Renzo Piano, il Mosè di Genova e il Mar Rosso

di Franco Manzitti
Pubblicato il 7 Ottobre 2014 - 05:58 OLTRE 6 MESI FA
Renzo Piano, il Mosè di Genova e il Mar Rosso

il salone nautico a Genova (Lapresse)

GENOVA – Renzo Piano cambierà il volto di un pezzo della costa genovese tra il porto antico e la Fiera del Mare. Il grande progetto gli è stato chiesto dal sindaco della città Marco Doria, dal presidente dell’Autorità Portuale Luigi Merlo e dal presidente della Regione Claudio Burlando. Piano ha già disegnato un canale d’acqua di cinque chilometri, largo quaranta metri, che collegherà le Mure del Malapaga nerl centro storico con l’area della Fiera. I tempi di realizzazione sono dieci anni, il costo preventivato è intorno ai 170 milioni di euro. E’ prevista anche una grande passeggiata, che unirà i quartieri di Genova al bordo del canale, ponti, darsene e padiglioni sull’acqua coperti. Al posto del vecchio grande posteggio del Salone Nautico è stato progettato un parco verde e una grande spiaggia, proprio alla Foce del Bisagno.

Ora può sembrare proprio che Renzo Piano, il superarchitetto genovese che non ama farsi chiamare archistar, anzi preferisce il titolo di geometra, che è tra i cento personaggi al mondo più conosciuti (secondo Forbes anno 2013), sia una specie di Mosè per Genova.

Come Mosè potrebbe condurre il suo popolo dei genovesi attraverso il Mar Rosso che alzerebbe le sue onde per farlo passare all’altra sponda e scampare i pericoli del Faraone cattivo.

Le analogie ci sono tutte, come si potrà vedere e le ultime notizie dell’ultima richiesta rivolta al grande architetto di disegnare un pezzo di Genova sul mare, saldando il porto antico della Expò colombiana con la zona della Fiera del Mare attraverso un canale subito battezzato “Canale Piano”, dipingono la barba del suddetto superarchitetto del colore di quella biblica dell’uomo che salvò il popolo e ricevette le tavole dei Dieci Comandamenti sulla cima del monte Athos: Non avrai altro Dio fuori di me…… Non avrai altro Piano oltre a me…..

Mosè era l’unica risorsa del suo popolo perseguitato e in fuga, chi se non lui poteva salvarli? Negli ultimi trent’anni, quando Genova deve affrontare una emergenza o un grande problema del suo territorio strangolato, a chi si rivolge se non al suo figlio più noto, alla sua risorsa numero uno in faccia al mondo, se non a Piano?

Gli fece realizzare l’Expò ’92 per celebrare i Cinquecento anni della Scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo e lui lo fece con un’opera urbanistica che ha segnato per sempre le vecchie banchine genovesi e i dintorni del centro storico. Gli chiesero, quando Genova stava crollando sotto i colpi della crisi postindustriale e il porto sembrava inghiottito dalle storiche liti tra famiglia oggi chiamate lobbyes contrapposte, di disegnaree la nuova linea della costa con il famoso Affresco, che sistemava le banchine, l’areoporto, gli stabilimenti industriali delle Riparazioni Navali, perfino le spiagge del Ponente e il porto dei pescatori, e lui lo fece, ma quelle terribile lotte intestine dei genovesi, peggiori, anche se non così sanguinose, dei tempi di Doria e Fieschi, impedirono, nella metà del primo decennio del nuovo millennio che l’opera si compisse.

E i genovesi inchiodarono quei disegni nelle bacheche del Museo del Mare, un bel progetto e nulla più, se non una coda di veleni, odi e perfino processi contro chi quel disegno aveva sostenuto, il presidente del porto dell’epoca, Giovanni Novi, i suoi amici e perfino il sindaco, che più lo spingeva, Giuseppe Pericu, anche lui chiamato in qualche modo a pagare un fio. Uscirono tutti assolti senza macchie, ma si persero gli anni buoni e sopratutto il disegno di Mosè-Piano.

Gli chiesero, a Mosè-Piano, di disegnare il grande progetto degli Erzelli, la collina sopra il Ponente genovese, sulla qule suo padre aveva una fiorente azienda di costruzioni e dove Piano scopri il cielo più bello di Genova, quello che ha la luce più luminosa, perchè la prende dal soffio incessante dei venti di tramontana o di scrirocco o di libeccio, che spazzano il grande arcobaleno ligure nel suo epicentro ombelicale, alle spalle del porto, o meglio, sulle spalle del porto, anche sopra i grandi stabilimenti industriali che deturparono le spiagge e il mare, in tempi nei quali c’erano altri Profeti e altri Mosè.

