Referendum, D’Alema straparla a Genova e annuncia il No dei sindaci arancione

di Franco Manzitti
Pubblicato il 15 Novembre 2016 - 06:09 OLTRE 6 MESI FA

Nella Genova sospesa di questi tempi piomba Massimo D’Alema, campione del “no” che di sé dice a proposito del referendum: “Ho lasciato l’aratro ed ho impugnato la spada per difendere “l’ordine costituito” della democrazia parlamentare dagli attacchi di una riforma dissennata e pericolosa, costruita da un gruppo di ragazzini ignoranti, tracotanti e pericolosi”. Mica bruscolini in una intervista all’emittente televisiva ligure “Primocanale”, prima di una assemblea in una sala dove i comitati “dissidenti” del Pd hanno suonato un’adunata, in un pomeriggio di rigida luce e tramontana tagliente.

La sala è in via Albertazzi, all’ombra della Lanterna e della mitica Sala della Chiamata dei portuali, al bordo delle banchine e dei moli, luogo ombelicale del postcomunismo genovese.

Lo aspettano in trecento e il “baffino” non li delude in questa uscita che arriva sulla scia del voto americano trumpista e il giorno dopo l’ultima comparsata in tv da Fazio di Matteo Renzi, il rivale che ha appena detto di non volersi far rosolare: in caso di vittoria del “no” non starà certo a galleggiare, altri lo faranno.

D’Alema sogghigna e nell’intervista tv prima dello show sottoportuale, davanti ai dissidenti e ai comitati del no, amalgamati dalle raffiche di vento delle banchine e da quello tsunami “trumpista”, che non sai da che parte spinga in Italia il “no”, usa più l’accetta che il fioretto contro il premier e quella “banda di ragazzini” che hanno propinato la Riforma.

“Come si fa a dire “si” a questa riforma, basta leggerla per capire che le sue promesse sono tradite – incomincia l’ex presidente del Consiglio – hanno scritto che si elimina il bicameralismo. Non è vero, il Senato c’è eccome e la Camera può anche tenere conto anche delle sue osservazioni. Solo che non si capisce bene come e quando. E poi qual è il problema bicamerale vero in un Paese nel quale il Parlamento non ha mai fatto da ostacolo alle leggi. Anzi. Siamo il Paese che ha più leggi. Cosa è questo assillo riformatore di fare ancora più leggi e più velocemente? Semmai dobbiamo sfornarne meno, altro che agevolarne il percorso! Questo è un equivoco madornale”.

Il compromesso sulla legge elettorale, quello che ha indotto Cuperlo a dare il suo ok e a sfilarsi dalla minoranza, viene fatto a pezzi dal D’Alema in salsa genovese: “ Quell’accordo è un pezzetto di carta scritto da un partito che da solo non può fare le leggi….la mia personale opinione è che non si possono fare le leggi in quattro o cinque persone. E poi quello che ne esce da quel pezzo di carta è pericolosissimo perchè la formula elettorale che ne esce ha come solo possibile contrappeso la Corte Costituzionale che sarà messa molto in difficoltà da questo testo. Si punta sui collegi uninominali, ma poi i candidati escono, non se prendono più voti, ma se scatta un quoziente da un riparto di voti più complessivo. E’ un vero pasticcio per interpretare il quale ci vorrebbe uno psichiatra che spieghi il meccanismo a chi ha votato e si sente tradito. Si pugnala quello che per me è il principio fondamentale: il cittadino deve poter scegliere il partito e la persona. Il principio va ristabilito! Questa legge, questo Italicum è un “aggeggio” che non rispetta quel principio.”

D’Alema è anche più corrosivo quando attacca frontalmente lo spirito della Riforma: questa nuova Costituzione è cattiva e sbagliata e io mi impegno perchè non passi. “Hanno detto che sono state abolite le Province e, invece, i consiglieri provinciali ci sono ancora. Li nominano direttamente i politici. La verità è che hanno abolito non le Provincie, ma le elezioni provinciali. Dicono che riformano il bicameralismo e rifondano il Senato delle Autonomie. La verità è che hanno abolito le elezioni dei senatori. Uso un termine troppo elegante e che questa Riforma non si merita: c’è un “restringimento” della partecipazione. E questo è molto grave.”

Già, ma cosa succederà dopo, se vince il “si” o se vince il “no”? “ A me interessa più il prima del dopo” – ghigna un po’ D’Alema. “Io non ho mai chiesto le dimissioni del presidente del Consiglio. E’ lui che ha prima detto che se perdeva si ritirava a vita privata. Poi ha detto che si era sbagliato a personalizzare. Poi ha aggiunto che non gli piace farsi rosolare e stare a galleggiare……la mia conclusione? Il presidente non sa cosa fare e soprattutto non sa cosa gli conviene dire…..”

La prospettiva del “no” vincente è, ovviamente, molto più chiara per il D’Alema che impugna la sua spada: “ Se vince il “no” non ci saranno affatto le elezioni, cosa che accadrebbe con la vittoria del “si”. Si farebbe subito una nuova legge elettorale e nel frattempo perfino una limitata riforma istituzionale. C’è il tempo e ci sono le alleanze trasversali giuste per agire rapidamente. Basta scrivere una riforma in tre punti. Primo: basta con le navette tra Camera e Senato. Secondo: il Parlamento sia eletto direttamente dai cittadini. Terzo: riduzione drastica del numero dei parlamentari. Non ci vogliono più di sei mesi per fare tutto questo dal 5 dicembre.

E il rischio Trump e che tutto si confonda nella spinta “contro” che soffia per il mondo, come le raffiche che spazzano il porto di Genova in una serata di metà novembre, mentre “Baffino” tiene la sua lezione?

“L’elezione di Trump è un segnale scoraggiante – dice D’Alema – c’è il rischio isolazionista, c’è il rischio dell’alleanza con Putin. E noi come affontiamo questa situazione, che dovrebbe trovare un’ Europa unita e solidale? Con un referendum che sta stracciando l’Italia. Il nostro Paese è lacerato. Renzi è un personaggio divisivo. Ha diviso il Pd, ha diviso il sindacato, ha diviso l’ Anpi. E’ uno che porta divisione, mentre avremmo più che mai bisogno di coesione per arginare i rischi populisti.”

Il vento soffia fuori dalla grande sala, dove in genere si riuniscono i pensionati del vecchio Consorzio del Porto, il Cap, mentre D’Alema, che studiò e passò una parte della sua adolescenza a Genova e dove è tornato cento, mille volte, saluta le faccie amiche, i vecchi compagni, oggi spaccati tra il “si” e il “no”, i membri della Ditta, che ora ha amministratori così diversi ai suoi vertici, anche per conseguenza di questo Referendum.

E Doria il sindaco della città, l’ex Pci e Rifondazione Comunista, che da primo cittadino “arancione” non si è ancora pronunciato per il “no” o per il “si”, cosa farà?

Cosa farà il sindaco-marchese, figlio di Giorgio, uno dei personaggi che in qualche modo hanno visto D’Alma giovane crescere nella politica – gli chiedono sulla porta. Il sindaco non si è ancora pronunciato e ha chiesto ai suoi assessori di non scendere in campo nel referendum. Ma tutti sannno che è per il “no”. “Hanno fatto un accordo con gli altri sindaci arancioni e poco prima del voto parleranno” –  suggerisce con aria complice D’Alema. E diranno “no” ovviamente.