Perché il Pd ha perso la Liguria? Alla Lega voti, non alla sinistra dai feudi Pci

di Franco Manzitti
Pubblicato il 3 Giugno 2015 - 08:26 OLTRE 6 MESI FA
Perché il Pd ha perso la Liguria? Alla Lega voti, non alla sinistra dai feudi Pci

Raffaella Paita, la candidata del Pd sconfitta in Liguria (foto Ansa)

GENOVA – I colori dell’arcobaleno ligure stanno cambiando tutti, con una velocità impressionante, dopo la botta elettorale del 31 maggio, ma chi ci capisce? La pulzella sconfitta, Raffaella Paita, lancia alte grida e, vestita da monaca penitente, stenta a vedere bene il colore della sua debacle, inattesa, devastante e così pesante per la sua ricaduta nazionale, che se il Pd avesse preso la Liguria tre quarti del baccano di questi giorni sarebbe silenzio.

Il colore del crack di Paita non è quello viola della rabbia per la discesa in campo di Luca Pastorino, “il traditore”, il “fedifrago”, l’emissario del “cinese” Cofferati, il quale la vendetta per la sua sconfitta inquinata delle Primarie l’ha finalmente vista scorrere domenica notte, non è quel colore, il viola dell’invidia, per chi si è messo in mezzo da sinistra a affondare la corazzata Pd.

Il colore della sconfitta che mette in mutande la Paita, il suo mentore Claudio Burlando e tutto l’immane, gigantesco apparatchik di un potere diffuso capillarmente da dieci anni, fatto di posti, prebende, mandarinati burocratici, sottili primazie economiche, sinedriche estensioni di controllo lungo calate portuali, vallate agresti e perfino bocciofile di periferia perduta, di quel terreno ibrido che sono le secche valli liguri, quelle dove si incanalano d’improvviso le alluvioni devastanti, è verde.

Non il verde della rabbia, che resta oggi a bocca chiusa e sorrisi stirati, a silenzi plumbei dell’immane cerchio magico costruito come un lego immenso da Ventimiglia a Sarzana, pezzo per pezzo, Comune per Comune, sindaco per sindaco, Pro loco per Pro loco, circolo per circolo, sottoparrocchia per sottoparrocchia.

Ma è il verde carsico e impetuoso della Lega, che è venuto alla luce come i rii incazzati delle alluvioni cattive, quelle che da settembre a dicembre squassano la Liguria, la denudano senza pietà e senza la piena coscienza di quelli che la amministrano in saecula saeculorum, ma sopratutto negli ultimi dieci anni e che se ne sono accorti solo ora, che i fulmini delle Procure piombano sulla loro testa.

Ehi Paita, ehi Burlando, ehi cerchio magico del vostro potere tanto sicuro di sé da intortare il Matteo fiorentino e le sue pulzelle, scese a Genova nell’ora preelettorale, come in un Grand Tour settecentesco della finale fregatura, con i loro sorrisi rinascimentali (la Boschi), con l’efficientismo biblico (la Madia), il passo militaresco (la locale Pinotti), l’efficientismo friulano (la Serracchiani), non vi siete accorti che le elezioni le avete perse perché messer Luca Pastorino ha sturato la rabbia e l’indignazione di coloro che non ne potevano più del vostro potere dinastico e della vostra cecità politica, ventisei vostri consiglieri regionali inquisiti per l’inchiesta delle mutande pazze, due vicepresidenti regionali della vostra ghenga, i dipietrini Marilyn Fusco e Nicola Scialfa, diarcionati e messi ai domiciliari, il baricentrico presidente del Consiglio regionale, Rosario Monteleone, fautore della vostra maggioranza con la sua Udc compiacente alla vostra sterminata maggioranza, perfino sprezzante nelle sue riunioni via streaming, cancellato dalle stanze del potere sempre per lo scandalo dei rimborsi?

Altro che un pugno di 9, 2% di voti dirottati dalla vostra somma nel vuoto spinto della vostra sconfitta per via di una semplice sottrazione: togliete ai vostri 183 mila voti i 60 mila del messere “traditore” e ottenete una somma che vi lascia indietro allo stupito giornalista di Mediaset Giovanni Toti…. il più stupito di avere vinto, lui che assaporava ben altre carriere……Troppo facile, troppo banale questa spiegazione con la sottrazione.