Quando scoprì che quel nuovo quartiere pensato per ospitare tra grattacieli arditi, parchi verdi, laboratori sofisticati, anche una possibile speculazione edilizia che “validasse” finanziariamente l’operazione, Mosè si ritrasse, non si sa se scagliando il suo bastone di comando e la sua firma sparì dal progetto, che tutt’ora non è decollato verso il suo destino di riscattare una tradizione industriale, di ricerca di contatto tra ricerca, produzione, futuro insomma. E galleggia quel progetto sulle onde del Mar Rosso in tempesta, forse cola a picco, forse lo salvano i milanesi, chissà…..

E oggi che il Mar Rosso è più tempestoso che mai i maggiorenti della città, uno dei quali si chiama Doria ed è erede del grande Andrea Doria, da cui discende per trentacinque generazioni e in linea non diretta, ma storicamente significativa, vanno a chiedere a Mosè di salvarli.

Con il discendente dell’ammiraglio-Doge ci sono Claudio Burlando, il governatore della Regione, che sta finendo il suo doppio mandato e la sua lunga carriera di poliutico-amministratore e spera nell’ultimo colpo di meritarsi una bella uscita di scena e il presidente dell’Autorità Portuale, lo spezzino Luigi Merlo, che spera di passare alla storia non come il gestore di un porto impaurito dalle precedenti inchieste giudiziarie, ma come chi ha veramente pensato al futuro millenario di queste banchine.

La prima analogia sta proprio in quel Mare Rosso. Il rosso del default che sta inseguendo la città che fu Superba, i suoi bilanci finanziari, i suoi conti nella moneta che fu, nel quindicesimo e sedicesimo secolo, il segno della sua potenza mondiale, ma non solo quello.

Il Mare di Genova è rosso per i deficit, che potrebbero portare al crak dell’Amt, l’azienda di trasporto comunale, mettendo a piedi i genovesi, altro che attraversare un mare a piedi! Il Mare di Genova è rosso perchè potrebbe fallire il teatro dell’Opera Carlo Felice, ricostruito con una magniloquenza indecente, mentre Mosè-Piano rifaceva il porto antico negli anni Novanta e il cui bilancio non regge più con un buco di 9 milioni di euro. A Roma licenziano centinaia di orchestrali e il maestro Muti se ne va, l’Opera non ce la fa più.

A Genova l’Opera e il suo grande teatro post moderno costruito da Gardella-Rossi è un catafalco in mezzo alla città, che riaprì solo perchè l’ultimo dei mecenati genovesi di una lunga tradizione, l’ex petroliere Riccardo Garrone, ne finanziò i costi di apertura e lo sponsorizzò per anni, ma dopo quei soldi il Teatro, non più Felice, ha solo pompato risorse pubbliche e ora il grande secco della Finanza pubblica e privata rende insopportabile le sue fantastiche strutture postmoderne, i macchinari da scena tanto belli quanto spesso mai usati e sopratutto i costi di una orchestra tanto nobile e storica quanto sproporzionata ai tempi, all’indotto, alle dimensioni nella città dimagrita, invecchiata, scollegata.

Il Mare di Genova è rosso per la fine verticale dell’odissea industriale con gli operai dell’ex Italsider e oggi Ilva, la grande fabbrica dell’acciaio che costruiì il boom degli eletttodomestici, della automobile, delle bande stagnate per ogni contenuto, che l’accordo sindacale dei primi di ottobre a Roma dirotta nel numero di alcune centinaia a pulire i cimiteri e i parchi pubblici perchè il forno a caldo è spento dal 2005 e quello a freddo dell’industrialo Riva e oggi dei commissari post Ilva e post scandali devastanti da Taranto in su, non ha più materiale da lavorare.

Il Mare di Genova è rosso perchè una classe politica dirigente da trent’anni senza alcuna alternanza politica, condanna a governare con multiformi alleanze di sinistra onni-comprensive, non è stata capace di connetterla al resto dell’Italia e del mondo, relegandolo a uno splendito isolamento, senza Alta velocità, con un aereoporto con voli da Paperino e Paperoga, con un nodo ferroviario e uno autostradale strangolati da se stessi per l’inconcludenza di ogni decisione, con una metropolitana che, in quei trenta anni di Mosè, è riuscita a coprire circa nove chilometri di binari, opera kolossal, cui si sono prestati ben otto sindaci, un chilometro a sindaco……..