Lamento per la morte di un amato labrador. Cesare Lanza: i cani della mia vita

di Cesare Lanza
Pubblicato il 25 Luglio 2016 - 06:41 OLTRE 6 MESI FA
Lamento per la morte di un amato labrador. Cesare Lanza: i cani della mia vita

Cani, Cesare Lanza piange la morte di un amato labrador. Nella foto: Cesare Lanza e le figlie più piccole con alcuni dei cani della sua vita

Il dolore per la morte di un amato cane è rappresentato con parole che commuovono da Cesare Lanza in questo articolo pubblicato sul suo blog.

Siamo stati costretti a sopprimere il nostro labrador, Greta. Da due mesi la sua malattia era irreversibile. Non aveva dolore, ma era pressoché immobile, senza forze, eppure lucida. D’improvviso, si è aggravata: paralizzate le due gambe posteriori, respiro affannoso, guaiva in modo straziante. Le mosche, indizio della prossima fine, le erano addosso, senza che lei potesse difendersi.

La veterinaria ha detto che ci trovavamo di fronte a una scelta obbligata. In due minuti, dopo l’anestesia se n’è andata, il cuore non reggeva più, confortata dalle carezze di mia figlia Alice. Non ho avuto la forza di assistere, già ne porto il rimorso.

Nella mia vita, i miei compagni, i cani che prediligevo (ma li ho amati tutti) sono sempre stati i labrador. Fin dalla prima, Lola, che mi seguiva morbosamente passo passo (eravamo a metà degli anni settanta) e poi sparì misteriosamente durante una mia lunga assenza per lavoro, in Inghilterra: romanticamente, pensai che forse, non vedendomi più, era venuta a cercarmi, chissà dove.

Negli ultimi anni avevo una piccola dinastia di labrador: Penelope, la figlia Greta, e Pablo, figlio di Greta. Penelope, la più preziosa per me, dignitosa, non bella ma aristocratica, se n’è andata due anni fa, a sedici anni, dopo una vita lunghissima e felice, accanto a me. Indimenticabile. Sapete che i cani non vogliono farsi vedere, si nascondono nell’istante estremo.

Lei, in agonia, era accudita, ininterrottamente, da mia moglie e da un’altra mia figlia, Marta: nell’unico minuto in cui si erano assentate per rispondere a una telefonata, Penelope decise di congedarsi. E questo dice molto. Se debbo associarla nel ricordo a una sola parola, la parola è semplice e spontanea: dignità.

Sapete che i labrador sono affettuosi, golosi, accoglienti e festosi – se non sono addestrati – per qualsiasi ospite o sconosciuto. Penelope era diversa, riservata, non chiedeva coccole ma le accettava e restituiva solo se le erano richieste, non si precipitava sui bocconcini con l’avidità che distingue i labrador… Era una vera regina.

Greta è stata la più bella, nella cucciolata di Penelope. Ha vissuto fino all’età mediamente prevista per la sua razza, dodici anni. La sua fine era prevista. Cionostante il dolore è atroce. Non mi consola il pensiero che la sua grazia e la sua dolcezza mi resteranno sempre in cuore. Preferisco ricordare gli episodi che hanno distinto la sua esistenza.

Ad esempio, qualche anno fa diede il suo sangue (la trasfusione era immediatamente indispensabile) per salvare la vita di Matilda (quanti cani abbiamo avuto e amato!), una barboncina colta da una micidiale emorragia – e poi, grazie al contributo di Greta, da cui era stata “adottata”, poté sopravvivere ancora per molti anni.

So bene che queste note possono essere gradite solo a coloro che adorano i cani. Per fortuna (nostra, ancor prima che dei cani), siamo in grande maggioranza. C’è anche chi non li ama, non li conosce, addirittura ne diffida o li teme.

Non sanno cosa si perdono, a cosa rinunciano: l’affetto costante, illimitato, disinteressato; la compagnia sensibile che nessuna creatura umana potrebbe darci, con la medesima, incredibile, leggendaria continuità.

Se ne sono andati Penelope, Matilda e infine, Greta. Mi rimangono Pablo, che sarà l’ultimo labrador della mia vita, e Clara – una bassottina che ho voluto, dopo la morte della barboncina. Pablo è un po’ tonto, ha cinque anni, è tuttora un cucciolone inesausto: non sembra di essersi accorto della scomparsa della mamma, a cui peraltro era morbosamente legato, standole a fianco quasi continuamente. E, infine, Clara!

Ho già scritto e ormai ripeto spesso, che ci sono i cani e, poi, i bassottini. Che sono umanoidi. Intelligenti in forme imprevedibili, testardi ma ubbidienti se vengono educati con stile rispettoso e ragionevole, i più pronti a imparare e capire. Non c’è confronto possibile, con altre razze di cani. Ho scelto Clara, una bassotta meravigliosa anche per bellezza, perché mi sembrava irrispettoso verso Matilda sostituirla con un altro barboncino. Ed è una grande felicità, scoprirne, oggi e di continuo, qualità e virtù.

Ho detto che Pablo non sembra consapevole di essere rimasto orfano. Invece, Clara ha capito tutto: mi è stata vicina quando mi sono appartato per non assistere alla fine di Greta e subito dopo, quando Greta è stata portata via, ha cominciato ad abbaiare dolorosamente, cercandola in casa e nel terrazzo, fiutando, annusando – senza darsi pace per un bel po’ di tempo.

I cani sono stati, da quando ero bambino, i miei compagni di tutta una vita. Ma penso che per tutti gli animali sia un dovere avere affetto e rispetto. Perciò vi dedico infine due pensieri: uno di Giovanni Paolo II, il secondo ancora di Alda Merini.

“C’è nell’uomo un soffio, uno spirito che assomiglia al soffio e allo spirito di Dio. Gli animali non ne sono privi” (Giovanni Paolo II).

“Perché amo gli animali? Perché io sono uno di loro. Perché io sono la cifra indecifrabile dell’erba, il panico del cervo che scappa, sono il tuo oceano grande e sono il più piccolo degli insetti. E conosco tutte le tue creature: sono perfette in questo amore che corre sulla terra per arrivare a te” (Alda Merini).