Moody’s: la recessione peggiora il Pil, Italia meno capace di pagare i debiti

di Gustavo Piga
Pubblicato il 14 Luglio 2012 - 12:11| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

Il downgrade del rating italiano da parte di Moody’s ha suscitato un vespaio, sembra di rivivere vecchi film sull’indignazione nazionale che in altri tempi avrebbe portato alla dichiarazione di guerra. Tutti sono d’accordo, il primo ministro Mario Monti e i grandi quotidiani, a vedere dietro Moody’s l’ombra di un grande complotto internazionale. Persino l’Unione Europea, dicono…

Io la penso un po’ diversamente e credo che le ragioni siano semplici, anzi molto semplici.

Partiamo dai numeri, che è sempre una buona cosa.

La stima del -1,2% di crescita 2012 contenuta a suo tempo prevista dal Governo è ormai, per comune consenso, superata se mai fosse stata realistica. La stima è ora di un peggioramento al doppio e la logica conseguenza di questo è una revisione delle aspettative di solvibilità del debitore Italia. Perché stupirsi?

Essere virtuosi non basta a tranquillizzare i mercati se gli esercizi di virtù hanno aggravato la recessione e quindi la capacità di generare cassa. I mercati non vogliono virtù ma euro.

Penso che il nostro Governo capisca benissimo come stanno le cose e che molto del fumo sia dovuto a ragioni opportunistiche. Gente come quella che sta attorno a Monti, nonché lo stesso  Monti, non possono non sapere che quello che conta per i mercati in questa fase è la crescita economica, non i prospettiva remota ma immediatamente, quella che si ottiene con espansione fiscale della spesa pubblica in Italia (si badi bene: spesa pubblica non sprechi) e con l’abbassamento dell’imposizione fiscale in Germania che ha già infrastrutture di ottimo livello ma i cui lavoratori dovrebbero consumare un po’ di più di quei beni che producono egregiamente ma per l’esportazione.

Senza la crescita subito i conti pubblici sono compromessi. Non è il debito che va curato, va curata la crescita, il debito scenderà di conseguenza. Dopo mesi tutto fa pensare che la ricetta ciecamente seguita dai governanti europei non abbia affatto convinto i mercati e non sia nemmeno riuscita ad abbattere gli spread.

Tutti i segnali sono che è venuto il momento di cambiare strategia.

Le risorse però sono limitate sempre ma in tempi di recessione lo sono ancora di più e quindi cambiare strategia non lo si può fare con un colpo di fischietto. Ci vuole parecchio lavoro di fino, quello che si chiama spending review, ma non del genere che, sotto quel nome, mi pare oggi venga praticata in Italia. Quelli si chiamano tagli lineari.

Ora ritorniamo a un concetto espresso sopra: la spesa pubblica per acquisti di beni e servizi fa crescere il Pil, mentre i trasferimenti pubblici, come le pensioni o la spesa per interessi, prendono a qualcuno e danno ad un altro e quindi rendono più povero uno e più ricco un altro: il primo vorrà consumare di più, il secondo di meno, ma alla fine la domanda complessiva di prodotti non cambia e così il Pil.

Altre cosa è la spesa della P.A., intesa come domanda di beni e servizi, quella che facciamo con le gare d’appalto a cui partecipano le imprese. I trasferimenti sono una cosa diversa dall’acquisto di beni e servizi.

Non solo è preoccupante quel che ha scritto il Centro Sudi di Confindustria, che in termini di spesa su prodotto interno lordo, una volta esclusi i trasferimenti per interessi e per pensioni, l’Italia spende meno che la media dell’area dell’euro. Se poi quei denari li spende male, in tutto o in parte, per effetto di inefficienza, spreco e corruzione, ecco che arriviamo alla situazione attuale del nostro Paese.

La spending review non fa male se, insieme con i tagli, sempre dolorosi, molti sprechi saranno effettivamente individuati. I tagli annunciati in questi giorni permettono di non aumentare l’IVA, e questo fa sperare che qualche impatto positivo sul PIL questa manovra ce l’avrà. Il risparmio di IVA è all’incirca di 6 miliardi, non mi stupisce troppo che Confindustria stimi un impatto positivo di 0,25%.

Ma è doveroso chiedersi se sia sufficiente, di fronte a un Pil che cala del 2,4%, un risparmio dello 0,25 del Pil.

La risposta è negativa. Per vincere la guerra, come l’ha definita Monti, c’è bisogno ora di far entrare in campo le truppe corazzate che generino domanda subito. E dunque, il piano di manutenzione delle nostre infrastrutture suggerito dal Governatore Visco.

Se la Spagna ha saputo ottenere un ritardo di 1 anno per 1% di PIL di manovra, noi allora dobbiamo negoziare subito 1% di PIL di spesa pubblica produttiva in più.  Produttiva ha un significato preciso: vuol dire niente ponti sullo Stretto, ma sostegno al patrimonio  culturale, naturale, scolastico, prigioni pulite e decenti.