Perché la Focaccia di Recco si fa anche a Camogli? Perché c’è uno di Recco…

di Franco Manzitti
Pubblicato il 19 Dicembre 2014 - 11:40 OLTRE 6 MESI FA
Perché la Focaccia di Recco si fa anche a Camogli? Perché c'è uno di Recco...

La focaccia di Recco

GENOVA – Una è la città dei mille velieri, celebre nel mondo per la capacità dei suoi marinai dimostrata nei secoli, per il genio dei suoi armatori che costruivano i barchi, per una scuola di navigazione imbattibile, per avere inventato il vero “inchino”, non quello tragicamente fatto da Schettino al Giglio.

Camogli è quel gioiello che sta prima del Promontorio di Portofino e ha un borgo antico sul mare con case che sembrano in un presepe in salita e un museo e una casa del marinaio e un porto piccolo piccolo, ma magico.

L’altra città è Recco, che dista due chilometri., ma sembra un altro mondo, anche se è lo stesso mare, perché le bombe della guerra l’avevano rasa al suolo e l’hanno riedificata da zero, sotto il grande ponte della Ferrovia e il suo nome ora si celebra per la squadra di pallanuoto, la mitica Pro Recco, che ha vinto 27 scudetti e per la focaccia al formaggio, un piatto celebre nel mondo, ma che d’ora in avanti si può fare solo qua.

Ecco il punto della contesa ed ecco l’attualità di un campanilismo italiano di quelli che sono fuori dalla grande popolarità nazionale, ma che alzano muri alti ben oltre il Monte di Portofino, sfondo eccezionale a questo angolo di Riviera Ligure, schiacciata tra la Grande Genova, il suo golfo, il porto infinito da Levante a Ponente e il Tigullio, l’angolo di Paradiso che viene dopo.

La focaccia di Recco, una prelibatezza assoluta, che ha fatto diventare celebre nel mondo il comune di appartenenza, se la sono inventata i recchelini e se vai nei luoghi dei ricordi di questa città di mare vedi ancora le foto dei primi forni che la cuocevano e ora i successori di questi recchelini hanno ottenuto niente meno che dall’Europa il cosidetto IPG, il marchio dell’Indicazione Geografica Protetta, a cui aspiravano da 14 anni e che stabilisce come quel piatto, plagiato oramai dalle cucine di mezzo mondo, dai ristoranti anche più raffinati, possa essere prodotto solo in una zona delimitata e ben precisata.

Si può scrivere, quindi cucinare e produrre la “focaccia di Recco”, solo in una specie di triangolo non delle Bermude, ma del palato sensibile tra Recco, Avegno e Camogli, inserendo in questa geografia pure il comune costiero di Sori, che viene prima di Recco, arrivando da Genova.

Tutta l’altra focaccia sfornata altrove, si potrebbe dire fuori da questo triangolo fino al Manzanarre e al Reno, potrà essere chiamata solo “focaccia al formaggio”. Chi oserà battezzarla con il nome di Recco, se l’avrà sfornata fuori dal triangolo, potrà essere accusato e condannato per plagio, frode. Lo stabilisce l’Europa con le sue leggi, appunto, di protezione.

Per ottenere questo timbri IPG ci hanno impiegato, andando dietro alla battaglia di Lucio e Daniela Bernini, arrivati in questo angolo di paradiso da Stradella nel Pavese ma inventori dell’esclusiva, 14 anni.

Ora i panificatori, i facaccieri di quel triangolo aspettano solo un disciplinare ferreo che stabilirà ingredienti, lavorazione e tipo di forno. Insomma un paio di mesi e l’iter sarà completato non senza qualche rinuncia come quella al progetto iniziale che condizionava la produzione solo con latte locale, cioè prodotto nella zona interessata al marchio.

Ma era facile intuire che se fosse passata quella regola anche gli stessi produttori autorizzati avrebbero potuto sfornare ben poco perchè è chiaro che oggi il latte locale è proprio poco. Sulle impevie e scarne colline di Recco, verso Uscio, di vitelli e mucche oggi ce ne sono proprio pochi.

“L’abbiamo salvata la nostra focaccia al formaggio”, commenta compiaciuto Vittorio Bisso, titolare con il fratello di uno dei due monumenti della focaccia al formaggio di Recco insieme alla “Manuelina” di Enrico Carbone, il ristorante “Vittorio”, che tu ci sbatti dentro appena arrivi a Recco dall’autostrada: “Non si potrà neppure congelare la focaccia che non sia fatta qua per essere poi venduta con il nostro marchio. Se non avessimo circoscritto la zona, la nostra focaccia avrebbe fatto la stessa fine della pizza napolatena. Ora la pizza è di tutto il mondo. Forse che i ragazzi americani, che se la mangiano ovunque, sanno che è di Napoli, per loro è americana. Con noi non sarà mai così, perchè quella vera avrà il nome di recco stampato sopra. Sempre.”

