Lorenzo Bozano, il biondino esibizionista che nega…Gustavo Gamalero ricorda

di Franco Manzitti
Pubblicato il 20 Novembre 2013 - 07:52 OLTRE 6 MESI FA
Lorenzo Bozano, il biondino esibizionista che nega...anche 42 anni dopo

Lorenzo Bozano, il biondino esibizionista che nega…anche 42 anni dopo

GENOVA – Quarantadue anni dopo il “mostro” sbuca su uno schermo televisivo e per la prima volta con la sua voce profonda, la sua faccia larga, la sua calvizie grigia, altro che biondino o falso biondino della spyder rossa del suo maledetto “giallo”, targato 1971, la sua mimica minima nello schermo stretto della Tv, “sputa” una sua verità.

Non lo si era mai visto in faccia a tentare di discolparsi Lorenzo Bozano, oggi sessantonovenne, ieri ventisettenne sospettato, accusato assolto con dubbio, scappato, latitante e alla fine catturato estradato e definitivamente condannato all’ergastolo, tra il 1971 e il 1977, per l’omicidio di Milena Sutter, 13 anni, figlia di una famiglia di industriali svizzeri con stabilimento a Genova. Non guarda mai la telecamera di “Linea Gialla” la trasmissione de La 7, condotta da Salvo Sottile, Lorenzo Bozano, allora noto appunto come il “biondino della spyder rossa”, né guarda la sua intervistatrice cui risponde “di traverso”, elusivo anche un po’ arrogante, come sempre in questa storia infinita di un delitto che non si dimentica.

Parla di Milena, la sua vittima, citandola così: “la sventurata Milena”, parla del suo processo come di un lungo atto giudiziario nel quale non si è mai cercata la verità per condannare lui, cita un altro colpevole, il vero “biondino” della spyder rossa, che ronzava intorno alla “sventurata” Milena, un certo Claudio, lui sì che era biondo. Parla di Isabelle, l’amica del cuore di Milena, che non ha mai raccontatola sua verità su quel giallo che monopolizzò Genova e l’Italia di inizio anni Settanta, che la inchiodò alla tragedia di quella bambina, inghiottita da una spyder rossa, all’uscita della Scuola Svizzera, in un quartiere tranquillo di Genova, il 7 maggio del 1971, riemersa nelle acque del mare genovese davanti alla spiaggia di Priaruggia il 20 maggio, orrendamente sfigurata dall’acqua, dai pesci con una scolorita cintura da sub improbabile zavotta ai fianchi.

La cintura del sub Lorenzo Bozano. Inequivocabilmente. Bozano non guarda l’obiettivo e fa solo una piccola, impercettibile smorfia con la bocca quando gli chiedono se lui quella Milena di 13 anni la conosceva. “Erano bambine, forse le avrò viste da lontano…….” . Dice proprio così, “bambine”, quest’uomo grande e grosso, seppellito in carcere a Porto Azzurro dalla fine degli anni Settanta, cui i giudici di sorveglianza concessero la semilibertà nel 2003 e che se la giocò perchè scoperto a molestare una ragazza in un supermercato dell’isola d’Elba.

Il lupo perde il pelo, ma non il vizio, ma Bozano non perde neppure il vizio di mentire, anche se ha aspettato quarant’anni per parlare, per “dire” la sua verità intorno a questo processo, che oramai fa parte della storia giudiziaria, dalla quale lui sbuca come uno di quei pupazzi a molla, dallo schermo, dallo scoop del La 7, che pochi identificano, perchè oggi, nel terzo millennio, le storie come quella della povera Milena, 13 anni, strangolata, soffocata, affondata nel mare di maggio di una primavera genovese dolcissima e tinta di nero da lui, sono sepolte non solo nel tempo ma da infinite altre storie di “mostri”, di killer, di giovani vittime che costellano questi quarant ‘anni.

“Era un assassino, ma anche un esibizionista e quando si sentì scoperto, allora si inventò un personaggio e solo oggi parla, perchè fino a oggi è rimasto nei panni di quel personaggio “- ti dice, davanti a quelle immagini recenti di Bozano, l’avvocato Gustavo Gamalero, vecchio leone del foro genovese che rappresentò la famiglia Sutter in quel processo di quaranta anni fa e che ricorda ancora ogni secondo di quella vicenda, dalla scomparsa di Milena, alla condanna definitiva di Bozano, alla sua estradizione in Italia dalla Francia.

Lui, Gamalero, oggi ha 87 anni, ma la sua voce, la sua memoria sono come di ferro nella rievocazione di quella storia e nella certezza della colpevolezza di Lorenzo Bozano. “Non si era mai difeso altrimenti che negando e basta, senza inventarsi uno straccio di alibi, non aveva tentennato neppure quando gli avevano mostrato quel foglietto con la sua calligrafia nel quale c’era il piano del sequesto: affondare, sepellire, murare. Aveva solo un po’ vacillato, quando il giudice istruttore Noli gli aveva mostrato il numero di telefono della Scuola Svizzera, pescato nella sua tana da barbone di una famiglia borghese un po’ decaduta” – elenca l’avvocato Gamalero, riassumendo una delle indagini più corpose e più folgoranti mai compiute dalla polizia giudiziaria, che raccolse contro Bozano decine di indizi, di testimonianze, di vere e proprio prove e che lo aveva inchiodato in una morsa stretta da un giovane e acuto pubblico ministero Nicola Marvulli, poi diventato, al culmine della carriera addirittura primo presidente della Corte di Cassazione e da un capo della Squadra Mobile, Angiulin Costa, una specie di Maigret genovese.