Recessione. Renzi e Draghi. Un po’ di inflazione per salvarci dalla crisi

di Gustavo Piga
Pubblicato il 17 Agosto 2014 - 07:07| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA
Recessione. Renzi e Draghi. Un po' di inflazione per salvarci dalla crisi

Recessione. Renzi e Draghi. Un po’ di inflazione per salvarci dalla crisi

ROMA  – Gustavo Piga ha pubblicato i contenuti di questo articolo sul suo blog, in due parti, intitolate: “Draghi e Renzi: ecco come farli vincere entrambi per salvare l’Europa” e “Inflazione è bello. Ecco come”.

Quanto è importante l’incontro tra Draghi e Renzi? Mi verrebbe da dire: immensamente.

Perché?

Perché quell’incontro è stato il simbolo del nocciolo del problema che affligge l’Europa attualmente ed è anche una condizione necessaria (ma non sufficiente) per avviarci verso la sua risoluzione.

L’incontro umbro era stato già immaginato, solo due mesi fa, da due ricercatori, entrambi italiani, Francesco Bianchi e Leonardo Melosi, il primo della Duke University ed il secondo dipendente della Federal Reserve di Chicago.

Francesco Bianchi e Leonardo Melosi hanno avuto la brillante capacità di immaginare – con i mezzi della teoria economica– i diversi percorsi a disposizione delle istituzioni di Paese (o un gruppi di Paesi con una valuta unica e regole fiscali comuni, come l’area dell’euro) per provare ad uscire da una crisi da domanda e da pessimismo come quella in cui ci troviamo a combattere, ed in cui la banca centrale (da ora in poi BCE) ha già spinto i tassi verso il minimo, lo zero.

Una premessa. Mario Draghi porta sulle spalle un’eredità pesante. Quella di una istituzione che, nel giro di poco più di un decennio, ha conseguito una elevatissima reputazione anti inflazionistica, direi sorprendente, che è senza dubbio alla base di gran parte della stabilità che l’area euro ha conosciuto prima della grande recessione dal 2008.

Tale reputazione anti-inflazionistica non è stata intaccata dal comportamento della BCE dal 2008 in poi, quando sempre più insistenti sono diventate le domande esterne alla Banca per fare più inflazione, molta di più di quanta non ne stia facendo ora.

Inflazione richiesta perché capace di avere due effetti: essendo i tassi nominali allo zero, essa abbatterebbe il costo reale del credito, rilanciando consumi e investimenti (il contrario di quello che fa oggi la crescente deflazione) ed, al contempo, svaluterebbe il valore nominale del debito pubblico, riducendo la necessità di aumentare tasse e diminuire spese per ripagarlo, cose, queste, che impediscono la ripresa.

Draghi riuscirà a resistere a queste pressioni di Renzi e di tutti i governi in difficoltà? E’ cosa buona che vi resista nelle condizioni in cui versa l’Europa? Non vi sarebbe una soluzione capace di salvare l’Europa mantenendo alta la reputazione anti inflazionistica della BCE? Sono queste le domande a cui rispondono Francesco Bianchi e Leonardo Melosi nel loro saggio.

Certo, argomentano, in tempi normali il modello di banca centrale anti inflazionista e di un Fiscal Compact che garantisce la stabilità del debito pubblico è ideale.

Ma in tempi eccezionali come quelli che attraversiamo, in cui la crisi è iniziata per colpe esterne alla volontà dei nostri politici? Quale sarà la politica da attuare?

Bloccati nell’oggi a un tasso di sconto pari a zero e non ulteriormente riducibile, la politica ideale dipenderà da cosa decideranno oggi i responsabili della politica economica, i Renzi ed i Draghi, su quali saranno le politiche future che dovranno essere seguite, una volta usciti dalla recessione. In particolare, su come gestiranno gli enormi debiti pubblici su PIL che avrà lasciato la recessione. A che annunci odierni vorranno legarsi per le politiche del domani risulterà decisivo per le sorti della eventuale ripresa dalla crisi.

