M5S-2018: a Di Maio incarico di governo, mentre Virginia moriva di stadio

di Lucio Fero
Pubblicato il 21 Febbraio 2017 - 09:46 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – M5S, che ne sarà di M5S e di noi tutti elettori e cittadini nel 2018, quando si voterà, voteremo per eleggere le nuove Camere e quindi formare il nuovo governo? (Elezioni alla scadenza della legislatura, cioè 2018 e non anticipate a giugno-settembre 2017 è ad oggi l’ipotesi più probabile). Ecco quel che ne sarà di M5S-2018: andrà a Di Maio o a chi per lui l’incarico di formare il nuovo governo mentre Virginia Raggi sindaca di Roma…moriva di stadio.

Una bella e decisiva mano all’incarico a un esponente M5S a formare il nuovo governo quando sarà l’hanno data gli scissionisti del Pd, gli anti Renzi. Questione aritmetica: oggi il Pd vale circa il 31 per cento dei voti, poco meno M5S. Se sottrai a quel 31 per cento del Pd quel che prenderanno alle elezioni gli scissionisti (poco o tanto che sia) di certo avrai un Pd che va sotto la percentuale di M5S. Quindi quando si voterà, a meno di cataclismi o miracoli, M5S risulterà il partito di maggioranza relativa.

E come da norma e prassi il Capo dello Stato Mattarella incaricherà di formare il nuovo governo il leader o portavoce, chiamatelo come volete, del partito di maggioranza relativa, appunto di M5S. Luigi Di Maio, Casaleggio junior, Grillo in persona, Alessandro Di Battista…chi sarà. L’incaricato di formare il nuovo governo non ci riuscirà, per ovvi motivi.

Anche con un clamoroso successo elettorale (mettiamo il 35 per cento) M5S in Parlamento avrà appunto la maggioranza relativa, sarà il più grosso. Ma non avrà la maggioranza assoluta dei seggi che serve per dare la fiducia a un governo. Per averla dovrebbe allearsi con qualcuno. Ma qui sorgono due problemi enormi per M5S. Non appena l’incaricato intavolasse trattative per alleanze di governo, queste stesse trattative sarebbero per M5S acido corrosivo. Ad un’intesa con i partitini di sinistra anti Renzi reagirebbe male buona parte di M5S e comunque non basterebbero i seggi della sinistra-sinistra.

Intesa di governo con il Pd? Anatema, impensabile. Con Berlusconi? Con gli Alfano? Men che mai. Resta Salvini, l’unico possibile. Ma devono aver preso il 50 per cento in due e neanche è detto M5S non smotterebbe sotto il peso di un’intesa di governo sovranista va bene, ma trumpiana e lepenista forse sarebbe troppo per una grossa parte del MoVimento.

A quel punto l’incaricato M5S di formare il governo dovrà rinunciare e si andrà ad un governo fatto di altre alleanze che M5S battezzerà di “inciucio”. Ma questa è altra storia. Nel frattempo Italia 2018 avrà visto niente meno che un incarico di governo a M5S e scusate se è poco.

Non sarà invece il 2018 un buon anno politico per Virginia Raggi sindaca di Roma. La sua intoccabilità, invulnerabilità e santificazione da parte di Grillo è infatti a scadenza temporale:; fino a che non si vota. Fino alle elezioni Raggi non può essere sfiorata neanche con un fiore, se cade raggi cade la percentuale M5S di voti alle elezioni. Grillo lo sa e si comporta di conseguenza. Ma, una volta fatte le elezioni, Raggi resta senza scudo magico.

E Raggi sindaca di Roma 2018 non avrà fatto lo stadio della Roma. Per molti mesi come già fanno ora M5S e Campidoglio cercheranno di farsi dire di no dalla Roma calcio e dai costruttori tagliando progetto e ritardando, ritardando…fino a che, sperano, quelli si arrenderanno per sfinimento. Anche il referendum fresco proposto da Grillo è buttar la palla in tribuna, allungare i tempi. Come che sia, tra un anno lo stadio della Roma a Roma sarà una cosa non fatta. E non fatta dalla sindaca Raggi.

Singolare è la sottovalutazione un po’ altezzosa delle conseguenze elettorali del non stadio a Roma. Facciamola breve: su questo Raggi perderà un mare di voti. Per motivi minimi ma immediati (una nuova, diversa da quelli di prima) si gonfiò il 70 per cento di sì a Raggi al ballottaggio, per motivi minimi quel sì diventa no, e lo stadio è a Roma un gigantesco motivo minimo.

Due parole infine sulla scissione che apre la porta all’incarico di governo a M5S nel 2018. Una scissione di un partito si fa avendo constatato una inconciliabilità di valori e obiettivi, infatti dopo tutte le scissioni a sinistra da quella da cui nacque il Pci fino a quella da cui nacque il Psiup avevano come conseguenza immediata il collocarsi degli scissionisti su barricate politiche opposte rispetto a quella dove restavano gli ex compagni. Talvolta con conseguenze tragiche quali l’indicazione dei socialisti come nemico principale dei comunisti, più ancora dei fascisti. Talaltra comunque con l’opposizione ai governi in cui restavano o andavano i “destri” (Psiup che lascia Psi).

Stavolta la nuova formazione di sinistra, della sinistra tradita dal Pd, sostiene e sosterrà il governo Gentiloni che ha il programma del Pd. E quando ci sarà da votare proporrà agli elettori un centro sinistra di governo in cui non potrà che esserci come alleato il Pd. E questa alleanza sarà di fatto resa obbligatoria dalla legge elettorale proporzionale che gli scissionisti hanno fortemente voluto. Legge elettorale che spiana la strad all’incarico di governo a M5S. Ideologicamente, a ciascuno il suo. Politicamente…chiamate gli infermieri.