La libertà dei diritti gay, la dittatura della lobby gay

di Lucio Fero
Pubblicato il 16 Luglio 2012 - 13:02 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Forse Paola Concia neanche sa cosa sia quello che decenni fa veniva chiamato in politica, soprattutto in politica a sinistra, “entrismo”. Per sua fortuna Paolo Concia è forse troppo giovane per saperlo e comunque non  soggetta e non adepta di consimili micro ideologie. Però lei, Paola Concia, insieme a non pochi altri gay, è un perfetto esempio di “entrismo”. Inconsapevole e innocente, ma “entrismo”. Cioè “entro” in un’organizzazione al solo e fondamentale scopo di avere casa, tribuna, campo e laboratorio per gettare il mio seme, sviluppare la mia pianta, occuparmi della mia questione che è per definizione, l’unica e dirimente questione del mondo intero. Sì, Paola Concia si muove nel Pd così come molti gay si muovo in politica, soprattutto ma non solo a sinistra, solo ed esclusivamente per la “questione gay”. Finendo così per costituire ed operare come una lobby, una lobby gay.

A scanso di possibilissimi equivoci chiariamo subito che chi scrive è personalmente a favore del fatto che le coppie gay abbiano davanti alla legge civile le stesse garanzie, diritti e doveri delle coppie eterosessuali. Diritti economici, diritti di reciproca assistenza, diritti matrimoniali: tutti e tutti uguali. Perché i diritti dei gay sono sinonimo e indice di libertà per tutti. Personalmente non ritengo un diritto l’adozione da parte di genitori entrambi gay, ma non ne faccio una guerra di religione, vorrei piuttosto una scelta su questo punto surrogata in un senso o nell’altro da discipline (pedagogia, psicologia, sociologia che si esprimessero senza l’obbligo del politicamente corretto). I diritti dei gay sinonimo e indice dei diritti di tutti: chiaro!?

Ma tra i diritti dei gay non c’è, non ci può e non ci deve essere l’imposizione di fatto di una dittatura della lobby gay. Se un partito politico, nella fattispecie il Pd, fa una sua assemblea per tentare di pronunciarsi sull’euro, su Monti, sulle elezioni, su quasi tutto quello che ne fa o non ne fa un partito, bloccare, inchiodare, qualificare o meno quel partito e quell’assemblea a misura di quanto ha votato o non votato sulla questione gay è azione da lobby. Da lobby cui nulla interessa tranne la propria ragione sociale. Lobby legittima sia chiaro, anche nei partiti, anche nel Pd. Ma lobby e solo lobby se solo come tale si comporta. I gay militanti che l’altro giorno hanno fatto più o meno finta di strappare la tessera mostrano di non aver alcun altro motivo per militare in un partito che la “questione gay”. Questo non indebolisce certo la loro causa, ma la loro credibilità politica la demolisce.

E non è questione di laici o cattolici. La resistenza dei cattolici alla Bindi e alla Fioroni nel Pd al matrimonio gay e, peggio molto peggio, alla libertà del disporre del proprio fine vita, non legittima che fare politica e farla in quel partito si riduca e si riassuma nel “matrimonio gay sì o no”. E poi con quale metodo…Patetico più che barricadero: due righe di una mozione, anzi di un ordine del giorno. Si muovono come stessero assaltando la Bastiglia, in realtà giocano alla delibera e verbale di condominio. Allargando lo sguardo poi lo spettacolo diventa grottesco: Di Pietro che si fa paladino dei gay e Beppe Grillo cantore di ogni amore possibile…cosa non si fa per accarezzare il pelo ad una lobby. Succede, inevitabile quando si è prima lobbysti della propria causa e poi, molto poi, cittadini.