Elezioni Francia: Macron rottama i vecchi partiti e blocca l’onda populista del Front National

di Giampiero Martinotti
Pubblicato il 12 Giugno 2017 - 08:49 OLTRE 6 MESI FA
Elezioni Francia: Macron rottama i vecchi partiti e blocca l'onda populista del Front National

Elezioni Francia: Macron rottama i vecchi partiti e blocca l’onda populista del Front National (foto Ansa)

PARIGI – Cadono come birilli i vecchi partiti e i loro principali leader, affonda un mondo politico che si è dimostrato incapace di dare una risposta convincente alla globalizzazione, alla crisi, alla fine di un modello di sviluppo nato settant’anni fa. Emmanuel Macron ottiene al primo turno delle legislative, con il 32,32%, un risultato al di sopra delle sue aspettative: se domenica 18 gli elettori confermeranno la tendenza, il capo dello Stato avrà una maggioranza parlamentare con pochissimi precedenti, tra i 415 e i 455 seggi su 577. Solo la destra nel 1993 aveva avuto un risultato migliore.

Un exploit, dunque, che non va però sopravvalutato: si è recato alle urne un elettore su due, segno che il paese è disposto a lasciar le mani libere a Macron, non a firmare un assegno in bianco. Resta tuttavia un dato politico fondamentale : un partito fondato appena un anno fa, costruito sul rifiuto della contrapposizione destra-sinistra, è riuscito a sbaragliare il mondo politico tradizionale e a metterlo in ginocchio.

Alla crisi della politica, all’avanzata dei populismi ha dato una risposta finora mai tentata, democratica ed europeista, liberal-socialista in un senso completamente nuovo, diverso dalla Terza Via di Tony Blair e Gerhard Schröder, che restava ancorata a una visione bipolare della vita politica, e dagli inciuci che tanto piacciono al mondo politico latino. L’offerta di Macron era una scommessa sull’unione dei progressisti di destra e di sinistra: il paese l’ha accettata e ora lo mette alla prova. Durante la campagna presidenziale, Macron aveva pubblicato un libro dal titolo esplicito: Rivoluzione. E adesso sembra proprio che si tratti di una rivoluzione, sia pur pacifica.

Le metafore sono fin troppo banali quando si vedono rotolare per terra le vecchie teste, soprattutto in casa socialista: il segretario nazionale del Ps, Jean- Cristophe Cambadélis, è stato eliminato al primo turno come Benoît Hamon, inconsistente candidato all’Eliseo. Solo i pochi socialisti che si sono avvicinati a Macron, come l’ex premier Manuel Valls e la sua minsitra della Sanità, Marisol Touraine, possono sperare di essere rieletti. Con il suo misero 9,51%, il Partito socialista rifondato da François Mitterrand nel 1971 è giunto alla fine di un ciclo, se non della sua vita. Per il resto, gli elettori hanno votato massicciamente la République en Marche! Anche se i suoi candidati sono sconosciuti, rappresentanti della società civile alle prime armi, senza esperienza politica. Con tutti i rischi che ciò comporta.

Senza alcun dubbio una ventata di aria fresca: secondo le proiezioni, due terzi dei futuri deputati saranno novizi. E l’Assemblea nazionale francese conterà probabilmente il 40 per cento di donne, un dato davvero straordinario in un paese fin qui conosciuto per il maschilismo persistente della sua classe politica. Il vero rischio per Macron e il governo Philippe sarà l’eccesso di sicurezza generato da un risultato tanto eccezionale. I socialisti, con appena 20-30 deputati, finiranno per essere assorbiti dalla maggioranza. La destra democratica dei Repubblicani (21,56%) avrà fra i 70 e i 110 seggi. Meno della metà rispetto al 2012 per un partito che rischia di lacerarsi tra chi vuole dialogare con Macron e chi caldeggia uan svolta a destra.

Il Fronte nazionale potrà fare ben poco: con il suo 13,2% avrà solo una manciata di deputati e non riuscirà nemmeno a costituire un gruppo parlamentare, per il quale occorrono 15 seggi. E al suo interno i regolamenti di conti sono già iniziati. Infine, la sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon, con 8-18 rappresentanti e un 13,74% dei consensi non infastidirà più di tanto il governo. La debolezza dell’opposizione parlamentare, sempre se sarà confermata domenica, nasconde però un serio pericolo: il rischio di un’opposizione in piazza. Da questo punto di vista, la riforma del mercato del lavoro, programmata per l’estate, rappresenta il più delicato banco di prova dei prossimi mesi. Trovare un equilibrio tra flessibilità e protezione, come abbiamo visto anche da noi con il Jobs Act, è un esercizio spericolato. In primo luogo, perché il dialogo coi sindacati è indispensabile per disinnescare una protesta di massa. In secondo luogo, perché la riforma stessa può accendere troppe speranze: non è detto che una nuova normativa dia automaticamente risultati sul fronte dell’occupazione. Macron ha le mani libere, ma non ha diritto all’errore.