E pensare che la storia della focaccia nasce intorno al 1886, quando la Manuelina, una donna di Recco che dava da mangiare a barrocciai e passanti, in una osteria alla periferia di Recco, inventa quella ricetta della “fugassa co’ o formaggio”, pane più crescenza fresca. Piace agli umili viaggiatori, ma anche ai nobili di passaggio, che puntano, magari in carrozza, gli stabilimenti Liberty sul mare. Volete mettere quel piatto caldo e leggero con certi pesanti stufati non adatti a un viaggiatore, magari accaldato?

Vittorio Bisso, che con il fratello gemello Giovanni, ambedue figli di Ida, una specie di leggenda di Recco, manda avanti il locale, ma sopratutto la tradizione e lo spirito di Recco, non lo dice diretto, ma lo fa capire con quel mezzo sorriso furbo dei liguri che parlano di affari senza parlarne: questa storia dell’IPG europeo potrebbe aumentare e non di poco il fatturato della focaccia recchelina, perchè se quella autentica sarà solo questa e fuori di qua la vorranno ancora e magari di più, la produzione non potrà che aumentare…..

Quello che non torna, nel ragionamento, è proprio Camogli, la città-rivale, il campanile avverso, che potrà fabbricare la focaccia con il marchio dell’odiata concorrente e metterci sopra l’altrettanto odiato nome: Recco.

“Ma siamo noi che abbiamo deciso i confini di produzione – racconta sempre più arguto Bisso, seduto a uno dei tavoli, dove già si respira il profumo della focaccia – mettendoci anche Camogli, Sori e Avegno”.

Avegno è un piccolissimo comune su per l’entroterra, in montagna, che in genovese si chiama “bricco”.

Perchè questa magnanima concessione? “Ma perchè a Camogli c’è uno dei forni più importanti della focaccia, di proprietà della famiglia Revello, di origine recchelina, cioè di Recco, anzi della frazione ombelicale di Megli, a Sori c’è una forte tradizione gastronomica, lì hanno inventato le trofie e i pansoti, tra la costa e la valle di Testana e a Avegno ci sono i Tossini che hanno anche loro un grande negozio.”

Insomma il calcolo di quei furbi di Recco è stato di scavalcare le rivalità territoriali, le differenze, perfino le sanguinose competizioni sportive, come quelle della pallanuoto, grande sport che ha qua la sua radice storica, in nome di un business che farà bene a tutti e che difende un territorio un po’ più ampio del comune di Recco.

“Questa storia della focaccia non cambia nulla nei nostri rapporti con Camogli – se la ride il Bisso, spiegandoti bene le insuperabili differenze tra i due comuni, divisi da tutto, ora meno che dalla focaccia, anche se vivono a un tiro di sputo, o più concretamente a un centinaio di colpi di remo con uno di quei gozzi panciuti che ancora resistono sulle spiagge di sassi o nei porticcioli eterni, dove respiri ancora gli spifferi di vento che spingevano i mille velieri della tradizione marinara, orgoglio perenne che dura per sempre e ancora ora ti fa chiedere, davanti a qualsiasi notizia che arriva dal mondo e dove è coinvolto nel bene o nel male un equipaggio italiano o con bandiera italiano o anche senza questi connotati tricolori, se il comandante era di Camogli o di Recco…..

Altro che Schettino, l’infamia che anche qua viene vissuta con un senso di distanza o di disprezzo muto e beffardo che leggi su ogni volto. “E tirano fuori l’inchino del Giglio – ironizza Vittorio Bisso – ma l’inchino si è sempre fatto, perchè le navi che uscivano dal porto di Genova e dirigevano al largo di Portofino passavano davanti alla costa nostra e avevano sempre da salutare qualche capitano, qualche comandante, qualche nostromo che aveva le finestre affacciate sul nostro mare.

“La differenza che a farlo erano un manico camoglino o recchelino e che nessuno si sognava di prendere il minimo rischio, e chi poteva pensare di andarsi a “incapellare” magari sulla Punta?”

La “punta” è quel luogo magico, che si trova in cima al promontorio di Portofino, una specie di paradiso che se guardi a destra trovi Camogli a un miglio e duecento metri di baracciate di nuoto, con il suo presepe di case sul mare, la chiesa appesa agli scogli, che quando arriva il mare forza otto, le onde circondano il campanile.

Se guardi a destra e ti giri c’è il Tugullio con i suoi gioielli a partire dal borgo di Portofino, poi Santa Margherita, poi Rapallo, pezzi di costa indimenticabili, se alzi lo sguardo hai il Monte con la sua vegetazione ultramediterranea da sogno. Se guardi il mare hai uno specchio verde-azzurro-nero tanto profondo che neppure il più scatenato Schettino poteva infilarci la sua fiancata gigantesca.

