Matteo Renzi, ossessione Liguria: paradigma a tre facce del voto regionale

di Franco Manzitti
Pubblicato il 26 Maggio 2015 - 07:23 OLTRE 6 MESI FA
Matteo Renzi, ossessione Liguria: paradigma a tre facce del voto regionale

Raffaella Paita, candidata del Pd in Liguria (foto Ansa)

GENOVA – Per la terza volta in un mese Renzi torna in Liguria, questa volta nel quartiere Limone di La Spezia, dove è nata la sua candidata presidente della Regione, Raffaella Paita, la quarantenne che fa tremare le vene e i polsi al Pd. Guai se Raffa perde ed allora ecco il Matteo fiorentino che arriva a dare la terza spinta, dopo la visita nei cantieri genovesi del dopo alluvione, dopo il blitz nel grande comizio di lancio nel Porto Antico di Genova.

La partita è troppo importante, il Pd non può perderla, la Liguria è diventata un paradigma perfetto per la battaglia di Renzi. Nel paradigma c’ è la possibile dimostrazione di quanto vale la minoranza di sinistra nel Pd, che si conterà con la candidatura dissidente di Luca Pastorino e delle sue liste civiche e che cerca di capitalizzare uno strappo lungo già sei mesi: dalle Primarie contestate, nelle quali Segio Cofferati, il “padre politico” di Pastorino è stato sconfitto, ha denunciato brogli e irregolarità e si è dimesso dal Pd, fino alle dimisssioni dello stesso Pastorino e alla “calata” di Pippo Civati, con l’annuncio del suo programma di frontale dissidenza.

Nel paradigma che fa correre Renzi ancora in Liguria, come se fosse la Regione chiave fra una settimana, c’è anche l’inedito blocco della Destra, che sul nome di Giovanni Toti è riuscito a concentrare i residui di Forza Italia, la Lega che ha rinunciato al suo cavallo Edoardo Rixi, Alleanza popolare, schierata a Destra, con Udc e Ncd. Un unicum in Italia che secondo gli ultimi sondaggi permessi non è molto lontano dal Pd che governa la Liguria da dieci anni e fino a pochi mesi fa era considerato irragiungibile.

Il terzo lato del paradigma è la misura che potranno raggiungere i 5 Stelle, nella “patria” del loro leader Beppe Grillo, una terra che proprio per la non travolgente personalità dei candidati potrebbe essere cavalcata da un fortissimo astensionismo, indicato già intorno al 60 per cento.

Il rischio di un risultato negativo per il Pd è talmente forte che negli ultimi giorni della campagna, oltre al triplete di Renzi ligure, sono previsti anche gli arrivi di Pierluigi Bersani, che pur nella sua dissidenza a Renzi, viene a aiutare la Paita e di altri big del Pd non spasimanti per l’ex sindaco di Firenze.

“La mia ditta è sempre quella” – ha spiegato Bersani, il leader della minoranza, cui, per altro la stessa Raffaella Paita e il suo mentore Claudio Burlando facevano riferimento fino al giorno della loro conversione renziana, poco più di un anno fa. Anche il ministro della Difesa, la genovese Roberta Pinotti e Andrea Orlando, il ministro della Giustizia, spezzino conterraneo della Raffaella, sono schierati apertamente con la candidata ufficiale, allineati al verbo renziano, malgrado il loro passato all’interno del Pd fosse non propriamente renzista.

La contesa è talmente frontale e i conti liguri talmente incerti che il premier ha fatto precedere la sua terza visita da una lunga intervista al direttore de “Il Secolo XIX”, Alessandro Cassinis, nella quale ammette che in fondo il risultato finale a lui gradito dopo queste elezioni regionali, in cui si vota per sette rinnovi di presidenti-governatori, potrebbe essere anche un 4-3 e non necessariamente un 6-1, come si auspicava inizialmente.

Si capisce che in questo risultato, così amato dagli italiani per la storica Italia-Germania del Mundial messicano nel 1970, il punteggio ligure assume un valore chiave.

Renzi si lancia in sperticate lodi sia nei confronti della Paita che in quelle di Burlando, il presidente uscente, che ha governato dieci anni, che ha un curriculum imponente, assessore comunale, sindaco, deputato, ministro, governatore, una carriera trentennale, da perfetto rottamabile, ma del quale il Matteo fiorentino vorrebbe sfruttare “l’esperienza e la tenacia”.

Parole quasi esagerate alla luce dello stato in cui versa la Liguria, il cui territorio è ad altissimo rischio idrogeologico, dopo le alluvioni degli ultimi anni, la cui Sanità, che forma il 90 per cento del bilancio regionale, è a pezzi, in ginocchio per le continue fughe di pazienti che preferiscono farsi curare in Piemonte e Toscana, se non in Francia.

