Austerità e tasse non è = sviluppo, ma recessione

di Gustavo Piga
Pubblicato il 4 Maggio 2012 - 14:43 OLTRE 6 MESI FA

L’austerità, l’aumentare le tasse, non significa sviluppo ma recessione. Lo si vede bene da un grafico pubblicato sul New York Times da Martin Wolf  in cui si evidenzia il tasso della crescita media dal 2008 al 2012 dei paesi europei e la loro relazione con lo sviluppo di politiche di austerity da parte dei vari governi. Per quanto riguarda la crescita economica ci si accorge che in Europa il podio lo occupano gli slovacchi, mentre i greci sono all’ultimo posto. Dati che sono inversamente proporzionali allo sforzo dei governi di attuare politiche di austerità: massimo in Grecia, minimo in Finlandia.

Per quanto riguarda l’Italia anche qui il dato conferma quanto detto sopra: tanto più si sono aumentate le politiche di austerity, tanto meno il Paese è cresciuto. Su questo punto sia Wolf che il premio nobel Paul Krugman concordano: l’austerità non stimola la crescita. Nemmeno in Italia.

L’assioma opposto non è però ugualmente vero: meno evidente appare infatti che un Paese che non faccia austerità abbia maggiore crescita. Al di là della Finlandia e dell’Olanda, dove non se ne genera, e del Belgio e della Slovacchia, dove se ne genera, l’impressione è che gli effetti di una politica fiscale espansiva siano limitati.

Su questo però ci sono da fare delle considerazioni. In primo luogo non si può avere la certezza di questo assioma. Perché come mostra il grafico la maggior parte dei Paesi presi in analisi ha un’effettiva crescita, con avanzi e assenza di deficit strutturali. Tutti timorosi di produrre anche un po’ di deficit pubblico strutturale stimolando ulteriormente la domanda, anche se il Trattato europeo lo permetterebbe, visto che siamo in recessione europea. In secondo luogo, anche se un Paese ci provasse, da solo, l’impressione è che non otterrebbe grande crescita economica perché i mercati alzerebbero gli spread per punirlo e perché effettivamente lo stimolo in economie molto aperte come sono quelle europee sarebbe assai piccolo se un Paese provasse ad espandere da solo.

Se invece non fosse un Paese isolato ma un gruppo di Paesi a provare a fare deficit, l’impressione è che si otterrebbe una grande crescita. Perché i mercati abbasserebbero gli spread di fronte ad una strategia coordinata per la crescita, a condizione che sia ben chiaro per i mercati che i governi si obbligano a ridurre la domanda pubblica appena le loro economie ripartono, che si mostrino leadership e senso di direzione nel progetto europeo. Perché, ancora, gli effetti moltiplicativi sulla crescita di un Paese dell’aumento di reddito negli altri Paesi sarebbero consistenti, via export.

Se non lo si prova non sapremo mai se questa teoria è giusta o sbagliata. E’ la storia ed il destino degli eroi, quello di rischiare con saggezza. Basta trovare gli eroi che, insieme, si mettano alla prova.