile come quello della Sampdoria, nel tempo in cui il loro ruolo imprenditortiale sta mutando vertiginosamente, con la cessione della Raffineria Isab di Melilli alla Lukoil russa, e si getta nel business dell’eolico, restando sulla frontiera delle energie rinnovabili e su quella della commercializzazione petrolifera, ma “staccando” dal core business della loro storia?

Un disimpegno più globale dalla città-madre, che aveva visto crescere negli anni Cinquanta-Sessanta-Settanta l’attività di raffinazione nella Valle Polcevera, fino alla sua riconversione mediata tra Riccardo Garrone e le prime amministrazioni “rosse” degli anni Settanta in un risiko territoriale che aveva visto il leader Garrone spesso in conflitto e contrapposizione o in difficile mediazione con l’amminhistrazione e la politica genovese?

Il morso della vipera con lo stacco dall’impegno calcistico potrebbe essere anche un segnale in questo senso: per questo nei salotti sempre più silenziosi e ristretti del vecchio establishment genovese, quello fatto di grandi famiglie spesso contrapposte tra di loro, di grandi rentier e di pochi nuovi imprenditori o di seconde e terze e anche quarte generazioni residuali, si osservano con cupezza le novità calcistiche. Il tifo non c’entra, c’entra la città che anche su questo fronte osserva oramai le scorribande straniere, così lontane dallo stile genovese. Prudente, riservato, silenzioso.

Se “er viperetta” Massimo Ferrero entra a gamba tesa nel calcio zeneise, sull’altra barricata, quella rossoblù genoana, regna da oltre dieci anni il joker, Enrico Preziosi, dell’ominima grande ditta di giocattoli, un avellinese-luganese-brianzolo, che se non ci fosse il Genoa Criket Foot Ball Club, sarebbe probabilmente scomparso, che garantisce da otto anni la serie A alla tifoseria genoana, definita dal New York Times “una etnia”, non una tifoseria, ma che rispetto alla città è un corpo estraneo.

Se i Garrone hanno cercato sopratutto in città un gruppo a cui cedere la Samp, il Joker lancia oramai da anni l’amo per far abboccare al suo Grifone gruppi molto lontani dalla città con la quale la sua interlocuzione è nulla (si vanta di non avere mai fatto una doccia a Genova).

Oggi dopo il morso sampdoriano, Preziosi sta aspettando una risposta da un gruppo di imprenditori cinesi che rileverebbero una quota non si sa se la maggioranza del magico Criket Foot Ball Club, ma l’affare si mescola con quelli globali del Joker e la Cina è immensa. I possibili acquirenti sono comparsi come in un film del “viperetta” in Tribuna d’onore, nell’ultima partita del Genova in campionato. Eramo quattro giovani con gli occhiali a specchio e l’aria ermetica…….

Di morso in morso e di calcio in calcio, il corpo imprenditoriale genovese alla fine è scattato in una dura reazione, anche se provocata non solo dagli sgarri calcistici. Dopo una politica molto di basso profilo, Giuseppe Zampini, il presidente di Confindustria Genova, presidente anche di Ansaldo Energia, un uomo cento per cento Finmeccanica, è improvvisamente sbucato nel dibattito depressivo della crisi genovese convocando una mega assemblea pubblica con un titolo sfida alla classe politica ligure : “I perchè di un insuccesso. Evitare gli errori di ieri per le scelte di oggi”.

Insomma una specie di cazzotto al mento, neppure più un morso, per sottolineare come la classe dirigente genovese dei politici, degli amministratori e dei parlametrari, sia incapace di decidere alcunchè. Zampini ha fatto qualche esempio sulla inconcludenza pubblica: il terzo valico, collegamento vitale tra Genova e la Padania, inserito nei corridoi europei, avanza come una lumaca, la Gronda, tangenziale per sbloccare il nodo autostradale genovese gnera da decenni discussioni, scontri, dibattiti e non parte mai, il nuovo insediamento dell’industria hig tech sulla collina genovese degli Erzelli a cui guarda il futuro, in costruzione da anni, manca della presenza dell’Università Politecnica, che non decide mai se salire lassù o no, lacerando i baroni accademici e i partiti politici e snervando l’ ideatore di tutto il professor Carlo Castellano, grande personaggio-lottatore della città. In questo quadro a Genova, dove Cavour insediò l’industria, gli imprenditori affogano. Chiusure, fallimenti, la fine praticamente del settore edile e l’apnea del comparto intero.

Gli industriali per una volta accomunati da una decisione “forte” si sono proposti per partecipare a uno schema di intervento con il quale costruire gruppo di lavoro per spingere non solo queste opere pubbliche, ma per dare una scossa a una città che sta agonizzando da anni.

In realtà la sparata di Zampini era un invito, poi mediato nella forma, a ragionare sugli errori collettivi, commessi nei decenni e a trovare nuove soluzioni.