Non vi siete accorti che quel fiume carsico scavava nelle viscere non solo del dissesto idrogeologico, snobbato per lustri e lustri, ma anche nella rabbia popolare, quella che non riuscivate a calcolare da dove veniva perché mordeva la pancia di un elettorato popolare sempre più diffuso, sempre più a casa vostra, nei quartieri, nelle delegazioni della vostra lunga e nobile storia del Pci-Pds-Ds, Pd, che vi siete mangiati, nella fregola di correre dietro alla salsicce delle nuove alleanze, del nuovo potere senza regole.

Ehi Paita&Company, avete letto i dati dei voti a Cornigliano, Rivarolo, Teglia, Pontedecimo, Sestri Ponente, dove spadroneggiavate, dove la percentuale Pd viaggiava, ai tempi d’oro sopra il 60 per cento? Domenica lì ha trionfato fino al 54 per cento di astensione e i voti espressi vi vedono sotto la Lega verde, ma anche sotto i 5 Stelle gialli, post Vaffa della dolce Alice Salvatore, che ha vinto non nel Paese delle Meraviglie, ma in quello degli ex altiforni, delle grandi presse, dei supercantieri navali, nella Ruhr post industriale.

La Lega popolare verde e i 5 Stelle della rivolta contro la vecchia politica. Tre, cinque, sei punti in meno per voi da Cornigliano al Campasso, a Rivarolo rispetto al giallo dei 5 Stelle e al verde, appunto, della Lega. E a Campi, nel cuore mitico della Valpolcevera industriale di fabbriche e raffinerie e decine di migliaia di operai e oggi di pensionati operai, siete arrivati terzi, dopo La Lega e i 5 Stelle: questa è la vera rivoluzione copernicana della politica ligure.
E’ qui che l’arcobaleno ligure si capovolge del tutto.

Il primo colore che cambia in questo arcobaleno ligure è, quindi, quello che dipinge il corpo del tradizionale elettorato Pd, che resiste a fatica ad una erosione grazie alla quale la Lega salta al 20 per cento in tutta la Liguria, un risultato che neppure il Bossi più truce e in canotta da combattimento aveva conquistato o solo sfiorato e che permette al nuovo leader del Caroccio ligure, il giovane Edoardo Rixi, l’uomo che fece un passo indietro per consentire l’investitura di Toti, di cancellare gli scandali liguri della Lega di Belsito, i diamanti in Tanzania e le altre marachelle del Bossi junior, le decine di migliaia di euro in gassose e caramelle del Trota……

Il 20 per cento al Carroccio, che vi scippa il territorio, per non dire l’anima vera di una storia che non sai più dove prendere e riafferrare.

Sono due le Primarie che mandano ko il Pd ligure con due cazzotti che neppure Tyson resisterebbe. Nel 2012 quelle per scegliere il candidato sindaco della città di Genova bruciano la sindaco uscente Marta Vincenzi, avviata a un crudele destino giudiziario, e strabruciano la attuale ministro della Difesa Roberta Pinotti, giunta terza e abilissima, dopo, a risalire la china romana di modo che ha trasformato la debacle genovese in un cursus honorum romano, così efficace da issarla al Ministero della Difesa.

Poi le Primarie della Paita per diventare candidata presidente della Liguria, vincente, ma con un gravame di inquinamenti e sospetti che oggi dipinge quell’arcobaleno con ben altre sfumature rispetto al rosso fuoco tradizionale, al blu del mare, all’arancione di certi tramonti da brividi.

Guai alle Primarie che hanno un colore nero pece, soprattutto se in corsa partono le donne in rosa. Quella comunale la vinse Marco Doria, il marchese-sindaco di oggi, quella regionale ha marchiato la vendetta di Sergio Cofferati, preparando il traino a messer Pastorino.

L’arcobaleno ora sembra bruciare in tutti i suoi colori, non solo del colore livido della pulzella sconfitta, costretta a cercare altre spiegazioni dopo quella del “tradimento” civatian-pastorianian-cofferatiano, perfino spinta, come ha dichiarato a “Il Secolo XIX”, ad ammettere di avere sbagliato a non smarcarsi a sufficienza da Burlando, il suo mentore. Ammissione molto “”forte” e anche un po’ ingenerosa….

Smarcarsi dopo che il suo pigmalione l’aveva lanciata due anni fa nell’incanto di un innamoramento politico che aveva un po’ choccato tutto il Pd e dopo che, quasi simbolicamente, proprio alla vigilia del voto, l’aveva condotta in pellegrinaggio nel luogo sacro dei cattolici genovesi, il Santuario della Madonna della Guardia.