Se ad esempio i politici convinceranno i mercati oggi che appena tornerà il bello continuerà ad essere vigente il Fiscal Compact volto al ripagamento del debito pubblico accumulato nella recessione e una politica monetaria dura e pura, con le loro esose richieste sulla domanda interna via maggiori tasse, minori spese ed assenza di credito, la domanda di imprese e famiglie crolla subito (investimenti?

Perché farli si dice l’imprenditore se non vede il lumicino di una maggiore attività economica domani), la deflazione segue, i tassi reali salgono invece di scendere, la recessione si amplifica e dura a lungo, il debito su PIL sale ancora. Un po’ quello che pare essere la realtà odierna.

Se invece i politici diranno e convinceranno i mercati che si impegnano ad abolire per un lungo periodo il Fiscal Compact ed ad inflazionare l’economia, ecco che questa uscirà oggi dalla crisi, grazie alle aspettative di maggiore inflazione ed abbassamento dei tassi reali che seguirà, con l’abbattimento anche del rapporto debito su PIL. Ma mentre questa sarebbe una politica ideale nel breve periodo, tirandoci fuori dalla recessione, essa metterebbe a rischio la stabilità nei tempi normali e con essa la reputazione anti-inflazionistica della BCE di Draghi.

Ma di cosa si convinceranno i mercati? Beh ovviamente dipenderà da chi crederanno comanda in Europa. Comandano i Draghi o i Renzi? Se si crede siano i primi, la recessione dura per i prossimi 10 anni e come contentino avremo la stabilità nel lungo periodo. Se i Renzi, via dalla recessione subito, ma grande instabilità nel lungo periodo.

La cosa peggiore, argomentano gli autori, sarebbe che i Renzi ed i Draghi non si coordinassero tra loro, dando il via ad una battaglia istituzionale. Immaginiamo per esempio che la BCE annunci che al termine della crisi manterrà la lotta senza se e senza ma all’inflazione mentre i governi spiegheranno che non faranno, per ripagare il debito accumulato, aumentare le tasse quando tornerà il bel tempo.

Se i mercati si fissano che i governi non molleranno nel loro atteggiamento, crescerà la convinzione che la BCE dovrà prima o poi inflazionare il crescente debito. L’aumento delle aspettative d’inflazione porterà Draghi a alzare i tassi subito, esacerbando la crisi e l’aumento del debito-PIL che a sua volta spingerà ad attendersi più inflazione, rafforzando la crisi ecc. fino a quando Draghi non avrà mollato, ma sarà sempre troppo tardi, la recessione sarà stata ancora più grave.

Analogamente, un Governo che dichiara che non aumenterà le tasse per ripagare il debito creatosi nella recessione ma che i mercati si aspettano cederà alla fine le armi ai voleri della BCE che non si piegherà a fare inflazione per eliminare il debito, questo Governo non riuscirà a stimolare l’economia ad uscire dalla recessione perché gli operatori si aspettano che prima o poi questo aumenterà le tasse per ripagarlo, come chiede la BCE.

Comunque vada, se i Draghi della BCE ed i Renzi dei governi europei non trovano un accordo, dalla recessione non si esce.

Ecco perché l’incontro Renzi-Draghi è stato così importante: è necessario che si parlino. Ma non sufficiente perché se dal dialogo Draghi la spuntasse, finiremmo là dove siamo oggi: più debito, più recessione, più deflazione.

Come uscirne dunque fuori senza ottenere la sconfitta di Draghi e la sua perdita di reputazione come falco che combatte l’inflazione?

Francesco Bianchi e Leonardo Melosi formulano una proposta concreta: Draghi inflazioni solo quella parte del debito-PIL che è stata causata dalla recessione e i Governi si astengano dall’aumentare tasse o diminuire spese per farlo rientrare al livello pre-recessione, cosa che aggraverebbe la recessione in corso. Quella recessione di cui i governi non hanno colpa alcuna.