E così in un lunedì di inizio estate caliente la grande sala di palazzo Ducale, quella dove si riunirono 13 anni fa i grandi della Terra nel tragico G8 del 2001 si è riempita di una folla che è andata a vedere lo spettacolo dello scontro politica-imprenditoria, come se si entrasse in una arena. Puroppo tra la lista degli invitati mancavano per defezione all’ultimo momento i pesci grossi, cioè i due ministri Roberta Pinotti, della Difesa, genovese in vertiginosa ascesa istituzionale (a Roma la stanno candidando per la successione alla Presidenza della Repubblica a Napolitano……) e Maurizio Lupi delle Infrastrutture, convocati di corsa al Consiglio dei ministri che avrebbe deciso nella stessa serata la storica commessa per Genova di demolizione della nave Concordia. Un business che è stato giustamente accolto in città come un vero salvataggio. E ci crediamo, quale affare migliore in una città-regione in rottamazione di classe dirigente, industria, speranze del futuro, programmi di sviluppo, che la maxi demolizione della maxi nave, naufragata nel maxi incidente dell’inchino che ha infangato anche la tradizione marinara? Schettino o non Schettino.

Assenti giustificati i ministri, il sale e anche il pepe, non sono mancati nel match pubblico aperto dal cardinale Angelo Bagnasco, chiamato a salutare, da erede di Giuseppe Siri il cardinale-principe della storia genovese e da presidente della Cei oramai agli sgoccioli, i lavori.

Zampini ha rincarato la dose in un colloquio forse un po’ troppo salottiero con il giornalista Enrico Cisnetto, tra l’altro di origine genovese-sampierdarenese, ancorchè diventato un globe trotter di successo, inventore dei famosi incontri di Cortina. Il presidente ha suggerito la formula dei gruppi di lavoro, non lesinando stoccate ai leader locali, responsabili di ritardi, incertezze e sopratutto di indecisionismo.

A parte la risposta ingessata del sindaco Marco Doria, che tende sempre a usare lo stile dello storico universitario qual è, più che quello dell’ammijnistratore che raccoglie sfide sanguinose, è stato il governatore della Liguria, Claudio Burlando, con tutto il peso della sua lunghissima carriera genovese e nazionale (da giovane assessore anni Ottanta, a segretario del fu Pci-Pds, a sindaco, a deputato a ministro dei Trasporti, a responsabile nazionale Ds per gli Enti oocali eccetera eccetera) a rispondere per le rime.

Burlando, che sta in sella alla Regione da dieci anni e ha già annunciato che non si candiderà per la terza volta, forse perchè ha le mani libere, ha sfidato gli industriali accusandoli di avere coperto con il loro silenzio lo scandalo che sta squassando la città. Ha alluso alle vicende della Carige, il cui presidente-padrone-doge, Giovanni Alberto Berneschi, da dio della città è diventato l’epicentro di un sistema micidiale che succhiava_ secondo le eclatanti tesi della Procura genovese_ risorse alla sua banca e alle assicurazioni collegate per trasferirle decuplicate nel valore a società in Svizzera delle quali era potente socio. “Ho questo rospo in gola dal 2006 _ ha confessato Burlando _ tutti sapevano di queste irregolarità e io chiesi alla Banca d’Italia di commissariare la banca. Perchè tutti voi tacevate?”

E qui Burlando ha affondato l’ altro morso che si collega al primo di questo racconto. Chi era l’unico che denunciava lo scandalo Carige se non Riccardo Garrone, l’ex padrone della Samp, durissimo nel definire “poteri forti” e “forze del male” i potentati bancari in mano a Berneschi.

Ora Garrone non c’è più e otto anni dopo Burlando, gelando la platea imprenditoriale, lo evoca come un santo. Mentre quando Garrone parlava chiaro e diretto, nessuno si muoveva, anzi qualcuno ironizzava e anche lui da presidente della Regione tesseva trame con la Carige, magari insieme a Claudio Scajola, un altro ex ministro ligure ultradecaduto, oggi agli arresti domiciliari nella villa di Imperia, dove medita sul suo amarissimo destino, tra presunti amori perduti (Chiara Rizzo, la signora Matacena) e un patrimonio politico tutto polverizzato in Liguria e altrove.

Tra morsi e stoccate e calci, la grande assemblea si è chiuso in un gelo che contrastava con la prima canicola estiva. Politici e imprenditori si sono alzati, guardandosi in cagnesco e con il sospetto che alla fine anche questa sfida sia un bla bla, magari più acuminato degli altri. Aspettando non Godot ma la Concordia, che sarà il grande spettacolo dell’estate e che già si profila all’orizzonte, quando sbucherà al largo dell’incanto del Monte di Portofino e sfilerà come in una parata funeraria fino al porto di rottamazione.