Licenziamenti non made in Europa.Governo: quattro promesse, una minaccia

di Lucio Fero
Pubblicato il 27 Ottobre 2011 - 13:44 OLTRE 6 MESI FA

Ma non è vero che Europa e Bce avevano chiesto i licenziamenti nella versione “minaccia”. La Bce, lo ha spiegato Mario Draghi, ha chiesto altro: contratti di lavoro per chi inizia a lavorare stabili e non più a tempo determinato ma contratti che contengano anche minori garanzie sulla eternità e immobilità del posto di lavoro. Insomma meno precarietà sposata con fine del posto fisso. Un modo per poter assumere, perché le aziende possano assumere senza sposare a vita il nuovo lavoratore. Non un modo per disfarsi facilmente del lavoratore che già c’è. E l’Europa aveva ed ha chiesto un sistema di garanzie e ammortizzatori sociali che rendano possibili e non traumatici i licenziamenti. Non un risarcimento e tanti saluti ma una rete di protezione meno immobile e discrezionale della cassa integrazione. Il governo italiano ha semplificato in licenziamenti e risarcimento: si vede la mano del ministro Sacconi.

L’osso senza carne pensioni, la minaccia sbrigativa e forse a vuoto dei licenziamenti. E poi le quattro promesse. Prima: liberalizzare le professioni. Gli avvocati e i commercianti aspettano al varco il governo, insieme a tanti altri. I primi bloccano con successo da anni ogni liberalizzazione, i secondi bloccano da sempre ad esempio i liberi orari di apertura dei negozi. I primi sono fortissimi in Parlamento, i secondi sono fortissimi nelle urne elettorali. Promessa difficile da mantenere.

Seconda promessa: vendere beni di Stato e soprattutto far vendere agli Enti locali, Regioni, Comuni e Province, almeno un po’ delle migliaia di aziende di servizi pubblici che gestiscono. La Lega si è sempre opposta. Governatori e sindaci hanno sempre fatto barricata e orecchio da mercante, la sinistra sindacale e politica è pronta a proclamare: per farlo dovete passare sul nostro cadavere.

Terza promessa: snellimento ed efficienza della Pubblica Amministrazione. Alzi la mano chi in Italia non ha sentito questa formula fin da quando era bambino.

Quarta promessa: pareggio di bilancio entro il 2013. Ma senza dire dove trovare i 20 miliardi che mancano nei teorici conti. Teorici, perché quei venti miliardi sono nella “delega fiscale e assistenziale”, cioè nella cose da fare e non fatte. Pareggio di bilancio nel 2013 senza fermare la spesa politica e quella previdenziale. Pareggio di bilancio nel 2013 sulla parola.

Un osso senza carne, una minaccia non richiesta e quattro promesse. Con l’aggiunta di un calendario: otto mesi per fare tutto, una “gravidanza” accelerata. La domanda è perché l’Europa ci abbia creduto. Deve essere stato, come dice Bossi, “per non fare brutta impressione”.