Giù le mani dalla cultura, anzi dai soldi

Pubblicato il 5 Marzo 2009 - 15:59 OLTRE 6 MESI FA

Alessandro Baricco sulle colonne di “Repubblica” ha dato scandalo, ha proposto infatti qualcosa di insieme ovvio e utile. La proposta era quella di destinare i fondi pubblici che oggi vanno alla cultura ai luoghi dove la cultura insieme latita e davvero si forma. Dunque alla scuola e alla tv invece che ai Teatri Stabili, alle Filarmoniche e alle vaie oasi autorefenti, sorta di “masi chiusi” della cultura.

Baricco è stato accusato di liberalismo fuori tempo massimo, di terze e quarte intenzioni oltre quelle dichiarate, di volontà omicida nei confronti della cultura, ovviamente quella con la maiuscola. Insomma le rispettabili e coltissime corporazioni hanno reagito e, come sempre, hanno dichiarato impossibile ogni cambiamento dell’esistente.

Più o meno egual sorte sta subendo la proposta, in realtà non nuovissima, del ministro Bondi: una rete Rai non schiava dell’audience e quindi dell’appetibilità della programmazione solo per gli inserzionisti pubblicitari. L’obiezione: togliere la pubblicità a una rete Rai significa consegnarla a Mediaset. Vero, come è vero che i Teatri e le Filarmoniche non vanno cancellati. Ma davvero i soldi pubblici si trasformano in cultura nazionale tenendo in piedi gli attuali palinsesti Rai e gli attuali teatri? Davvero sarebbe un misfatto spendere per la cultura a scuola e in tv, entrambi territori desertificati quanto a cultura?

E davvero ancora la cinematografia italiana deve essere una cinematografia assistita da soldi pubblici? Un milione e mezzo di euro per il film sull’epopea del terrorista Sergio Segio o su quella dei proto leghisti che sconfiggono Barbarossa sono investimento culturale? Chi andrà, per chi saranno quei teatri e quelle filarmoniche dopo quindici anni di scuola da cui è stato espulso il sapere e venti di tv da cui è stato bandito il pensiero? No, Baricco, questa è davvero una domanda indecente.