Agenda Monti: troppa austerità, poco sviluppo, come il suo Governo

di Gustavo Piga
Pubblicato il 25 Dicembre 2012 - 13:52| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA
Mario Monti (Foto LaPresse)

Leggendo e meditando sulla Agenda Monti, viene istintivo mettere in fila una serie di critiche, alla luce di quanto appaia distanza  quella Agenda da una vera agenda di un Centro che ancora non c’è, una forza di Centro che si dovrebbe caratterizzare per la sua capacità di conciliare esigenze moderate liberiste con esigenze sociali progressiste, portandone il meglio a fattore comune.

Il modello lo ha dato Einaudi: liberale e protezionista: non liberista ma liberale, attento sì alle libertà di scelta ma in un contesto in cui il libero scambio non sia il frutto di posizioni contrattuali sproporzionate a tal punto da far apparire come costretta la volontà di alcune delle parti; non progressista, ma protezionista, capace cioè di individuare le figure sociali bisognose di sostegno attivo, e volto a proteggerle.

La Agenda Monti parla di quote rosa, che possono diventare un valido strumento per superare le tante discriminazioni che le donne soffrono ancora in Italia, ma è del tutto indifferente rispetto ad altri grandi problemi come giovani e piccole imprese, che sono tra le porzioni di società che più hanno sofferto nella austerità.

A scuola e università il programma Monti dedica una magra paginetta su 25, ignorando che per studiare servono strutture non più fatiscenti. Non solo la Agenda Monti non si impegna ma anche già il Governo Monti non ha informato gli italiani, malgrado la retorica sulla “trasparenza assoluta della pubblica amministrazione”, sullo stato degli edifici scolastici e le necessarie spese per riportarli a norma.

Nel programma Monti le righe sulla università sono esattamente 12 e sono righe totalmente prive di vera e credibile progettualità. Nessun cenno alla esigenza di riorganizzare le università attorno ad atenei di ricerca e insegnamento avanzati, come si fa dappertutto in Europa. Nessun cenno nemmeno a meccanismi credibili per identificare, proteggere e sostenere i giovani di talento, per premiare e fare rientrare in Italia i nostri ricercatori.

Nessuna risposta  si trova nella Agenda Monti alle migliaia e migliaia di giovani, che poca responsabilità hanno di una disoccupazione giovanile da record, che questa la austerità recessiva del Governo Monti ha “dovuto” generare.

Su questo un Centro che si rispetti chiede alla Agenda Monti di abbandonare la timidezza che lo attanaglia e di discutere piuttosto dove trovare le risorse per evitare questo Grande Spreco.

Difficile anche appare che le nostre piccole e medie imprese possano sopravvivere in un ambiente come quello che il 2012 ha solo reso più soffocante? Come non pensare che la priorità debba divenire l’immediato pagamento dei ritardati pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni senza “se” e senza “ma”?

Qui c’è una colpa precisa, o quanto meno una grave carenza, della azione del Governo Monti. Sbaglia Monti quando afferma che

“per contare nell’Unione europea non serve battere i pugni sul tavolo”.

Penso invece che se li avesse battuti anche solo un pochino, Angela Merkel avrebbe consentito che il livello del debito pubblico italiano valido ai fini statistici fosse valutato al netto del nuovo debito emesso per ottenere la liquidità per ripagare i debiti commerciali dovuti dallo Stato alle imprese italiane.

Come ho già scritto,

manca anche un qualsiasi riferimento ad una immediata attuazione della legge dello “Statuto per le imprese” che richiede di effettuare una regolazione non costosa, specie per le piccole? Un Governo che non è riuscito nemmeno a rispettare i termini per la presentazione della nuova “legge annuale per la tutela e lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese volto a definire gli interventi in materia per l’anno successivo” (scaduti a giugno), non dovrebbe sentire il desiderio di recuperare su questo tema i suoi ritardi? E che dire del fatto che nessuna menzione è fatta del ruolo che si potrebbe riservare alle piccole imprese nel mondo degli appalti pubblici, come da 60 anni fanno gli Stati Uniti?

Altre carenze e lacune si possono rilevare nella sua Agenda Monti.

Nessuna attenzione al problema carcerario, niente per la protezione dei più deboli.

Ma altrettante perplessità le suscita a chi chiede che sia data piena spinta propulsiva alla crescita economica.

Non è giusta l’equazione di Monti, secondo il quale

“la crescita si può costruire solo su finanze pubbliche sane”.

Vero è il contrario:

“conti pubblici sani si possono costruire solo sulla crescita”.

Lo confermano  i numeri di questo 2012 inutilmente austero e recessivo che ha fatto saltare i conti pubblici tanto da portare per il 2014, la stima debito Pil secondo l’Ocse, per la prima volta dagli anni trenta, a posizionarsi sopra il 130%. Se l’economia muore per austerità crollano le entrate fiscali e salgono deficit e debito, come sta avvenendo. Certo poi si può sempre reagire a crescenti cali delle entrate con maggiori imposizioni, facendo sembrare tutto uguale a prima, ma con un carico fiscale che sfugge di mano, ammazzando per sempre chi ricchezza per il paese dovrebbe generare.

L’austerità nutre le aspettative e con essa i piani per il futuro, specie gli investimenti. Ora che tutti danno per probabile l’estensione della recessione fino al 2014, che tipo di speranza vogliamo dare al Paese per il 2015? Non quella della ’Agenda Monti, che ci sconvolge dicendo:

“ridurre a partire dal 2015 lo stock del debito pubblico in misura pari a un ventesimo ogni anno, fino al raggiungimento dell’obiettivo del 60% del PIL”.

Monti dovrebbe sapere bene che il Fiscal Compact, altro tema su cui certamente un po’ di più i pugni sul tavolo avrebbe potuto batterli, non chiede la riduzione dello stock del debito pubblico ma del suo rapporto con il Pil. Il che significa che a priori hanno stessa rilevanza i fattori che riducono il debito (compresa la crescita!) e quelli che aumentano la crescita.

L’ansia di Monti di comunicare una ulteriore austerità cozza contro i Trattati e contro l’esigenza di dare una speranza “spirituale” e “programmatica” alle tante imprese e famiglie che oggi stanno decidendo quando effettuare i loro investimenti o come e se risparmiare. Come pensare che li facciano, gli investimenti le imprese, se dal 2015 mettono in conto un 5% di Pil annuale (80 miliardi) di maggiori tasse e minori spese che generano ulteriore recessione?

Il Fiscal Compact deve essere usato come strumento di crescita e non di austerità, cioè esattamente il contrario di quanto fatto sinora con esiti disastrosi.

Monti auspica una spending review che funzioni, ma viene il dubbio che si tratti solo di un esercizio retorico. Spending review  non vuol dire solo meno spesa, tenuto conto che gli sprechi da noi ammontano a circa il 3% del Pil; vuol dire anche migliore spesa e questo collide in modo brutale con i tagli lineari del 2012, che tanta recessione, tanta disoccupazione, tanto pochi servizi sociali hanno generato.