Bersani tassa, Vendola surtassa, Renzi taglia welfare e Irpef

di Lucio Fero
Pubblicato il 8 Ottobre 2012 - 14:16 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Numeri e proposte precise non ne fa nessuno dei tre, come da radicata e custodita tradizione di tutta la politica italiana cui sembra pericoloso e sminuente dell’alto ruolo dire una cosa del tipo: l’aliquota dello x per cento diventerà dello y per cento finanziando la diminuzione con l’aumento di z oppure con meno spesa per Tizio, Caio e Sempronio. No, la politica italiana non parla così, non si abbassa fino ai numeri e ai meccanismi di legge quando si rivolge al popolo elettore. Parla più alto ed alato, parla di “programmi”, cioè di principi e valori, di scelte strategiche, di opzioni, di quadro culturale e di riferimento…Insomma cosa vogliono fare di preciso se li voti non te lo dicono, te lo lasciano al massimo intuire. Lo fanno anche nel resto del mondo, fino a un certo punto però. Poi, varcato quel punto, nel resto del mondo si fermano e si sporcano le labbra con qualche cifra precisa e qualche concreta ipotesi di legge. Da noi invece non si fermano, è tutto, sempre e solo un confronto tra “liberismo, socialdemocrazia, libertà, mercato, democrazia, equità sociale, equità fiscale…”.

Di numeri precise e proposte concrete al momento non ne fanno neanche Pier Luigi Bersani, Matteo Renzi e Nichi Vendola, però qualcosa sulle tasse,  sulla spesa e sul lavoro la dicono. E si può cominciare a conoscerli e a misurarli così, appunto sulle tasse, sulla spesa, sul lavoro. Molto più interessante e molto meno fumoso del conoscerli e misurarli sulla “rottamazione” oppure sul “cantiere” oppure ancora sul “facciamo bene e non ci ammazza nessuno”. Su tasse, spesa e lavoro Bersani, Renzi e Vendola sono diversi, molto diversi tra loro e si vede in maniera così chiara che ciascuno può giudicare, valutare ed eventualmente scegliere.

Pier Luigi Bersani qualora fosse premier, dopo aver beninteso vinto le primarie di coalizione e poi le più importanti elezioni politiche, applicherebbe al paese una tassa patrimoniale e una legislazione che tassa le rendite finanziarie. Non è dato sapere con esattezza cosa sarebbe “patrimonio” da tassare (ancora la casa?) e a quale livello si collocherebbe la soglia di ricchezza tassabile. Si è parlato di una Imu progressiva e non uguale per ogni proprietario di casa come è oggi, ma in questo caso il gettito calerebbe e di molto. Si è parlato di 800mila o un milione tondo o un milione e 200mila euro di patrimonio come soglia della ricchezza (compreso od escluso il valore immobiliare?). Non si sa ma si sa che sarebbe patrimoniale. E che arriverebbe una tassa sull’attività finanziaria: aumentare la tassazione sui titoli ed azioni che peraltro già esiste? Oppure, ma sembra escluso, aumentare quella sui titoli di Stato? O ancora, l’ipotesi più gettonata, una Tobin tax, cioè una mini tassa su ogni transazione finanziaria? C’è il problema che se lo fai solo in Italia, chi può e chi sa le transazioni finanziarie se le va a fare sulla piazza di Londra ad esempio e buonanotte alla tassa. Come che siano, nel programma e nelle intenzioni di Bersani ci sono la patrimoniale e la tassa sulla finanza.

Matteo Renzi invece nella testa e nelle carte queste due tasse non ce l’ha: con Renzi niente patrimoniale e Tobin tax. Questo è chiaro. Meno chiaro è da dove Renzi pensi e prometta di trovare i soldi per abbassare l’Irpef. Anche Renzi come Bersani è a caccia di soldi, Bersani risolve la questione inserendo tasse, Renzi tagliando la spesa pubblica. Che vada “drasticamente” tagliata Renzi lo dice, dove e come se ne guarda.

Nichi Vendola dei tre è quello che ha meno problemi con la logica: il suo programma-promessa è spendi il più possibile perché ogni pubblica spesa è in fondo spesa sociale e tassa quanto serve, tutto quello che serve, per tener dietro il passo della spesa. Il principio del tassa e spendi, anzi del prima spendi e poi tassa nel mondo di Vendola va applicato sia agli ospedali che alle miniere del Sulcis che agli altoforni Ilva che alle pensioni di anzianità…averlo smesso di applicare è per Vendola il “liberismo che scuoia l’Europa”.

Bersani e Vendola almeno fin qui più o meno d’accordo: i soldi si prendono dalle tasse. Renzi contrario, agli antipodi: si prendono da meno spesa. Ma per farne cosa di quei soldi?

Per Renzi è chiaro e netto: per farne meno Irpef per tutti. Tutti pagano meno Irpef e quindi resta in circolazione una parte del reddito che di certo non crea ma di certo aiuta la crescita.

Per Bersani invece i soldi dovranno servire per “attivare politiche dirette a sostegno dei redditi”, traducendo dal politichese-sindacalese: i soldi serviranno a dare più reddito non a tutti ma solo alle fasce meno abbienti. Con relativo e insoluto problema di chi siano davvero le fasce meno abbienti (quelle che dichiarano meno al fisco?).

Anche su questo punto Vendola non è lontano da Bersani, resta invece lontanissimo da Renzi. Tra Bersani e Vendola la differenza è che Vendola userebbe i soldi per finanziare interventi diretti dello Stato dovunque, a Vendola non interessa molto che le tasse siano più basse e quindi i salarti più alti, al leader  di Sel interessa che i salari siano garantiti, se potesse li renderebbe pubblici per legge. E infatti la sua proposta è quella di un reddito di cittadinanza, una sorta di salario minimo per tutti a prescindere dalla condizione lavorativa. Ovviamente non una parola o un numero su chi lo paga.

Sul lavoro e le sue leggi, sul lavoro e sul suo mercato Bersani e Vendola invece divergono. Bersani si tiene l’articolo 18 così come è adesso, insomma non si può licenziare per motivi disciplinari o di ritorsione e, in casi rari, si può licenziare per motivi economici. Vendola vuole l’articolo 18 di prima, anzi di più, vuole una illicenziabilità più o meno sempre e comunque. Sideralmente distante Renzi, lui vuole contratto a tempo indeterminato per tutti e insieme possibilità per tutti di essere licenziati previo pagamento di congruo indennizzo economico. Al precari Vendola dice: vi faremo assumere tutti, magari coni soldi pubblici. Ai precari Renzi dice: nessuno di voi sarà mai assunto se gli assunti sono privilegiati e illicenziabili. Bersani sta in mezzo, è in materia il più pragmatico e il meno “ideologico”.

Infine su Monti. Bersani se lo tiene e lo “supera”, in concreto, se così si può dire, Bersani di Monti si tiene l’aggancio all’Europa cui non si può rinunciare e spera e punta ad Europa “altra” che ricominci a riconoscere legittimo e utile fare debiti. Vendola vuole “scacciare il fantasma di Monti”,  Vendola sul punto non è molto lontano da Di Pietro che dice “Monti peggio di Berlusconi” e da Maroni che Monti vorrebbe cancellare anche la memoria. Renzi è dall’altra parte del mondo: con Monti anche se con molti “se e ma”.

E’ fantasmagorico più che fantastico che politiche non solo diverse ma opposte siano tutte in una sola “primaria”. E’ vertiginosa l’idea che uno di questi tre, qualora vincesse le primarie e poi le elezioni, possa governare insieme con gli altri due.