Sallusti, libertà per lui e bavaglio per tutti

di Giovanna Corrias Lucente
Pubblicato il 8 Ottobre 2012 - 07:01 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Comprendo che abbia suscitato impressione la condanna di Sallusti al carcere, accompagnata dalla sua orgogliosa decisione di non valersi di misure alternative (l’affidamento ai servizi sociali) e la clamorosa campagna mediatica che ne è seguita. Il Giornale conta le ore che mancano alla fatidica data del 26 ottobre, in cui spira la sospensione della pena doverosamente disposta dalla Procura Generale, per consentire al condannato di non oltrepassare le soglie della prigione. Del problema è stato investito il legislatore con invocazioni più o meno esplicite..

Ne è sortito un primo disegno di legge presentato il 28 settembre (due giorni dopo la sentenza di Cassazione) da alcuni parlamentari, tra cui: Gasparri e Ghedini. Il testo è breve e tranchant. E’ programmato per un’emergenza e ripete solo in parte il disegno di legge approvato alla Camera e poi abortito, durante il secondo Governo Berlusconi, che proponeva di aggravare le pene per alcuni reati in materia di cronaca giudiziaria.

L’odierno disegno di legge muove in direzione circoscritta: è esclusa (art.1, b) la reclusione (da uno a sei anni) per la diffamazione con il mezzo della stampa aggravata dall’attribuzione del fatto determinato (introdotta da una legge del 1948) e sostituita con una multa più severa dell’attuale: “non inferiore a 5.000 Euro”, senza indicazione del massimo. Collateralmente è esclusa la reclusione anche per l’ingiuria (art. 2, b), la diffamazione semplice (art. 2, c) con un lieve rialzo del massimo della multa prevista. La modifica del reato di omesso controllo (art. 2, a) maschera, invece, altri problemi: estende la responsabilità del direttore – oltre che alla stampa tradizionale – anche alle testate telematiche ed a qualsiasi sito diretto ai sensi dell’art. 5 della legge sulla stampa. Infine, l’art. 1, b) prevede che la riparazione pecuniaria, ora indeterminata, non sia inferiore a 30.000 Euro.

Tre sono le questioni che solleva la riforma così delineata: la prima, se veramente sia opportuno eliminare la pena detentiva per la diffamazione, anche grave. A mio parere, quest’ipotesi va attentamente valutata, per le conseguenze che potrebbe comportare E’ indubbio che l’attuale pena sia oltremodo repressiva, ma il tema era stato accantonato per anni, a causa della prassi giudiziaria di ridurla alla multa, con la concessione delle attenuanti generiche. La scelta di campo effettuata dal disegno di legge è, però, radicale, mentre esistono opzioni intermedie, quali ridurre la pena della reclusione e/o prevederla come alternativa alla multa. Questo accorgimento avrebbe ridotto il rischio del carcere e, contemporaneamente, garantito le vittime della diffamazione da campagne stampa calunniose o violente. Gli estensori si spiegano nella relazione; a parer loro la scelta adottata è imposta dalla Corte europea e citano a sostegno la più recente decisione che ha condannato la Grecia nel caso Kydonis.

A leggere la sentenza, tuttavia, ci si avvede che non fissa un principio assoluto, ma afferma: “la reclusione inflitta per una violazione commessa nel settore della stampa non è compatibile con la libertà di espressione giornalistica … che in circostanze eccezionali, specificamente quando altri diritti fondamentali siano seriamente offesi, come nell’ipotesi, per esempio, di diffusione di un discorso d’odio o di incitamento alla violenza”. Inoltre, quella citata è una delle tante decisioni della Corte europea che esprime una giurisprudenza non omogenea sul punto, oscillando, a seconda del caso concreto, fra la prevalenza di uno dei diritti in contrapposizione, alla ricerca di un complesso equilibrio. Intendendo, dunque, adeguarsi alla giurisprudenza europea, si potevano prevedere casi di diffamazione violenta o calunniosa puniti con la reclusione.

