La prossima crisi

di Giuseppe Turani
Pubblicato il 31 Ottobre 2015 - 07:10 OLTRE 6 MESI FA
La prossima crisi

Matteo Renzi

ROMA – “Siamo pronti per la prossima crisi?” scrive Giuseppe Turani sul suo blog “Uomini e business”.  Blitz Quotidiano vi ripropone per integrale l’articolo.

“Allora tutto è a posto? Si cresce dell’1 per cento quest’anno e dell’1,5 l’anno prossimo. La disoccupazione sta scendendo. Abbiamo finito di faticare. E allora possiamo tornare tutti a giocare a battaglia navale, cioè alla battaglia degli scontrini. E, già che ci siamo, inventiamoci qualcos’altro (l’acqua di Messina, le vacanze di Crocetta, i dubbi amletici di Marino). Tanto è tutto a posto e abbiamo del tempo da perdere. Questo è il clima, mi sembra, che si respira in giro. Ma è sbagliato.

Per capirlo basta porsi una semplice domanda: questo stato di grazia dell’economia mondiale (che ci sta aiutando) quanto potrà durare? Mica in eterno? La domanda è retorica perché in realtà nessuno ha la risposta. I vecchi modelli econometrici non sono più molto attendibili. Un bravo analista – Alessandro Fugnoli – ha giustamente scritto che quando la Yellen guarda i suoi modelli econometrici, questi le dicono di aumentare i tassi di interesse. Quando poi guarda fuori dalla finestra (guarda la realtà) capisce che forse è meglio aspettare ancora un po’. E quindi nessuno sa quanto potrà durare l’attuale positiva congiuntura mondiale.

Nemmeno i potentissimi banchieri centrali. Non lo sa la Yellen e non lo sa Draghi. Possiamo solo gettare un numero nella discussione, quasi a caso. Diciamo allora che passeranno quattro-cinque anni prima della prossima crisi. Se fosse così, significa che abbiamo davanti ancora 1500 giorni buoni. E a quel punto che cosa accadrà? Sarà un bel problema, un vero casino. E non è difficile capire perché. I tassi sono già a zero, il petrolio non costa quasi niente. I tassi si possono mandare ancora più giù (negativi, in parte lo sono già), ma senza esagerare: a quel punto la gente potrebbe avere interesse a ritirare i soldi e a tenerli sotto il materasso: tanto in banca non rendono nulla. E questa sarebbe la paralisi di tutto. Il petrolio è difficile che possa andare ancora più giù: a quel punto conviene lasciarlo dove si trova e aspettare tempi migliori.

La conclusione è abbastanza semplice: per uscire dalla crisi partita nel 2008 abbiamo dato fondo a quasi tutto l’arsenale anti-crisi. Alla prossima svolta della congiuntura rischiamo di avere le mani vuote. E di essere quindi impotenti. Qualcuno dice che a quel punto bisognerà rispolverare un po’ di Franklin Delano Roosevelt: ondate di lavori pubblici. E quindi spesa pubblica. Forse quella sarà l’unica strada percorribile. Ma, e qui entriamo in gioco noi, molto meno per l’Italia. Con i livelli di spesa pubblica e di debiti che abbiamo c’è poco da fare i Roosevelt. Pena il saltare davvero per aria. Che si fa allora? Una comunità seria, a questo punto, si concentrerebbe sulle riforme da fare, sulla propria organizzazione e sulla selezione della propria classe dirigente. Con in mente un obiettivo strategico: arrivare fra 1500 giorni con qualche riserva. Quindi con meno, molto meno, spesa pubblica, così eventualmente la si potrà aumentare per qualche anno.

E con uno Stato riorganizzato e quindi capace di aggiustare quattro scuole senza farsi derubare non dalla terribile mafia ma da quattro trombati alle elezioni. Sembra un programmino facile. Ma non lo è. E non lo è perché abbiamo una situazione politica gelatinosa, una politica che si perde dietro quattro scontrini, che vaga alla ricerca di personaggi con la fedina penale pulita a cui affidare la gestione di città e regioni come se questo fosse l’unico criterio. E, anche, una classe politica che in molte sue componenti vede una possibile via di uscita solo nella decrescita felice. Se arriva una crisi, basterà vivere molto più poveramente, e tutto si risolve. Dentro questo caos politico abbiamo un solo riferimento: il governo, Renzi, Padoan, e, più lontano, Draghi, l’Europa.

Magari non tutto quello che propongono è corretto al 100 per cento. Ma sempre di più di quelli che stanno a perdere tempo su un po’ di contanti in più o sulle tasse ai castelli. Una comunità seria a questo punto si stringerebbe intorno al proprio governo e lo spingerebbe a fare più in fretta. Invece sono tutti lì a gettare bastoni fra le ruote, sperando di ereditare il potere. Un potere che, se andiamo avanti così, quando arriverà la crisi, sarà solo il potere di incassare i colpi”.