Governo di ricchi fa male ai poveri: Cgil twitta, la gente mormora

di Lucio Fero
Pubblicato il 23 Febbraio 2012 - 13:32 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Due lettere al direttore di lettori de La Stampa, non di Libero o Il Fatto: “Come si fa ad accogliere a cuor sereno la richiesta di sacrifici da parte del nostro governo quando al suo interno ci sono persone che guadagnano cifre da capogiro?”. Così scrive Marina Tamburini e Marino Bertolino, l’altro lettore-scrivente, aggiunge: “Quando ho sentito che i componenti del governo tecnico sono persone agiate con tanti soldi e immobili mi sono chiesto: come fanno delle persone benestanti a comprendere i problemi dei comuni cittadini? Di conseguenza possiamo capire l’aumentata tassazione verso le famiglie italiane e una certa tutela verso le classi medio-alte”. E un “cinguettio” semi ufficiale firmato niente meno che Cgil, a nome del più grande sindacato si twittava: “Un governo di ricchi nella crisi taglia i redditi dei poveri. Purtroppo è sempre così”. Dunque governo ricco fa male ai poveri, la Cgil twitta, la gente mormora.

E’ un “sentimento”, abbastanza di massa. Sentimento affiorato come prima, o almeno più evidente reazione alla pubblicazione dei redditi e dei patrimoni dei componenti il governo Monti. Sentimento che batte o almeno spinge più in là la buona novella di redditi e patrimoni finalmente chiari e pubblici. La trasparenza e anche la “pulizia” di quei redditi e patrimoni interessano meno, molto meno del fatto che al governo ci siano “i ricchi”. Tra i due numeri resi noti, i sette milioni guadagnati nel 2010 dall’avvocato Severino diventato ministro e i quattro milioni di tasse regolarmente pagati dall’avvocato Severino diventato ministro, la cifra che attrae e smuove l’umore è molto la prima e quasi nulla la seconda. Sentimento di sospetto, di negativo sospetto che si alimenta e poggia di e su una singolare richiesta di “competenza”: per governare anche sui “poveri” bisogna essere “poveri”. Come chiedere ad un oncologo di essere afflitto da tumore per poter curare con credibilità i malati di cancro. Come chiedere agli agenti immobiliari di essere senza casa per risultare affidabili se ti propongono un appartamento in affitto o in vendita…

Singolare richiesta di “competenza”, singolare in assoluto. E ancora più singolare se affiora in un paese che per venti anni ha accettato la tesi che il Berlusconi ricco, anzi ricchissimo, era in fondo una “garanzia” perché “era ricco di suo e non aveva necessità di rubare”. Un paese che giura, alla grossa, che “tutti i politici rubano” e che scarta, si impenna e diffida di redditi e patrimoni alti realizzati fuori dalla politica e prima dell’attività di governo. Con totale rimozione del fatto, il fatto e non l’opinione, che i “ricchi” diventati ministri almeno in termini di soldi ci hanno rimesso. Quanto a potere, ambizione, gratificazione è altro discorso, ma non c’è dubbio che sui soldi la gran parte dei componenti del governo ci abbiano rimesso: lo stipendio da ministro è di circa 200mila euro lordi. Guadagnavano di più prima. Non è un buon motivo per farne dei “santi” e forse nemmeno per azzardare un prematuro e troppo ossequioso “grazie”. Però fare della “ricchezza” acquisita fuori dalla politica, della ricchezza a tasse pagate, della ricchezza trasparente e dichiarata un capo di accusa e, peggio ancora, una condizione di inaffidabilità è singolare umore. Umore astioso, umore di gente e di paese diffidente e mormorante, umore aspro di una società che sente il bisogno di “sparlare” comunque. Umore di una società invecchiata, umor da comari in cortile, umore di un civismo inzitellito. Inzitellito a furia di delusioni e solitudini inflitte e impartite dalla politica e dai governi, ma pur sempre umor di zitelle.

Ma è solo umore, schiuma di sentimento, increspatura di opinione di brava ma incattivita gente comune? Dicono sia “guardonismo”, voglia in fondo ingenua e istintiva di farsi gli affari degli altri, cioè guardare i soldi degli altri. Con inevitabile corollario di sospetto e diffidenza appunto. Fin qui… Ma il “guardonismo” può essere anche qualcosa d’altro, spesso lo è: non è solo guardare, è talvolta il non sapersi e non potersi “eccitare” senza guardare. Solo fenomeno di psicologia sociale? No, è anche qualcosa d’altro. E’ perfino ideologia. Estenuata, ridotta ai minimi termini, ma pur sempre ideologia. Ideologia residua in cui si assemblano pezzi sparsi di residui consunti di comunismo mal letto e mal digerito. E pezzi sparsi di cattolicesimo tutto penitenziale e per nulla salvifico. E pezzi sparsi di qualunquismo che non muore mai. Conditi, ribolliti in una minestra riscaldata per farli apparire nuovi e contemporanei. Quel twit, cinguettio sfuggiti dal seno della Cgil, quel “constatare” che i ricchi al governo governano contro i poveri è la spia, la confessione non di un latente conflitto di classe e di ceti sociali ma di una evidente sindacalizzazione-corporativizzazione della vita pubblica: solo chi appartiene alla mia famiglia, alla mia condizione, al mio clan e alla mia tribù può stare con me, fare il mio interesse. Altro interesse generale non c’è e se qualcuno lo nomina, è impostore che diffonde impostura.

Di questo sentimento c’è anche versione più raffinata, addirittura politica: “l’abbraccio di Berlusconi a Monti” sta diventando timore, evidenza e spartiacque a sinistra. Tra un po’ qualcuno twitterà: che sorpresa c’è, sono ricchi. Se siano onesti, se siano utili, domande pertinenti e almeno la seconda ancora senza piena risposta, sono invece domande accessorie, un optional. Almeno nella e per la gente che mormora, almeno per i cinguettii della Cgil.