Peraltro, la previsione di un minimo elevato per la multa (30.000 Euro), senza la indicazione del massimo, oltre ad accentuare la mercificazione dell’onore (già in atto con i macroscopici risarcimenti danni talvolta liquidati) così come l’improvvido disposto per cui la riparazione pecuniaria, istituto ibrido, non debba essere inferiore a 30.000 Euro gravano sul solo editore, lasciando indenne l’autore. Non sono, dunque, utili deterrenti per campagne diffamatorie e giornalisti in mala fede. In più, la tecnica legislativa è stata criticata perché viola un principio basilare dell’ordinamento: la certezza della pena. Non essendovi limiti massimi, i Giudici potrebbero irrogare una multa od una riparazione pecuniaria anche di milioni di Euro, realmente pericolosa per la libertà di stampa (esistono testate che non la potrebbero finanziariamente tollerare). Sul punto, la stessa Corte europea ha ritenuto che anche sanzioni pecuniarie o risarcitorie eccessive possano limitare la libertà di informazione (Bozhkov e Kasabova, contro la Bulgaria, i precedenti Saaristo, Niskasaari e Ruokanen, riguardo alla Finlandia e Długołęcki contro la Polonia.).

Secondo: come tutte le leggi ad personam, anche questa è afflitta da difetti. Dimentica, infatti, che la diffamazione non è l’unico reato che i giornalisti possono commettere e non si premura di adeguare altre norme. Appare assurdo che il reato di pubblicazione arbitraria degli atti di un procedimento penale preveda ancora l’arresto (alternativo alla multa) o che per la violazione della privacy (bene di grado inferiore alla reputazione) sia prevista la pena detentiva da sei a 18 mesi o da uno a te anni, a seconda dei casi, e sia perseguibile d’ufficio e non a querela di parte. In altri termini, la riforma non salverebbe i giornalisti dalle condanne al carcere che potrebbero scaturire dalla violazione di altre norme. Il vizio è di aver proposto un intervento settoriale che, se accolto dal legislatore, finirebbe per creare uno squilibrio intollerabile nel sistema delle pene; ridotta una; vanno ritoccate anche quelle collaterali.

Terzo: si maschera dietro questo disegno, all’apparenza favorevole ai giornalisti, una riforma peggiorativa per i Direttori. Infatti, il disegno propone una modifica: estende la responsabilità del Direttore – prima limitata alla stampa tradizionale – anche alla radiotelevisione e ad “altri mezzi di diffusione”. Si allude, così, ai radiotelegiornali ed all’universo della telematica; in particolare, alle testate giornalistiche o, comunque, ai siti per cui sia imposta l’investitura di un Direttore responsabile, che finora non erano gravati da norme penali. La riforma non appare liberale: innanzitutto è residuo fossile l’attuale responsabilità del Direttore per la stampa, disegnata quando i giornali erano composti di poche pagine e si poteva effettuarne il materiale ed effettivo controllo; ora inesigibile per le dimensioni raggiunte da riviste, quotidiani ed annessi. Inoltre, l’introduzione di reati omissivi, nel settore della telematica va fortemente osteggiata per l’impossibilità di controllare questo mezzo, che, a differenza della stampa, consente l’immediata di contenuti e la loro perpetua modificazione da parte dell’autore.

In conclusione, il disegno di legge si limita a lasciare indenni i giornalisti dalla pena detentiva per la diffamazione; estende, invece, la responsabilità del Direttore, ampliando l’orbita di applicazione della norma ad altri media, compreso Internet, senza porsi il reale problema se in un ordinamento democratico possa sopravvivere una forma di responsabilità oggettiva, correlata alla sola commissione di fatti altrui, legata alla sola posizione rivestita da un soggetto. Una tecnica legislativa in sospetto di contrasto con la Costituzione. Sarebbe preferibile che la liberalità verso i giornalisti, improvvisata per un’emergenza, sia meritatamente estesa al Direttore. Basterebbe una semplice riforma: prevederne la responsabilità soltanto per gli scritti anonimi. Infine, aumenta senza limiti pene e condanne pecuniarie, senza alcun riguardo per le conseguenze sulla libertà di stampa.