Un voto, un endorsement un po’ furbacchione per il potente cardinale Angelo Bagnasco, che quel giorno guidava il pellegrinaggio del mondo del lavoro verso la Madonna. E una visita un po’ tanto forzata al mitico monsignor Marco Granara, rettore del Sacro Santuario, come a chiedere una grazia un po’ tanto inusuale per una lunga carriera da figiciotta, militante Pci, “fantela” alle feste dell’Unità di La Spezia, poi scatenata donna di apparato, prima al Comune di la Spezia e poi nella regione Liguria, invero conquistata con un grande boom elettorale, quasi 10 mila voti alle Regionali 2010, una vita fa..

Ma dieci anni fa erano altri tempi e sopratutto Renzi non era ancora alle viste. Il Deus ex machina era Burlando, giunto al secondo mandato regionale, una specie di imperatore del Pd, sovrastante sindaci e segretari, onnipotente fino a poter imporre la sua fiammeggiante spada sulla spalla della giovane neo assessora regionale.

Che colore aveva allora, nell’arcobaleno ligure, il potere burlandiano, diffuso ovunque? Forse quello indaco del cielo dove, secondo padre Dante, si raggiunge la perfezione?

Certo, fino all’arrivo di Renzi e all’urgenza di correre sul suo carro, quella perfezione era intoccabile e con essa l’impossibilità di scoprire cosa avveniva al di sotto dell’empireo regionale. La Liguria soffriva, i fiumi carsici trovavano il loro percorso nella carne viva del popolo sofferente: il boom della disoccupazione pari a quella del profondo Sud, il dissesto sanitario che veniva da lontano, ma provocava la svendita del patrimonio immobiliare regionale, il dissesto idrogeologico, non percepito fino a quel punto, la mancanza di sicurezza nella popolazione, le incomprensioni con il marchese-sindaco Doria, che creavano distonie Comune-Regione su temi chiave come quelli del trasporto pubblico, le cinque giornate di Genova con i tramvieri in rivolta e, alla fine, il magnanimo Burlando che correva in soccorso del marchese-rosso con le casse regionali, pronte a colmare i buchi di bilancio, a sfornare capitali per costruire i bus del compromesso.

Come era perfetto quell’arcobaleno del potere soprannaturale della Regione burlandiana, con il governatore capace di correre abilmente al capezzale delle potenti crisi aziendali, che corrodevano la Liguria, da quelle dell’industria ex di Stato, la Finmeccanica in vendita ai migliori offerenti asiatici, alla potente delocalizzazione, alla Piaggio Aerei dei traslochi a Ponente e le tante altre crisi che Burlando era in grado di gestire con piccoli e grandi padroni, con i vecchi “padroni” del vapore come il suo fedelissimo superautotrasportatore, AldoSpinelli, big della portualità e della logistica o come i nuovi, quel Vittorio Malacalza che salvava la Carige con i suoi capitali accresciuti con abili manovre da socio di Tronchetti Provera.

Burlando for ever sembrava, nel deserto di leadership di una Liguria nella quale l’unico possibile alter ego era stato a Ponente il ministro Claudio Scajola, cioè un “nemico”, che i democrat locali, sparita la povera Marta Vincenzi, distanti e non empatizzanti, ma non incidenti sul quadro locale i neo ministri renziani Pinotti e Andrea Orlando, erano come contro figure. I due segretari provinciale e regionale Alessandro Terrile e Giovanni Lunardon – oggi travolti dall’insuccesso ancorché Lunardon sia riuscito a entrare nel Consiglio Regionale prima avversi e un po’ acerbi nella loro gioventù politica, trattati come comparse dalla stessa Paita nel massimo del suo splendore di candidata che urlava in pubblico: “Quando divento presidente li faccio fuori tutti…….”

Anche questo in diretta streaming…Burlando for ever, fino a quando non si sono dovuti incominciare a fare bene i conti con il renzismo nel suo complesso, nelle sue dissidenze e nel suoi avversari, che magari non avevano nulla a che fare con la questione dell’arcobaleno ligure, ma che poi ci sono entrati prepotentemente, fino al diapason della sconfitta regionale, tutta pendente su Roma.

La storia della candidatura di Lella Paita, incominciata come una fuga solitaria due anni prima del voto è stata bene riassunta da Marco Imarisio sul Corriere della Sera e spiega come questa ragazza spezzina di 38 anni fosse partita con l’imprimatur giusto, su e giù per l’arcobaleno ligure, tacco dodici, accattivante e molto prepotente sia fisicamente che politicamente e poi sia arrivata quasi sofferente, perfino in un disagio di evidente dimagrimento da stress nervoso, dopo questi due anni di tormenti.

