La crisi, i pericoli e una Italia da ricostruire come dopo una guerra

di Giovanna Corrias Lucente
Pubblicato il 1 Gennaio 2013 - 00:18 OLTRE 6 MESI FA

La crisi che viviamo, la fase congiunturale di recessione che attraversiamo sono di inaudita gravità; la percezione deriva dalla lettura dei giornali ma anche dall’esperienza continua, dove nodi antitetici si scontrano lasciando interdetto il cittadino.

I licenziamenti, necessari per mantenere in vita le imprese, hanno compromesso l’esistenza di un numero notevole di famiglie che sono all’improvviso precipitate alle soglie della povertà. Non si trovano misure personali di difesa, chi si era rifugiato nel mattone, si trova immerso in un mercato stagnante dove solo i beni di elevato pregio riescono ad essere monetizzati a soddisfacenti valori di mercato; chi aveva in affitto una casa, stenta ora a pagare il canone e si ritrae in appartenenti più piccoli e meno costosi, lasciando così il proprietario privo di una rendita dalla quale traeva il reddito od un suo incremento; chi aveva contratto un mutuo nel sogno del possesso di un’abitazione vede lievitare il rischio di morosità e di perdere il bene ed il denaro investito.

La fiducia nei depositi bancari è in forte calo, sia per la magrezza degli interessi, sia per l’assenza di investimenti redditizi. In questo clima fioriscono attività sotto inchiesta come quelle dei Madoff dei Parioli che ha bruciato i risparmi di centinaia di investitori, sia ricchi che meno abbienti, erodendone il risparmio anche integralmente.

I sogni di ricchezza o di crescita sociale sono svaniti e sostituiti da modesti obiettivi, come quello di chiudere il mese, senza debiti.

I paracaduti sociali, ipotizzati per crisi circoscritte o estemporanee, sono insufficienti a reggere l’urto di una situazione economica ai limiti del collasso nel settore pubblico e privato; i cittadini, gli operai, i contadini, i piccoli imprenditori, commercianti ed artigiani, i liberi professionisti stanno perdendo ogni fiducia.

Il momento è oltremodo pericoloso perché la frustrazione e la rabbia contro i privilegi per ora diffuse, ma disorganizzate, rappresentano un’onda che potrà incanalarsi in qualunque direzione appaia rassicurante; sia essa una soluzione politico populista, sia una rivolta senza programma od infine un movimento eversivo.

L’assenza di punti di riferimento certi nella politica, la perdita della speranza che la crisi abbia durata breve aprono un baratro dinnanzi a molti che vedono proliferare la decadenza morale da ogni notizia di stampa.

Questo stato d’animo collettivo, che è venuto maturando nell’ultimo anno, è foriero di grandi pericoli; non esiste popolo peggiore di quello che abbia perduto la fede, nei principi, nello Stato, nelle persone che lo governano.

Due le tentazioni, l’una di arrangiarsi e rifugiarsi per sopravvivere in modeste illiceità che vengono sovente scoperte e represse severamente; è questo il settore delle piccole truffe, delle limitate evasioni fiscali, degli inadempimenti deliberati o forzati alle obbligazioni, dell’assenteismo e del doppio lavoro, uno ufficiale ed uno nero. L’altra soluzione è quella della protesta di chi cerca di improntare la propria vita a principi di onestà, rispetta le leggi, ma si sente circondato da nu mondo di sofisticati e ricchi malfattori che profittano dei beni pubblici e frodano i privati. Una lotta impari che genera scontento e rabbia anche in persone contenute e sinora serene.

A questo si aggiunga il problema giovanile, una generazione oppressa dalla mancanza di lavoro, resa ignorante, spesso, da scuole inadeguate, da mancati investimenti nella ricerca e formazione, immersa nei problemi economici della famiglia, che necessariamente, salvo pregiate eccezioni, è preda del nulla e manca di obiettivi.

Lo scenario è qui sintetizzato, perché un’analisi più approfondita, distinta per ceti di lavoro e regioni potrebbe fornire risultati ancora più deprimenti, come le passeggiate serali nel centro delle città, ormai ricovero dei senza tetto che dormono sui giornali accanto ad una bottiglia di vino scadente.

L’ondata di immigrazioni è stata per un verso salutare, vengono da paesi dove la povertà è maggiore e sono assenti le facilitazioni sociali (ad esempio la sanità pubblica), fuggono da regimi oppressivi. Una volta qui si prestano a qualsiasi tipo di lavoro che il progressivo imborghesimento della popolazione italiana rifiuta. Non aspirano alle ambite posizioni di dipendente statale, foss’anche quella di operatore ecologico, ma quei a lavorare in quei settori privati: cameriere, badante, infermiere, contadino portiere, che ad alcuni connazionali sembrano ormai incerti e faticosi.

Da un lato, osteggiati; dall’altro ormai necessari per mandare avanti il Paese, vista la fuga degli italiani da una serie di lavori ritenuti poco redditizi, sicuri o faticosi. La crisi, forse, ridimensionerà anche queste concezioni di vita, riportando l’italiano medio a non inseguire sogni di eccessiva ricchezza ed a rivalutare mestieri ormai abbandonati, ma che, nel dopo guerra, fecero la fortuna di molti.

L’attuale congiuntura impone un ripensamento dei valori personali e sociali, anche perché l’Italia oggi va ricostruita come se su di essa fossero le macerie di una guerra non combattuta con le armi.