Marino, Pisapia, Doria… Storie di sindaci arancioni

di Franco Manzitti
Pubblicato il 15 Ottobre 2015 - 06:44 OLTRE 6 MESI FA
Marino, Pisapia, Doria... Storie di sindaci arancioni

Marco Doria

GENOVA – Ora tutti aspettano che si scolori l’arancione di Marco Doria, il sindaco di Genova, dopo le dimissioni di Marino, gli annunci di exit di Pisapia e le battaglie di riconferma di De Magistris. Eccoli qua i sindaci arancioni eletti nell’ultimo lustro, in una nidiata che più multiforme non poteva essere e che ora tende a sbiadire o a fiammeggiare. Dipende dagli esiti di queste sindacature che hanno finali o intermezzi così diversi e che abbracciano pezzi difformi dell’Italia nelle città sofferenti.

Roma da mafia capitale e note spese truccate, Milano da Expò trionfante e successione appetitosa, Napoli mille colori e mille casini, e Genova? Imbalsamata nella sua conservazione del declino, che il sindaco arancione Doria “protegge” e blinda con il suo aplomb da professore di economia, da nobile di antichissima schiatta e da uomo di una sinistra ferrea, autonoma davanti a un Pd che vorrebbe divorarlo e invece lo puntella, tra maledizioni e tapulli di stucco.

Sbiadisce l’arancione vivo che aveva colorato la città Superba nel 2012, incendiando il cielo sul naufragio del Pd, nelle Primarie che inabissarono le caravelle di Marta Vincenzi e Roberta Pinotti, concorrenti all’ordalia e affondate dal marchese Doria con un contropiede che neppure la vecchia Inter di Herrera…

Sbiadisce perchè il sindaco è oramai cristalizzato nella sua figura quasi ascetica di francescano che vuole condurre la città secondo canoni moraleggianti, quasi da catechismo cattolico, lui che è un ateo post marxista. Moraleggianti in chiave politica: come quando nel pieno dell’emergenza profughi lancia l’iniziativa del Comune, pronto a sborsare 400 euro per le famiglie che si prendono in casa uno dei mille disperati che la ripartizione nazionale fa piovere a Genova.

Sbiadisce l’arancione forte della bandiera che sventola sul pennone di Doria, quando il sindaco non riesce ad affrontare anche le piccole emergenze di una città sofferente, come piegata dalla incapacità di sbloccare le vie maestre del suo sviluppo e costretta a dibattere temi al massimo ribasso.

Da mesi il tema numero uno all’ordine del giorno, sul quale si misura Doria, è il mercatino abusivo degli emigranti, meglio conosciuto come suk che stende i suoi quasi stracci nel cuore della città antica. Cosa farebbe Francesco davanti a un caso simile? Non butterebbe all’aria il povero suk che ha preso piede tra il Palazzo del Porto e le vie di Sottoripa che fanno da confine ai caruggi ombelicali di Genova, cercherebbe di trovare una via d’uscita per i disperati che vanno a vendere la loro merce povera e che nel baratto vedono la possibilità di spuntare un’euro.

“Abusivi!” urla la popolazione locale imbestialita da questo suk invasivo che occupa i selciati ex nobili dell’area intorno allo straturistico porto antico. “Clandestini, irregolari” _ urlano i commercianti che resistono a fatica nell’arena del centro storico, tra malavita organizzata, degrado ambientale progressivo e concorrenza interna. A questo livello di disperazione quel mercato di povere cose, posate per terra, una teiera sbrecciata, un caffettano, uno scopino da cesso, quattro posate mal assortite, un mezzaro straliso, una camicia con le toppe, tendaggi improbabili, pezzi di un mobilio residuale, fa proprio concorrenza, dirotta il traffico di una clientela vagante e con le tasche sempre più vuote verso l’occasionissima da suk.

La protesta sale da mesi, ha riempito la canicolare estate, ha impegnato la giunta comunale in soluzioni mai definitive, ha portato a un trasferimento del mercato in un’area vicina, ma non nell’ombelico storico del centro. Lo ha confinato, ma non ne ha affatto ridotto l’abuso fondamentale, quello di una vendita irregolare. Nelle botteghe dei caruggi i commercianti devono, ovviamente rilasciare lo scontrino, il suk vive nelle sue regole di pagamento totalmente irregolare. E il marchese Doria, sindaco arancione sbiadito che ha fatto?

Quando il problema è esploso ha sottolineato con il suo stile severo e che non ammette contraddittorio che anche i venditori abusivi hanno diritto di vivere e di lavorare e che quindi il suk non andava smontato e non dichiarato abusivo, irregolare, fuori legge, ma semplicemente regolato. E così c”è stato lo spostamento, ma la polemica si è ancora più incendiata davanti a una risposta sicuramente “francescana”.

Il problema è stato che questa emergenza è diventata “il caso” del dibattito politico cittadino come se la questione del suk fosse la più rilevante tra le cavalcanti emergenze genovesi: una città in ginocchio con le inchieste dei giornali e delle televisioni locali che denunciavano lo stato del degrado, della sporcizia, della mancanza di sicurezza ovunque e sicuramente nella zona del mercato proibito.