Le mediazioni romane per farla entrare in qualche Sancta sancorum del Nazareno, poi le Primarie contese, con il tentativo di trovare un avversario che legittimasse la sua candidatura, fino a implorare il Cofferati a schierarsi lui, fino a infilzarlo in quelle Primarie un po’ taroccate sulle quali ancora insistono le Procure di Genova e Savona per presunti brogli commessi da chissà quale misterioso guarda spalle, assoldatore di votanti fasulli, fino agli accordi proibiti con la Destra anche estrema, fino, ancor prima alla maledetta alluvione del 7 ottobre e poi a quella del 11 novembre, che quell’arcobaleno lo fecero diventare nero nero tempesta.

C’era abbastanza da strinare la bella ragazza di Spezia, da frenare la sua cavalcata, da spaccare a pezzi il Pd, che a Roma cresceva cresceva e a Genova-Liguria si triturava in rivoli anti Paita, rivolte, sacche di resistenza, odii veri e propri, divisioni interne da paura, rompendo amicizie, assonanze, storie trentennali di politica in comune. Anti e pro Paita….

C’era soprattutto da dimenticare il territorio e da pensare che per controllarlo fosse bastato il metodo Burlando, quello della pioggia di finanziamenti ai comuni, del dirottamnento dei fondi Fas e di quelli europei verso l’innaffiamento dello stesso territorio, piuttosto che al vero controllo di quello che succedeva “sotto”. Altro che il tafazzismo di Pastorino e gli strappi di Cofferati….

L’abbiamo visto: succedeva che il fiume carsico della Lega scavava i rivoli del suo consenso da Ventimiglia a Sarzana, che le sventagliate naif dei Cinque stelle soffiavano un senso di rivolta giù per le valli liguri verso il mare.

Non se ne accorgeva il duo Burlando – Paita, impegnati a inseguire slogan, incantati da Eataly e dal renzismo, gasati a pensare a come il Partito della Nazione potesse occupare tutto l’arcobaleno nel nome del nuovo grande vate, Matteo Renzi.

In autunno la Paita lanciava la Galattica, la sua Leopolda al pesto, 18 tavoli tematici dove pensava di avere chiuso in un sacco tutto il ceto politico-imprenditoriale-sociale della Liguria, mentre Burlando sedeva in seconda fila, sornione e in agguato, il sovrano pronto a ritirarsi per restare. Poi davanti ai colpi della crisi e del caos Primarie la Galattica era diventata “La Liguria va veloce”, slogan quanto mai improvvido per la lentezza di ogni dato ligure, di ogni decisione, e sotto l’esplosione dell’inchiesta sull’alluvione che inchiodava la Lella al suo avviso di garanzia.
Veloce dove?

Burlando, quarantotto ore dopo lo choc del patatrac che nessuno prevedeva, celebra la sua ultima conferenza stampa, prima di passare le consegne a Toti, spiegando che la sconfitta è solo la conseguenza della vendetta di Cofferati che con Civati voleva far perdere la Liguria per colpire il “nemico” Renzi. Insomma qualcosa di più di Bertinotti 2.0, il revival del 1998, quando da sinistra si fece cadere il governo Prodi…..

Tafazzismo mirato a una battaglia di sinistra contro il Matteo nazionale. Nessuna autocritica, nessuna analisi un po’ più profonda né da parte sua, né da parte della Paita sul perché di un disastro che avrebbe, dal loro punto di vista, tante angolazioni per spiegare l’arcobaleno capovolto: l’astensionismo, il successo della Lega e dei 5 Stelle, la lontananza di una politica asservita solo al potere per il potere e lontana dai cittadini…… Solo vendette e revanche para personali?

Ora la Liguria contempla il suo capovolgimento. Altro che spoil system, un intero sistema di potere costruito in decenni sta per sciogliersi. Chi lo potrà sostituire ha un compito immane e poca esperienza. I consiglieri regionali sono scesi a trenta da quaranta, gli assessori saranno sette ed erano dodici, la coalizione è formata in partenza da tre partiti, forse quattro Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Area popolare, i predecessori erano una corazzata.
In Consiglio siedono solo 8 genovesi, un record nella geografia ligure. Ultima chicca: c’è anche uno Scajola, Marco, nipote del ministro Claudio, straeletto da Imperia. La storia ricomincia da Destra…… capovolta, ma non troppo.