Il Pdl “cannibalizzato” e la mattanza di Palazzo Grazioli

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 24 Gennaio 2013 - 12:49 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Dopo la mattanza di Palazzo Grazioli, la destra italiana sostanzialmente non esiste più come soggetto unitario in Parlamento. La decimazione di coloro che provenivano da Alleanza nazionale ed avevano deciso di restare nel Pdl, nonostante le criticità che pure sollevavano verso il dispotismo berlusconiano, negherà la costituzione di significativi gruppi alla Camera ed al Senato. Silvio Berlusconi, attuando un piano scientificamente preordinato di “pulizia etnica”, si è “liberato” di presunti “infedeli” dimenticando (si fa per dire) quanto siano stati leali nei suoi confronti e verso il suo pseudo-partito da lui bizzarramente creato salendo sul predellino di un’automobile nel novembre 2007.

La gratitudine verso gli alleati non è nel novero delle virtù di Berlusconi. Così come non ama chi vorrebbe discutere di politica piuttosto che assoggettarsi ai suoi diktat. Non si può dire che almeno in questo non sia coerente: ha sempre ritenuto l’Italia un’azienda e si è sempre comportato, tanto al governo che all’opposizione, come se ne fosse il capo. Via, dunque, chi non gli serve più, a cominciare da coloro che nel dicembre 2010 misero su a Montecitorio e a Palazzo Madama (Moffa e Viespoli) gruppi a sostegno della sua sfarinata maggioranza, e dentro i cosiddetti “fedelissimi”, perfino quelli che avendo flirtato con Monti per non più di una settimana, erano stati scacciati come mercanti al tempio e non più ammessi, fino al perdono, alla presenza del monarca assoluto.

Perciò le elezioni del 2013 saranno ricordate, a prescindere dall’esito, per l’assenza dal Parlamento di un soggetto unitario di destra. Non era mai accaduto dal 1948. Adesso tutti coloro che hanno militato in Alleanza nazionale e prima ancora nel MSI sono senza senza casa. Compresi quelli che si sono ritrovati in Fratelli d’Italia o nelle file de La Destra: nessuno può dire di sentirsi a proprio agio nelle attuali circostanze. Men che meno, dunque, i pochi “superstiti” che intristiscono, credo, nelle liste berlusconiane dove mi sembrano più tollerati che graditi.

La storia di questi ultimi cinque anni dimostra che la destra è stata progressivamente “cannibalizzata” per non aver saputo esprimere all’interno del contesto berlusconiano una propria identità, fattore che ha pregiudicato il suo apporto alla costruzione del nuovo partito. L’errore di sciogliersi in un indistinto soggetto politico a vocazione carismatica nel febbraio 2008 ha segnato la fine di An e l’inizio della fase più acuta dello scontro tra Fini e Berlusconi con gli esiti che sappiamo. Il partito unico non era ancora alla portata: operazioni del genere – che implicano la condivisione culturale e politica di un progetto che può affinarsi nel tempo attraverso una riflessione profonda – se non producono un amalgama sono destinati a fallire.

La destra, al di là delle diffidenze dei berlusconiani, non ha offerto l’apporto che avrebbe potuto dare alla composizione di un movimento che, in senso europeo, si sarebbe potuto qualificare come “conservatore”, dinamico e riformista nella sfera della modernizzazione istituzionale e sociale ed al tempo stesso custode della tradizione nazionale e popolare. Insomma, non è stata all’altezza appiattendosi sulle esigenze, le necessità e la volubilità del líder maximo: atteggiamento che non ha giovato neppure allo stesso Berlusconi il quale avrebbe, probabilmente, tratto maggiori vantaggi politici dal contributo di una destra che non negava se stessa ed era perciò in grado di intercettare quel suo elettorato che con fatica si è visto trascinare in un contenitore nel quale si sentiva estraneo.

Non sarebbe stato certo un dramma se, constatata l’impossibilità della convivenza, fin subito dopo la costituzione formale del Pdl nel marzo 2009, si fosse realizzata, nell’ambito del centrodestra, una federazione di soggetti autonomi. Dal punto di vista elettorale l’operazione avrebbe consentito a tutti di cooperare per il bene comune di una coalizione composita e plurale nella quale le differenze sarebbero state il lievito della crescita fino a quando non fossero maturate le condizioni per far evolvere il sistema tendenzialmente bipolare in un bipartitismo sia pure imperfetto.

La destra, dunque, si è sostanzialmente dispersa, un po’ per non aver creduto nelle sue potenzialità, e un po’ perché ha smarrito la sua strada cadendo in azzardi politicisti che hanno finito per dissolvere i suoi tratti comunitari, vero patrimonio ideale di un movimento che è stato capace di resistere per settant’anni a tutti venti della storia politica italiana.

Se queste sono le insufficienze che hanno provocato lo smarrimento della destra, è altrettanto incontestabile che alla sua diaspora ha contribuito in maniera determinante la vera e propria ostilità di quanti nel Pdl l’hanno marginalizzata in vista delle elezioni di febbraio. Utilizzando criteri a dir poco discutibili, smentiti da deroghe arbitrarie, si è fatta macelleria politica quasi con allegria. Si è insomma ritenuto, commettendo un errore di valutazione politica ed elettorale, che di quella destra che Fini portò in dote a Berlusconi e che poi abbandonò – non per fare un’altra destra, ma qualcosa di indistinto, confuso, incomprensibile, come si è visto – si può fare a meno e, dunque, senza eleganza metterla fuori dal Parlamento.

Tutti coloro che provengono da An sono adesso “fratelli separati”. Si ritroveranno? È difficile dirlo. Quando in politica s’innescano dinamiche di dissolvimento nessuno può dire dove, se e quando si fermeranno. Resta il fatto che al momento la destra che abbiamo conosciuto come soggetto unitario non esiste più.