Un tale annuncio di accordo istituzionale – una moratoria sul Fiscal Compact fino all’abbattimento del debito su PIL al livello pre-crisi via inflazione – porterebbe immediatamente verso l’alto le aspettative d’inflazione, abbassando il costo del denaro per le imprese, facendo ripartire investimenti e morire la recessione e con essa, ovviamente, la deflazione.
Tutto ciò verrebbe fatto senza mettere in difficoltà l’indipendenza della BCE e la sua missione anti-inflazione che, appena raggiunta la vecchia soglia del debito-PIL pre-crisi, tornerebbe – con la piena comprensione dei mercati – a fare il suo mestiere, indipendente come non mai e senza aver perso un’oncia di reputazione.

Renzi, hai convinto Draghi a inflazionare così tanto da far tornare il rapporto debito-PIL italiano al 103% del pre-crisi? Se lo hai fatto, siamo con ogni probabilità fuori dalla crisi.

Ma perché dei tanti modi di abbattere il debito oggi l’inflazione è il migliore?

a) Perché da sempre, specie se l’inflazione non è enorme, è metodo socialmente ben più invisibile e digerito rispetto al consolidamento esplicito: genera dunque il minimo di instabilità sociale successiva.

b) Perché la vera ingiustizia che sta avvenendo ora nel contratto sociale europeo, via deflazione, è quello dell’arricchimento “eccessivo” dei creditori degli Stati rispetto ai contribuenti che pagano la spesa per interessi. Eccessivo nel senso che quando furono sottoscritti quei titoli si riteneva giusto il compenso nominale promesso dallo Stato per un’inflazione attesa molto maggiore di quella che poi si è verificata. Mi direte, beh allora anche il consolidamento ha lo stesso effetto. Non interamente: c’è chi ha sottoscritto titoli indicizzati, all’inflazione in primis, che non sta guadagnando dalla deflazione, perché colpire anche loro?

c) Perché un taglio del debito pubblico in un singolo Paese genera instabilità sociale soprattutto in quel Paese, mentre la crescita del debito di quel Paese è stata dovuta in larga parte a politiche esterne sbagliate, come Fiscal Compact e deflazione via BCE. L’inflazione colpisce tutti i creditori europei, non solo quelli di uno Stato.

Rimane un problema, di cui abbiamo parlato ieri: come convincere Draghi a generare questa inflazione. Che richiederebbe, ovviamente, annunci espliciti – simili a quelli degli anni 30 negli Stati Uniti, del tipo “Inflazione è bello” – per influenzare le aspettative degli operatori e portarli a rendere l’inflazione auto-realizzantesi.

Basterebbe a mio avviso annunciare che il Fiscal Compact è sospeso fino alla riduzione del debito pubblico su PIL al livello pre-crisi (103% per l’Italia), con il ritorno alla sana e democratica regola del non sforamento del 3% del deficit-PIL del Trattato di Maastricht – l’unica veramente sottoscritta nell’ordinamento europeo, via Trattato di Maastricht (ricordo a tutti, se ce ne fosse bisogno che il Fiscal Compact è un accordo tra Stati, non è legge comunitaria in quanto non sottoscritta da Regno Unito e Repubblica Ceca) – a fare da ancora minima di stabilità.

Il silenzio di Draghi al riguardo sarebbe segnale di accordo politico istituzionale, segnale che sarebbe entusiasticamente recepito dai mercati, che finalmente vedrebbero la crescita europea a portata di mano, senza tuttavia temere per la fine della stabilità monetaria, comprendendone la natura temporanea.

Questo accelererebbe il rientro del debito e la stabilità del deficit via minori spread. La maggiore inflazione, inoltre, lo ribadiamo, abbatterebbe i crescenti tassi reali che la deflazione sta generando.

Come ottenere il silenzio della Buba? Semplice, ordinandoglielo.