Ma il triplete fa troppa gola a Renzi che piomba come un falco a La Spezia in un lunedì di sole e fa il suo bravo comizio nel quartiere Limone, dove la Lella candidata serviva i piatti alla Festa dell’Unità. E da lì, tra commozione e nostalgie, parte il premier, per convincere i renitenti e sopratutto quelli che ancora sono incerti e vorrebbero dare forza alla “cosa di sinistra” spinta da Citati-Cofferati-Pastorino.

“Avete già un premier toscano, non vi conviene eleggere una presidente ligure?”, scherza il Matteo nazionale, sfottendo la candidatura di Giovanni Toti che ligure lo è solo di residenza.

E quale posto migliore di questa periferia spezzina , città industrial popolare portuale, dove si arroccava uno dei Pci storici della Liguria, operaio, duro e puro, un po’ distante dall’ombelico genovese?

Burlando e la Paita scattano come un sol uomo dietro il premier, che gli fa questo terzo regalo in pochi giorni, anche un po’ tremebondi per la responsabilità che hanno sulla schiena di portare a casa e nelle mani del Renzi la Liguria, la più incerta delle regioni in bilico.

Quale grande responsabilità, sopratutto per avere intrapreso una strada dinastica in questa battaglia regionale.

Burlando scelse in perfetta solitudine la sua assessora, estraendola dal mazzo dei possibili candidati, con un grandissimo anticipo, scavalcando ogni consultazione, sfruttando il suo baricentrico potere, accumulato in anni di dominio totale, usando la mancanza di alternative, dopo la disastrosa caduta dell’unica sua oppositrice interna, la ex sindaco Marta Vincenzi, falciata dal processo per la tragica alluvione del 2011. L’ufficialità della candidatura era stata consacrata, dopo due anni di solitaria cavalcata, dalle Primarie dell’11 gennaio 2015, quelle dello scontro sanguinoso con il “cinese” Sergio Cofferati. Ma Dio solo sa quanto quelle elezioni siano ancora discusse e in quale misura tutta la dissidenza a sinistra contesta pure a Renzi la superficialità con la quale quel risultato, poi sottoposto a indagini interne ed ancora a quelle di due Procure della Repubblica, sono state digerite.

Brogli, partecipazioni sospette del centro destra, con i fedelissimi dell’ex ministro imperiese Claudio Scajola tutt’ora impegnati a soffiare nelle ruota della Paita, alla luce di quel trasformismo che oggi sul “Corriere della Sera” Ernesto Galli della Loggia dipinge così precisamente…..

Ecco perchè la Liguria è un laboratorio, un paradigma dalla soluzione così preziosa. Qui è anche accaduto che uno dei fedelissimi di Berlusconi, appunto lo Scajola, ha aiutato la candidata di Burlando, rispolveranddo quel’asse di potere che un po’ smaccatamente era emerso prima delle rovinosa caduta processuale del “u ministru”, celebre per la casa al Colosseo, comprata “ a sua insaputa”.

Ancora obbligato alla residenza di Imperia dai giudici di Reggio Calabria che lo hanno arrestato e inquisito per il favoreggiamento di Antonello Matacena, superlatitante d’oro e marito della bella Chiara Rizzo, Scajola ha messo negli ultimi tempi un po’ fuori il suo capino dal riserbo cui lo obbligavano il personale pudore e i processi che da anni lo crocifiggono da Reggio Calabria, a Roma, a Imperia, tra accuse di finanziamento illecito ai partiti, appunto favoreggiamento ai latitanti, truffe nella costruzione del maxiporto di Imperia. Tutte imputazioni che si stanno sfarinando una dopo l’altra e mettono Scajola addirittura nella posizione di miglior spin doctor della politica ligure alla prova del paradigma renziano.

“Mi chiedono tutti consigli”, spiega con affettata ingenuità agli intervistatori l’ex leader di Forza Italia dal suo giardino incantato sulla collina di Imperia – “e sopratutto me li chiedono i nemici di ieri”.

D’altra parte chi è rimasto a poter dare consigli in Liguria, dove Burlando incarna tutta la forza di un potere dinastico tanto forte da fargli indicare la sua successora, i leader locale dei partiti Giovanni Lunardon e Vincenzo Terrile, sono anche personalmente coinvolti nella battaglia elettorale, come segretari provinciale e regionale del Pd e gli opinion leaders sono scomparsi e dove i ben due ministri in carica, la genovese Pinotti e lo spezzino Andrea Orlando si tengono ben lontani dall’agone e si limitano a fare i supporter della Paita?

Non rimane nessuno a contemplare la grande confusione sotto il cielo, aspettando il voto più incerto degli ultimi anni. Ce la farà la Paita, sicuramente la candidata più fragile degli ultimi decenni liguri nella sinistra, a far tornare il paradigma renziano? Se non ci riuscirà, la Liguria potrebbe diventare tutto o il contrario di tutto: la prima regione pentastellata, la prima regione civatiana o che altro? Forse semplicemente una regione ingovernabile.