Era come se tutta l’azione dell’autorità comunale fosse concentrata nel dirimere la questione dell’abusivismo da suk e il resto fosse paralisi. Intorno la politica arancione non si stava certo dispiegando a 360 gradi nel culmine dell’estate, che aveva avuto un inizio indirettamente favorevole, molto favorevole per Doria: la terribile sconfitta elettorale del Pd nelle elezioni regionali con la caduta della candidata Raffaella Paita e del suo sponsor Claudio Burlando, avevano di fatto rinforzato le gambe della giunta comunale. Il Pd non poteva più permettersi di alambiccare sul suo appoggio al sindaco marchese così autonomo, più volte entrato in conflitto con strati cittadini a tradizionale matrice Pd, come i lavoratori dell’Amt, la società del trasporto pubblico, come i lavoratori dell’Aster, l’altra società destinata alla manutenzione cittadina… E inoltre tutti gli indici di popolarità del sindaco stavano sbiadendo come l’arancione e ciò induceva il Pd prossimo alla sconfitta a interrogarsi se valeva la pena di sostenere quel sindaco che prendeva sempre le misure alla comune azione di governo, che sembrava gelido, distante dalla città in sofferenza, che non decideva mai i passi importanti sul tappeto liso dello sviluppo.

Prima del patatrac regionale il Comune poteva anche apparire come un protettorato minore della Regione a forte connotato burlandiano: era stato proprio Burlando a salvare il sindaco un anno fa, dopo lo sciopero selvaggio di cinque giorni dei tramvieri, quando il Comune era in ginocchio e la città allo sbando, promettendo il finanziamento per comprare i 120 autobus che avrebbero risollevato il trasporto pubblico.

Crepi Doria con tutti suoi più o meno vacillanti assessori e sulle ali di una viittoria in Regione, con la rampante Paita, delfina di Burlando, possiamo pure pensare di far cadere il Comune e preparare finalmente un nuovo corso, decisionista e positivo con gli stivali delle sette leghe e non con il saio del buonismo sociale, era la riflessione negli ambienti Pd più spregiudicati.

Nello scenario, capovolto rispetto a questo, della sconfitta regionale Doria è stato colui che silenziosamente, riservatamente ha tirato, nello schieramento di centro sinistra ligure, il respiro più lungo, senza strapparsi i capelli per la sconfitta e la Liguria in mano al nemico. Sollievo? Scampato pericolo? Blindatura per arrivare senza traumi alla naturale scadenza elettorale della primavera 2017: ecco la parola d’ordine che nella sua testa il marchese rosso ha scovato per tracciare il percorsi dei suoi ultimi due anni di mandato.

Ma Doria non faceva i calcoli con la torrida estate del suk, con il progressivo deterioramento del clima cittadino, della esasperazione post sconfitta del pd e sopratutto del clima generale che si respirava intorno all’arancione nel resto d’Italia.

Le giunte di quel colore erano entrate nel frullatore: a Milano i tentativi falliti di convincere Pisapia a replicare il mandato e quindi l’inizio della caccia ai nuovi candidati, fino al lancio, da parte dello stesso Pisapia, di Francesca Balzani, diventata vicesindaco, genovese, ex assessora al Bilancio a Genova, ex europarlamentare, ex prestigiosa avvocatessa dello studio Uckmar. Lei aveva rifiutato di correre a Genova proprio per il ruolo di sindaco e poi si era sfilata anche dalle Primarie-ordalie della Regione Liguria ed ora il suo nome risbucava a Milano e in quale contesto, molto più pimpante di quello genovese. Altro che suk, lì c’era lo sfolgorio dell’Expò in rimonta strepitosa e una corsa con tanti concorrenti illustri per palazzo Marino! C’era, insomma da accappararsi, la eredità del fortunato Pisapia, baciato nel finale di mandato proprio dal successo dell’Expò e, quindi, da un nuovo look della milanesità.

A Roma,invece, l’arancione Ignazio Marino era diventato sempre più “marziano”, fino alle sue esplosive dimissioni, dopo i viaggi negli Usa, le docce gelate del papa Francesco, i funerali Casamonica con il cocchio, i pennacchi. Un sindaco milanese per bene, di sinistra ma mai settario, baciato dalla fortuna, un sindaco romano, anche lui per bene fino alle note spese disinvolte e alle cene personali in conto al Comune, stravolto dal suo scontro con la mafia capitale, dal suo esibizionismo inarrestabile, appunto dal suo essere “ marziano” nel rutilante contesto romano, di qua e di là dal Tevere, concordi nello sparargli addosso, nel tentativo di farlo rientrare da Marte sulla terra, cioè a casa, mentre si prepara il Giubileo.

E infine il sindaco genovese, definibile come francescano per le sue aperture sociali, sotto i colpi dell’emigrazione, di altra pasta rispetto a Marino, al punto da avere donato al bene pubblico di Genova un quadro di un grandissimo artista dei secoli d’oro e di averlo fatto appendere in un museo con sotto la scritta “Donatore genovese”.

Poteva scrivere “Donato dalla famiglia Doria” e nessuno si sarebbe scandalizzato, perchè dire Doria a Genova è come richiamare una storia secolare e tutti sanno che il sindaco viene da quella storia. Invece un perfetto anonimato, in perfetta linea con il francescanismo di una politica che, però, vacilla sempre di più e non sembra reggere nell’autunno genovese.

La città, che ha praticamente perso il suo Salone Nautico, fiore all’occhiello mondiale dal 1960, con la sua ultima edizione ridotta nella superficie di esposizione, a un quinto del passato, quattro barche in mare, un padiglione solo , annaspa intorno al suk di san Giorgio.