Merkel, Draghi, Renzi…”Pagare moneta, vedere cammello”

di Lucio Fero
Pubblicato il 1 Settembre 2014 - 14:50 OLTRE 6 MESI FA
Merkel, Draghi, Renzi..."Pagare moneta, vedere cammello"

La copertina dell’Economist con Draghi, Renzi, Hollande e Merkel

ROMA – Intelligente notazione quella di mario Deaglio su La Stampa: gli italiani sono in grandissima parte preda di un “equivoco”, pensano che la “ripresa” sia ricominciare, riprendere come prima. Come prima, passata la nottata, lavorare, trovare e perdere il posto di lavoro e andare in cassa integrazione o in pre pensionamento…Come prima salari medio-bassi nella Pubblica Amministrazione in cambio di efficienza zero e produttività…Produttività nel lavoro pubblico? Che bestemmia! Come prima a scuola, scuola in cui l’idea stessa dell’acquisizione, con fatica, di competenze è stata sradicata come gramigna. Come prima all’Università, ai concorsi, al precariato. Come prima quando un precario “maturava anzianità”, insomma stava in lista di attesa e prima o poi qualcuno lo assumeva.

Come prima con le professioni protette dalla concorrenza, con le piccole imprese familiari e anche quelle meno piccole e meno familiari che non investivano né una lira né un euro, prendendo tutto dalle banche. Come prima quando gli imprenditori in azienda ci mettevano i soldi delle banche, la svalutazione della moneta, il risparmio sulla sicurezza e sull’innovazione. Come prima quando tutti i buchi e sbrechi erano tappati dal denaro pubblico. Come prima con la produttività nelle aziende ferma da 20 anni e con l’evasione fiscale in costante crescita da decenni. Quando riprende tutto ciò, quando ci sarà la ripresa di prima? Mai! Quale governo ce la porterà? Nessuno! Quale governo potrebbe portarcela? Nessuno! Allora opposizione, qualcuno…No, la ripresa di prima non ci sarà mai. Non appartiene al possibile di questo mondo. In questo mondo nessuno può e potrà ricominciare com’era.

Ed eccolo l’equivoco, in realtà tragico: gli italiani, i più, aspettano la “ripresa” del come prima. Pochi, davvero pochi hanno la nozione, e ancor meno accettano l’idea che “ripresa” possa e debba significare cominciare da capo, cominciare di nuovo. Con nuove regole, nuove abitudini, nuovi patti. Buona od orrida cosa che sia, occorre che nelle imprese private qualità e quantità di prodotto per ora lavorata crescano rispetto ai valori attuali. Sindacati e imprenditori non hanno altra priorità, il resto è contorno e trastullo. Buona od orrida cosa che sia, il capitale deve rischiare sulla tecnologia. Rischiare, investire. Buona od orrida che sia occorrono contratti di lavoro che facilmente si possano siglare e sciogliere.

Occorre che il lavoro pubblico sia sottoposto a criteri di efficienza, merito e utilità. Occorre che la macchina dello Stato e la cultura civile non vedano la stasi e l’equilibrio e il reciproco controllo come l’essenza del civismo e della democrazia. Occorre che cambino tante cose, che le famiglie impoverite dalla tremenda crisi economica utilizzino il loro enorme risparmio privato per investire, occorre che i partiti politici smettano di incoraggiare una sorta di corporativismo totale, occorre che la gente smetta di sentirsi solo orfana di come era prima.

L’unica ripresa possibile è ricominciare mollando come zavorra il come era prima. Invece la gran parte degli italiani anche sulla scialuppa di salvataggio il come era prima se lo porta come metallo prezioso. Ottima metafora: chili d’oro in braccio mentre dovresti nuotare…

Se non si vede, se non si mette a fuoco “l’equivoco”, nulla si comprende. Infatti i tg oscillano ed orecchiano tra “flessibilità” e “rigore”. Senza mai dire cosa siano l’una o l’altro, qui e oggi. Ed è invece drammaticamente semplice. L’Italia non vuole essere strozzata dal dover, ora e subito, cominciare a rientrare del debito pubblico. Il famoso fiscal compact, l’obbligo di scalare in venti anni dal 135% del Pil attuale al 60% del Pil come debito pubblico. Non solo, l’Italia fa osservare con ragione che debitori morti non pagano i debiti, quindi economie allo stremo non garantiscono i creditori. Perfetto, solo che…

