Il bipolartismo italiano è malato

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 14 Luglio 2009 - 13:14| Aggiornato il 30 Settembre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Il malato bipolarismo italiano si aggrava ogni giorno di più. Come se non bastasse la sua gracile costituzione, su di esso sembrano esercitarsi con un accanimento sorprendente, sempre nuove “malattie” che lo mettono a dura prova. Ci si chiede quanto potrà resistere. Per molti è già moribondo, in fin di vita. E non sono lontani dal vero quanti sostengono che non si riprenderà più: tanto vale, allora, pensare alla sua eredità. Problema complicato, come tutte le questioni di successione, posto che non è chiaro il quadro degli aventi titolo i quali, comunque, si stanno preparando, come possono, all’inevitabile implosione del sistema partitico che in quindici anni non è riuscito a darsi una struttura tale da reggere alla crisi della politica il cui acme pensavamo fosse stato raggiunto dalla distruzione delle vecchie formazioni travolte da Tangentopoli.

In questi ultimi anni stiamo assistendo, paradossalmente mentre si verifica la semplificazione del sistema rappresentativo, al progressivo scadimento della qualità della politica. Ed i nuovi soggetti, il Partito democratico ed il Popolo della libertà, forse per l’impronta oligarchica che recano nel loro atto di nascita, non sono riusciti a colmare le lacune lamentate e a rispondere ai bisogni di partecipazione dei cittadini, tanto militanti che elettori.

Sul versante di centrosinistra, il Pd dimostra i suoi limiti aggregativi vistosamente dimostrati sia alle elezioni politiche dello scorso anno che in quelle europee ed amministrative di un mese fa. La sua classe dirigente è ancora alla ricerca di una leadership che, francamente, non si vede all’orizzonte dove, pericolosamente, si staglia invece l’ombra minacciosa di Antonio Di Pietro il quale, pur avendo soltanto meno di un terzo dei voti del Pd riesce ad imporgli la sua linea e, sostanzialmente, a svuotarlo di iniziativa. Non manca, nella tragedia un aspetto grottesco: la pretesa da parte di Beppe Grillo di candidarsi alle primarie del Pd ha messo il partito a soqquadro e, per tanti, il mandante è proprio quel Di Pietro che dopo aver beneficiato dell’alleanza “regalatagli” da Veltroni ora scopertamente intende destabilizzare il maggior partito della sinistra che per contenere le pretese dell’Italia dei Valori cerca appoggi da tutte le parti, spingendosi fino a Casini (che ovviamente non ne vuol sapere).

Tanto Bersani che Franceschini – non teniamo conto di Marino per l’oggettiva marginalità del suo gruppo e per la patente estraneità al partito stesso dal punto di vista culturale – non avranno vita facile da qui al congresso nel cercare di limitare i danni che gli deriveranno da Grillo e Di Pietro. E non è detto che entrambi non gli portino via consensi dal momento che molti “piddini” (a cominciare da Marino) considerano antidemocratico il divieto posto al comico di candidarsi. In questo bailamme è fin troppo scontato che più d’uno pensi più che agli esiti congressuali a come posizionarsi nel tempo più breve possibile. Le inquietudini sono evidenti. Il Pd rischia di non riuscire a rimettere più insieme i pezzi. La sinistra non rappresentata in Parlamento non sta a guardare ed è disposta ad offrire più d’una sponda agli inquieti parenti a cui ha portato malissimo la “vocazione maggioritaria”.

Sul versante opposto, nel composito centrodestra, si manifestano inquietudini che i dirigenti sbaglierebbero se le sottovalutassero. Non sappiamo se ed in quale forma nascerà il Partito del Sud di cui molto si parla in questi giorni. Se dovesse essere varato da esponenti di primo piano del Pdl, certo le conseguenze potrebbero essere devastanti. L’insoddisfazione “sudista” per le politiche governative è tangibile in molti ambiti. Se un sottosegretario del governo Berlusconi, autorevole come Gianfranco Micciché, sostiene la necessità di una formazione che rappresenti le ragioni del Mezzogiorno è credibile che qualcosa di concreto si stia muovendo. Se poi si aggiunge che il presidente della Giunta regionale siciliana Raffaele Lombardo, è dello stesso avviso e che esponenti vari del centrodestra, da Adriana Poli Bortone a Clemente Mastella appoggiano l’iniziativa, non credo che bastino le parole di questo o di quello per rassicurare il Pdl e fugare i fantasmi di una scissione che è nell’aria da tempo, almeno da quando gli eletti nel Mezzogiorno hanno preso contezza della peso che la Lega riesce ad esercitare sul governo. Curiosamente, il progetto sembra riscuotere anche l’interesse dei “governatori” Loiero e Bassolino: che siano in corso prove di “ibridazione” sorprendenti oltre ogni immaginazione?

Per di più, non diversamente dal recente passato, la “questione meridionale” non è mai diventata questione nazionale. Da qui lo scoramento prima, la delusione poi e la rabbia infine dei “portatori di voti” al Pdl che si sono sentiti abbandonati. L’iniziativa del Partito del Sud potrebbe avere effetti devastanti sul centrodestra; ma, se ben gestita, potrebbe pure essere una risorsa. Certo, costituirebbe comunque un elemento di confusione in più tale da dare il colpo di grazia al bipolarismo.

Sul tavolo di Berlusconi c’è un’altra grana, dunque. Non imprevista questa volta. Quando un partito come il Pdl viene fuori da un cappello a cilindro, è fatale che problemi strutturali e di contenuto prima o poi si manifestino in tutta la loro gravità. E per chi lo aveva previsto ed inascoltato lo aveva rappresentato, non è una soddisfazione constatarlo.

Forse è venuto il tempo in cui si riassumano nuove e vecchie identità al fine di creare le condizioni per la ricostruzione di un sistema effettivamente plurale. Con tanti malinconici saluti ad un bipolarismo rimasto rachitico e sostanzialmente morto nella culla. La politica vive di realismo. Diversamente è utopia e con questa non si reggono gli Stati e non si governano i popoli.