Sono tutti orgogli degli abitanti di Recco e di quelli di Camogli. Ma la differenza c’è e resiste eccome, con o senza focaccia.

“ Ma se noi su quelli di Camogli continuiamo a costruire barzellette, come sui carabinieri – ride Bisso Vittorio­ – e li prendiamo in giro sopratutto per la loro immane tirchieria. Lo sa che a Camogli per risparmiare si passano il giornale dalle finestre a picco sulla passeggiata e una volta si passavano anche lo ossa per fare il brodo……”.

Nulla cambia, quindi, nei rapporti di competizione e rivalità, che non è solo quella della pallanuoto, sport nel quale la schiacciante maggioranza di Recco, che con la sua Pro Recco ha vinto 27 scudetti, contro l’unico del Camogli, è indiscutibile come le botte che le squadre da generazioni si continuano a dare in vasca o prima in mare, quando le partite si giocavano nei porticcioli e gli spettatori erano in barca.

“ Che cosa si può pensare di un paese dove la maggioranza dei maschi viene battezzata con il nome di Prospero o Fortunato per le palanche che conservano e che sanno risparmiare e a cui pensano sempre”, chiede Bisso, battendo il chiodo della tirchiera, che altri chiamerebbero parsimonia. O altri ancora chiamerebbero acume strategico, capacità di far fruttare in positivo le proprie competenze e le proprie condizioni.

“Se un camoglino si rompe una gamba o un braccio – racconta ancora un inarrestabile Bisso – siccome le case sono costruite a picco sul mare, hanno anche dieci, dodici, quattordici piani di scale scoscese e ovviamnte non ci sono ascensori, il condominio paga il ricovero in ospedale o in albergo fino alla guarigione. Sono tutti assicurati, avevano imparato a essere assicuratori molto previdenti quando avevano tante navi cui pensare….”

Appunto i mille velieri della tradizione di Camogli, che mescola questa tradizione con gli sfottò, come quello che recupera la barzelletta storicamente più in voga a Recco contro i camoglini.

Bisso non può non raccontare: “Dopo tre anni di navigazione arriva finalmente a Camogli un marinaio, che incontra il suo migliore amico e lo trova molto triste, quasi irriconoscibile. Cosa ti è successo? Gli chiede premuroso. E’ morta mia moglie, risponde l’amico afflittissimo. E che cosa aveva gli chiede ancora il marinaio. Risposta camogliana doc: tre appartamenti sulla Ruta…”. La Ruta è la collina da paradiso terreste che sta sopra Camogli, infilata tra San Rocco, Portofino e la costa che scende verso Recco, lungo l’ Aurelia in uno dei punti più affascinanti del suo millenario percorso. Come dire: l’eredità, il testamento, le palanche prima di ogni altra cosa. Sopratutto prima della malattia della ricca signora consorte.

In realtà la rivalità tra Recco e Camogli, che ora ha una imprevedibile tregua, fatta di fumante foccaccia al formaggio, si acuita negli ultimi decenni, da una differenza profonda che è stata provocata dalla guerra.

Le bombe avevano completamente raso al suolo Recco, che si sviluppava intorno a quel grande ponte ferroviario, nodo cruciale della Liguria verso Roma, una delle direttrici fondamentali dei trasporti Nord-Sud. prima e dopo che l’Italia in guerra fosse spaccata in due.

Riedificata sulle macerie nel Dopoguerra, Recco è diventata un’altra città. “Intanto è stata ricostruita su un terreno più alto di due metri – ricorda ancora Bisso – questo ha modificato non solo il suo affaccio al mare, ma ha anche impedito che la città fosse costantemente allagata, come avveniva prima della guerra e poi la ricostruzione da zero ha implicato palazzi moderni, magari molto meno affascinanti di quelli abbattuti e meno coerenti con il paesaggio ligure, ma con tutti i servizi moderni, compresi gli ascensori che a Camogli si sognano.”

Insomma le diversità e le differenze si sono accentuale e non di poco, scavando una distanza colmabile solo con la focaccia?

Bisso sorride con la magnanimità di chi capisce bene che in tempi globali come questi i campanili e le competizioni sono solo tradizioni o scherzi o modo di difendere identità che hanno spessori molto meno pesanti di un tempo.

Molto più soddisfacente che battere il Camogli 15 a zero a pallanuto o di sfottere il più tirchio dei camoglini, è stringere l’alleanza della focaccia e immaginare un futuro un po’ più roseo a partire dai forni……che profumano di formaggio. Che sia di Recco, però, se no non vale. Nè a Recco, né a Camogli.