Solo che chi deve fidarsi dell’Italia (Unione Europea, Bce, Merkel, mercati mondiali) vuole che in cambio della flessibilità ci sia il cambio dei connotati socio-economici del paese. Diverso mercato del lavoro, diverso fisco, diversa Pubblica Amministrazione tanto per cominciare. Chi deve fidarsi di noi deve fidarsi della nostra “ripresa” diversa da come era prima. E’ l’eterno, semplice, classicissimo “pagare moneta, vedere cammello”. Chi deve pagare la moneta della flessibilità di bilancio vuole vedere il cammello delle riforme. E riforme non vuol dire che tutti stanno come prima, vuol dire che dopo la riforma qualcuno sta meglio e qualcuno sta peggio, qualcosa di nuovo arriva e qualcosa che c’era sparisce.

L’equivoco è ancor più grave di quel che sembra perché la società italiana, politica, economia e “gente” compresi, appare oggi la meno disponibile alla ripresa possibile, alla ripresa con cambio di connotati. In Spagna l’hanno fatto, lo stanno facendo con la corda al collo, ma erano meno ricchi di noi, noi possiamo “resistere e resistere e resistere” di più. In Francia hanno appena cominciato a farlo: 50 miliardi di spesa pubblica in meno e altrettanti di tasse cancellati. In Germania quando lo fecero chi lo fece perse le elezioni successive ma è nella flessibilità produttiva e salariale che nasce il primato economico attuale tedesco, Germania che prima era “il malato” d’Europa. In Italia 50 miliardi di spesa pubblica in meno e altrettanti di tasse in meno e contratti di lavoro flessibili sono tuttora anatema, bestemmia, fantasia maligna.

Possiamo, l’Italia può rifiutarsi di cambiare i suoi connotati. Ne ha facoltà e libertà. Tanto è vero che finora ha difeso fino all’ultima cellula dei suoi connotati di prima. Potenti correnti di opinione rifiutano l’idea, figurarsi la pratica, di un cambio di connotati. L’idea, la pratica e soprattutto la fatica e la sofferenza del cambio. Potenti correnti di opinione, spontanee ed organizzate. La Lega Nord, M5S, la Cgil, un bel po’ di Pd, Forza Italia, insomma la politica tutta o quasi. Ma soprattutto la politica locale. E soprattutto ancora la gente, la pubblica opinione. Possiamo rifiutarci. Non possiamo però, se scegliamo il rifiuto di “mostrare il cammello”, pretendere di “vedere moneta”.

E qui scatta il secondo, esiziale, equivoco: il rifiuto del reale. A meno di esportare su pianeti extra terrestri dove comprano a prescindere dal qualità del prodotto e dal suo prezzo, a meno di non riuscire a farsi finanziare la spesa pubblica da mercati extra galassia dove non si pongono il problema se restituirai, a meno di non proclamare il far da soli in un paese che deve importare energia, alimenti e materie prime…a meno di queste e altre concrete possibilità, dal bivio cammello/moneta non si esce e scampa. Se non con una cosa che piace molto, piace sempre più: il pensiero magico.

Scriveva l’altro giorno sul Corriere della Sera Giovanni Sartori: “Il secolo breve è stato brevissimo, brevissimo come il dominio dell’homo sapiens, si sta tornando all’homo pre-sapiens”. Quello appunto del pensiero magico: le forze e le terre del male, gli stregoni, i poteri neri, gli adoratori del maligno. Tale è il rapporto che la gran parte della pubblica opinione ha nei confronti della realtà della crisi finanziaria che parte dagli Usa nel 2007 e della crisi di bilancio e produttività che parte in Italia dalla seconda metà degli anni ’90. Forze oscure  maligne che deviarono il corso del mondo che c’era e che si sogna di riprendere. Primo equivoco e secondo equivoco giunti in matrimonio dal pensiero magico.